lunedì 27 ottobre 2014

COTTARELLI AL PASSO D'ADDIO : "IN ITALIA, TROPPE LEGGI E SCRITTE MALE"



Io credevo di aver capito alcune cose, in questi anni di crisi dura e interminabile. Ne elenco alcune :
1) l'Italia ha una spesa corrente troppo alta. E' quello che viene sintetizzato con il "viviamo ("vivete", se visto da fuori) al di sopra delle nostre possibilità".
2) Siccome di ridimensionarci non ci va, troviamo due modi per stare appresso alla spesa : aumentiamo il debito o le tasse. Anche tutte e due.
3) Il Debito Pubblico deve essere ridotto. Il nostro è attorno al 130% (l'aveva superato, poi hanno detto che potevamo mettere nel pil anche i soldi della malavita e delle prostitute...) . Secondo i trattati tutti i paesi europei dovrebbero arrivare, in un discreto numero di anni (non domani o dopodomani dunque) al 60%. Per quanto il tempo ci sia, nessuno comincia, anzi in questi anni paesi più virtuosi o meno inguaiati del nostro, si sono avvicinati al 100%, e partivano da livelli sensibilmente più bassi.
4) Per ridurre il debito, alcuni suggeriscono delle misure quali :
a) dismettere quote del patrimonio pubblico . Quando una famiglia è in crisi profonda, può essere costretta a vendere i gioielli di famiglia per ripianare i debiti. Scelta dolorosa ma virtuosa, a patto di non contrarne subito altri. Da noi si fa peggio : coi gioielli ci facciamo la spesa del giorno. 
b) diminuire la spesa e quindi le tasse, confidando, con la seconda cosa, di rilanciare produzione e consumi. Il Pil cresce, la spesa diminuisce, e quindi il debito. Sembrerebbe l'uovo di Colombo, ma in realtà la spesa non scende mai. 
c) Allora c'è chi propone di mantenere la spesa ai livelli correnti - senza aumentare almeno quella improduttiva - , diminuire le tasse , per gli effetti benefici di cui sopra, e coprire la differenza in deficit confidando che la crescita del PIL nel medio termine compensi e anzi migliori i saldi (Alesina e Giavazzi, di cui spero di aver riportato in maniera sufficientemente corretta il pensiero).  
Insomma, la riduzione della Spesa era il mantra ricorrente, e per questo sia Monti che Letta avevano pensato di investire dell'arduo compito dei commissari straordinari. Bondi fu quello montiano, Cottarelli quello lettiano.
Arrivato Renzi, si è capito subito che non gli garbasse né il ruolo né la persona. E infatti Cottarelli a fine mese se ne ritorna a Washington, al fondo monetario internazionale, da dove lo avevamo preso, e nella legge di stabilità di spendin review c'è poco, in compenso si aumenta il debito, con 10 miliardi di spesa in deficit.
Nell'intervista rilasciata a La Stampa, con educazione e moderazione l'ormai ex responsabile della Spending Review accenna, senza calcare la mano, gli ostacoli che ha avuto.
Tra questi, la mania legiferante italica : siamo pieni di leggi, oltretutto scritte male, che di fatto consegnano il potere ai mandarini dei gabinetti ministeriali, che si propongono come gli unici capaci di districarsi nel ginepraio. Quando si parla di burocrazia da combattere, si dovrebbe iniziare da qui.
Ma è solo la punta dell'Iceberg




Cottarelli : “Spese senza controlli Bisogna cambiare testa”

L’ex commissario alla spending review: “In Italia si fanno troppe leggi”
ANSA
Cottarelli tornerà a Washington come direttore esecutivo per l’Italia al Fondo monetario internazionale
ROMA
Per i commessi di via XX settembre Carlo Cottarelli è già un lontano ricordo. «Sicuro stia ancora qui?» si chiede quello che non riesce a contattare l’interno. L’ormai ex commissario alla spending review non ha più una segretaria, né altri collaboratori. L’ala del suo ufficio è vuota come quelle di certe aziende andate rapidamente fallite. Lui invece è ancora lì, seduto nella scrivania di una stanza d’angolo. Quando il telefono della ex segretaria squilla, si alza e va a rispondere. Resterà fino al 31 ottobre, quando tornerà a Washington come direttore esecutivo per l’Italia al Fondo monetario internazionale. 

Dottor Cottarelli, avrebbe dovuto rimanere tre anni, alla fine sarà solo uno. Perché?  
«All’inizio con Letta l’accordo era per un anno, ma mi chiese di restare per tre. Poi le cose sono cambiate». 

