lunedì 15 settembre 2014

LA VICENDA COTTARELLI , L'ARROGANZA DEI RENZIANI E IL MITO DELLA SPENDING REVIEW

 
Visto che Cottarelli tra un po' lascia, fallendo nella sua Mission Impossible di promuovere una seria politica di tagli alla spesa pubblica, tra l'altro quella fatta di sprechi e improduttiva ( se un giorno ci mette le mani addosso la Troika, verrà aggredita anche l'altra, quella "buona" ma che non ci possiamo più permettere...), io fossi nel Premier un posticino per Tremonti lo troverei. Fu lui, nella seconda repubblica, il mago dei tagli lineari, giustamente deprecati ma gli UNICI che riusciamo a fare. Tanto affidare agli esperti (Cottarelli è solo l'ultimo che "fallisce", prima c'erano stati Bondi, Giarda e ne scordo sicuramente qualcuno) è inutile che poi la "politica" - che poi è la politica che li mette lì, mica che ci vanno da soli ! - decide che è lei a dover decidere. I criteri della decisione NON passano per elementi come l'efficacia ma piuttosto guardando a preservare il consenso...Ed ecco perché i tagli non si fanno, se non quando proprio costretti dalla semplice ragione che soldi non ce ne sono abbastanza. 
Anche in questa materia pertanto, cambiamenti di verso per il momento non se ne vedono minimamente.
Semmai si vede crescere l'arroganza. Come il suo pigmalione Berlusconi, sembra che Renzino sia convinto che è  meglio spaccare l'opinione pubblica in modo netto, dividere il mondo in due : nemici e amici. In questo modo il Cavaliere, qualunque cosa facesse, poteva contare sullo schieramento numeroso e solidale dei "suoi", contrapposti agli "altri". Siccome a sinistra faceva gioco fare esattamente lo stesso, ecco che siamo rimasti per 20 anni paralizzati sul giochetto berlusoniani e anti, coi bei risultati che vediamo.
Renzi, coi suoi "Fassina chi ?" ormai copiato ed esteso al altri soggetti, "ce ne faremo una ragione", "i gufi" e via di questo passo, punta, col sarcasmo (l'ironia la usa solo quando lo accarezzi per il suo verso, tipo Vespa, che il giovanotto è permaloso e sa essere velenoso) a stringere i ranghi dei suoi e di chi sta dalla sua parte. E' un gioco che rende, specie al momento dove gli "altri" sono di più ma divisi in gruppi non omogenei, mentre la minoranza renziana è comunque numerosa ma soprattutto omogenea e coesa (per ora...).
Nel trattare l'argomento dei tagli, Davide Giacalone (lo ricordiamo, un "deluso" renzista) riprende il discorso scandaloso delle assunzioni nel mondo della scuola. E qui apro una parentesi. Oggi, su La Stampa, in occasione dell'inizio, per quasi tutti, del nuovo anno scolastico. ha tirato fuori l'argomento delle aule sovraffollate. Allora, qui qualcuno fa disinformazione. Solo la settimana scorsa la OCSE (  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/rapporto-ocse-2014-troppi-insegnanti-in.html) aveva pubblicato il suo rapporto annuale sullo stato dell'educazione e aveva riportato come, in Italia, la media insegnanti rispetto agli studenti italiana era superiore rispetto a quella europea, nel senso che abbiamo MENO studenti per professore. Questa cosa, vera da diversi anni nonostante un certo blocco del turn over e l'immigrazione che colma e supera i vuoti lasciati dalla denatalità autoctona, permane nel 2013 anche se in misura inferiore rispetto al passato. Ebbene, la Stampa sembra avere fonti diverse, riproponendo la solita lagna della classi sovraffollate...Ricordo che negli anni 70 del secolo scorso, si era costretti ai doppi turni in diversi licei (soprattutto gli scientifici), proprio per la sovrabbondanza di iscritti. Quei tempi, da un po', non ci sono più. Semmai il problema, come sempre, è costituito dal fatto che la burocrazia scolastica funziona male e la mobilità degli insegnanti peggio. Per cui può anche capitare che in certe realtà territoriali ci sia una carenza di docenti, con classi conseguentemente più numerose.
Ma in generale, noi abbiamo più insegnanti per discenti della Germania, e in tempo di tagli abbiamo deciso l'assunzione di tutti i precari : 150.000. Tutto questo naturalmente a conferma che da nopi la spesa pubblica paga soprattutto gli stipendi, non strutture e servizi.
Un capolavoro di cambiamento.  


Tagli e ritagli


Andò per tagliare e fu tagliato. Mentre la revisione della spesa pubblica è annunciata come sempre più consistente, ma diventa sempre più cieca e inconsistente. Una gara tipo “Miracolo a Milano” al contrario, con un “meno uno” al posto del “più uno”. Gara a rilancio, ma che parte inceppata. Ieri si sarebbe dovuta avviare la consultazione ministero per ministero, in modo da mettere a punto i tagli e passare alle forbici, ma Matteo Renzi ha preferito rinviare tutto e adottare un sistema che replica pari pari il verso antico: relazione di ciascun ministero, con quel che pensa di potere risparmiare. Poi si vedrà. Ciò non capita per caso. E’ la conseguenza degli errori commessi.
Il siluramento di Carlo Cottarelli è un passaggio che non ha nulla di personale, ma sostanza tutta politica. Bisogna studiarlo bene, per capire quello che accadrà. La sua sorte personale non desta preoccupazioni: all’inizio gli fecero un contratto triennale (cosa che qui criticammo, dato che si trattava di una missione a scopo, non a tempo), poi s’è chiesto al Fondo monetario internazionale di riprenderselo, come se fosse stato in aspettativa. Sono tutti pronti a dire che ha svolto un buon lavoro, purché non pretenda di farlo valere e si tolga silente dai piedi. Lo ha chiarito il ministro più politico e rappresentativo, Maria Elena Boschi: “se ne andrà dopo la legge di stabilità e se volesse andarsene prima ce ne faremo una ragione e troveremo altri”. Delle comparse, a quel punto. Qual è il motivo per cui il lavoro di Cottarelli infastidisce? Non perché ci sia un primato della politica, dacché l’incarico glielo diede e confermò il governo, quindi la politica, ma perché individuare il tessuto morto da tagliare significa seppellire interessi reali e immediati, che reagiscono. Mentre annunciare tagli sempre più consistenti genera vago dissenso e spaesato consenso. Tutto macro e niente micro, vale dire tutto fumo e niente arrosto.
Dicono al governo: non abbiamo mai proposto di fare tagli lineari. Falso, lo ha anticipato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al Sole 24 Ore. Ha anche quantificato: 3% per ciascun ministero. Ribattono: ma sarà ciascun ministro a decidere quali, quindi sono tagli mirati. Tanto mirati che il primo colpo, ieri, ha fatto cilecca. Bubbole, comunque, perché al netto del fatto che se il ministro non ne fosse capace ciò vorrebbe dire che s’è messo un incapace su quella sedia, sarà Palazzo Chigi, nel caso, a fare le veci del ministro. E questi sono esattamente tagli lineari, così come li impostò Giulio Tremonti, a sua volta copiando dal ministro dell’economia inglese, a quel tempo, Gordon Brown: si parte dai saldi per indurre la riduzione della spesa. La politica, se esistesse e se ne fosse capace, eserciterebbe il suo potere nello stabilire dove e quanto tagliare, non nel fissare l’entità dei tagli necessari per poi dire: fate vobis et favorite miki.
Ma non basta, perché sappiamo già che in certe amministrazioni non si potrà tagliare. Come nella scuola, sul cui bilancio si abbatterà la valanga delle assunzioni annunciate. Peccato che: a. abbiamo già troppi insegnanti per alunno; b. assumendone 150mila con un turn over di circa 30mila l’anno il primo docente nuovo lo vedremo fra otto anni; c. nel frattempo la riforma non cambierà la didattica, visto che ne mancano i nuovi protagonisti; d. la spesa per la scuola crescerà senza che cresca di un tallero la spesa per dare istruzione ai ragazzi. Si potrebbe rimediare con il digitale, ma anche quello viene continuamente rinviato. Assieme ai tagli lineari, quindi, ci becchiamo anche gli aumenti lineari. A tutto giovamento della burocrazia e del posto improduttivo.
I tagli possono basarsi su maggiori efficienze e minori sprechi, nel qual caso non esiste altra strada che farsi guidare da chi conosce la struttura della spesa, coprendogli le spalle dai pesanti attacchi che arriveranno. L’esatto contrario di quel che hanno fatto con Cottarelli. Oppure, e sono quelli più interessanti e promettenti, possono essere generati da riforme, da cambiamenti profondi dell’agire pubblico. Sono, in questo caso, più che tagli una vera e propria riqualificazione della spesa pubblica, con cui, naturalmente, si può anche ridurla aumentandone la qualità. Questo è il lavoro serio e alto della politica. Il resto è ragionerismo praticato da gente che non conosce la ragioneria. Con i risultati che si videro e si vedono.

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