Renzi non l’ha mai amata, non voleva un burocrate a occuparsi di tagli.  
«Se mi amasse o meno dovete chiederlo a lui. Però ha ragione quando dice che le decisioni le deve prendere la politica, non un commissario. Quando mi chiamarono anche io mi chiesi perché ci fosse bisogno di una figura del genere». 

Cosa le risposero?  
«Che ci voleva qualcuno in grado di fare entrare la cultura della revisione della spesa nella testa della burocrazia».  

I risultati non sono entusiasmanti.  
«Ora c’è la norma che porterà alla drastica riduzione delle centrali di acquisto pubbliche, quella che introduce l’obbligo di fatturazione elettronica, c’è una prima lista di prezzi benchmark. È in vigore un decreto che imporrà un tetto di cinque auto a ministero, è stata completata l’introduzione dei fabbisogni standard nei Comuni, c’è una banca dati delle partecipate pubbliche. Sono soltanto alcuni esempi di quel che è stato fatto». 

I grandi problemi sono irrisolti. Penso alla riorganizzazione delle prefetture o il caso delle partecipate: lei aveva proposto di ridurle da ottomila a mille, nella legge di Stabilità non c’è nulla.  
«Sulle partecipate le cose stanno come dice lei, non so cosa risponderle. Sulle prefetture si sarebbe potuto procedere più velocemente. Un primo strumento per attuare la riforma era compresa nella legge di svuotamento delle Province, poi scoprì che era necessario inserirla di nuovo nella delega di riforma della pubblica amministrazione». 

Perché?  
«A quanto pare c’erano problemi giuridici». 

In Italia i capi di gabinetto hanno sempre l’ultima parola. Perché?  
«Le norme sono spesso lunghe e incomprensibili e solo loro sono in grado di gestirle». 

Cosa si può fare per cambiare le cose?  
«Occorrerebbe cambiare la testa di chi scrive le leggi, mi rendo conto che non è semplice. Sarebbe un passo avanti se i collaboratori più stretti dei ministri controllassero meglio i testi che vengono approvati. E poi in Italia si fanno troppe leggi. Ogni settimana si sente l’urgenza di scriverne qualcuna. Più ce ne sono, più è difficile applicarle, maggiore è il livello di discrezionalità». 

Abbassare l’età media dei dirigenti pubblici, come vuole Renzi, è una soluzione?  
«Ho sessant’anni, non può farmi dire che è una soluzione. Però aiuta». 

Era favorevole al tetto di 240mila euro?  
«Sì, ma la cosa più importante è che è stato fermato il meccanismo che permetteva la rivalutazione Istat degli stipendi. Di fatto negli ultimi trent’anni ai dirigenti pubblici più elevati è stata garantita una scala mobile negata agli altri». 

Come funzionario del Fmi ha visto da vicino molte burocrazie. Dica la verità: un Paese nel quale la fusione fra Aci e motorizzazione civile salta tre volte non lo ha mai visto.  
«No. Aggiungo una cosa: mi sono reso conto che un problema importante della spesa italiana è la mancanza dei controlli. Le norme vengono scritte, spesso non vengono rispettate». 

Una struttura c’è: è la Corte dei Conti.  
«La quale si preoccupa di far rispettare le procedure, non l’efficienza dei processi. Le racconto un aneddoto: quando ho scoperto che i Comuni si affidano a società esterne specializzate nei controlli dei costi, ho chiesto perché la stessa cosa non venga fatta nei ministeri. Mi è stato risposto che farlo è rischioso, perché la Corte dei Conti si metterebbe a fare le pulci agli anni precedenti. Non so se è vero, ma se lo fosse sarebbe la dimostrazione che qualcosa non va». 

La legge di Stabilità ha accantonato la spending review, si torna ai tagli lineari. È così?  
«I target di riduzione di spesa esistono in tutto il mondo, il problema è come li si applica». 

Se ne va pessimista sul futuro dell’Italia?  
«Assolutamente no. In Italia le cose cambiano, è che i problemi sono tanti e non ce ne accorgiamo. Con l’eccezione delle pensioni, fra il 2009 e il 2012 la spesa pubblica dello Stato è scesa del 10 per cento, quella dei Comuni dell’8, quella delle Regioni del 16, solo la spesa sanitaria è rimasta costante. Altrove verrebbero giudicati come ottimi risultati». 

Tornerà?  
«Sono sicuro di sì».

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