venerdì 27 febbraio 2015

I GIUDICI SI DISTRAGGONO, POI SI RAVVEDONO. NEL MEZZO, L'ERRORE COSTA DUE MESI DI PRIGIONE

 

E' solo uno dei tanti, e vi è stato posto rimedio su iniziativa di chi aveva contribuito a commettere l'errore, però la storia raccontata dal collega Armando Veneto lascia molto amaro in bocca.
Un errore marchiano, incomprensibile, e infatti poi finalmente percepito e corretto, ha comunque comportato la prigione per oltre un mese e mezzo per persone condannate laddove non dovevano esserlo, e questo per il semplice motivo che la norma sulla quale si basava la condanna era stata dichiarata incostituzionale, e quindi non esisteva più. La Procura generale non aveva fatto fatica ad accedere alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata della difesa, in ragione della pronuncia della Consulta, e il verdetto sembrava scontato.
Invece no. Per distrazione ? Per negligenza ? Resta che ben cinque giudici supremi (tali sono definiti quelli di Cassazione) sono incorsi nell' incredibile errore di tenere in "non cale" la pronuncia di incostituzionalità.
Come detto, e come leggerete più dettagliatamente nell'articolo de Il Garantista, è stato poi il Presidente della stessa Corte ad adoperarsi (se n'era finalmente accorto da solo della cantonata presa ? Gliel'ha rivelata, imbarazzato, il collega della Procura Generale ? ) perché si ponesse rimedio al tutto. Ma per quanto veloci, i tempi burocratici poi sono quelli che sono, e quindi, per quasi due mesi, dei cittadini sono stati illegittimamente privati della libertà.
Ora, sarà giusto o no risarcirli ? E se sì, che questo risarcimento sia posto a carico di chi ha così sventatamente sbagliato ? 
Dovrebbero essere domande retoriche, e invece...




 Il Garantista

In prigione perché i giudici erano distratti



a. udienza

di Armando Veneto 

Questa è la cronaca dettagliata di un piccolo errore giudiziario. È un episodio, a mio parere significativo; e capace di orientare chi vorrà esprimere una opinione informata e responsabile sulla questione della responsabilità civile dei magistrati…

Ometterò data e nomi per ragioni di opportunità e rispetto di chi ha sbagliato e di chi ha subito l’effetto dell’errore; ma i fatti sono questi. Si discuteva in Cassazione il ricorso di imputati condannati per avere coltivato cannabis; si chiedeva l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito perché, essendo intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge che equiparava le pene per possesso di droghe pesanti e leggere, venisse ricalcolata la pena e ridotta la condanna, in base alla normativa precedente a quella non più applicabile. Visto che la cannabis è una droga leggera.
Il procuratore generale è d’accordo e concorda con i difensori per l’accoglimento del ricorso sul punto. I difensori intervengono e ribadiscono la fondatezza della tesi: infatti non si può fissare una pena sulla base di una norma non più applicabile
Viene emessa la sentenza e i difensori sono allibiti: il ricorso viene dichiarato inammissibile. Il giorno dopo i condannati vengono arrestati e condotti in carcere. Ma il giorno stesso del deposito della sentenza, e solo dopo averla firmata, il Presidente del Collegio (anticipando addirittura l’iniziativa della difesa) si avvede che è stato commesso un errore: l’estensore nel motivare la sentenza ha trattato tutti i punti del ricorso, tranne l’unico che “doveva” essere accolto: cioè quello relativo all’annullamento per essere venuta meno la norma applicata dal giudice della condanna.
Comunica il fatto al Procuratore generale e perché lo stesso ricorra al rimedio del ricorso straordinario per errore di fatto e, nel contempo, intervenga per far liberare coloro che sono stati portati in carcere in base ad una sentenza nulla.
Conclusione: dopo oltre un mese e mezzo di detenzione senza titolo valido i ricorrenti vengono liberati; la sentenza dovrà essere emendata, la pena ricalcolata con la prospettiva che gli imputati possano chiedere di non scontarla in carcere
Bene; il lettore potrà dire: tanto rumore per un errore sanato in tempi brevi. C’è di peggio, certo. Ma il problema non è quello di un magistrato, gravato da tanto lavoro, con in testa i problemi che ogni giorno deve affrontare, dimentichi di scrivere in sentenza le quattro parole che servivano per annullare la sentenza impugnata con rinvio allo stesso giudice per ricalcolare la pena.
Il problema sta in queste domande: a cosa pensava il giudice relatore negli oltre 40 minuti nel corso dei quali il PG e la Difesa chiarivano e spiegavano le ragioni che , senza alternative, imponevano l’annullamento?  Ed a cosa pensavano tutti i componenti del collegio quando parevano interessati all’argomento? Ma soprattutto, come e con quali contributi hanno partecipato alla camera di consiglio?

E come mai nessuno di loro, nel licenziare il verdetto di declaratoria di inammissibilità del ricorso si è ricordato che vi era un tema che “doveva” imporre l’annullamento della sentenza?
Ed infine: perché mai un errore così madornale non è stato visto prima di rendere pubblica la sentenza e prima di apporre le firme in calce ad essa; e prima di spedire in galera due cittadini?
L’attento lettore risponda alle domande che ogni cittadino dovrebbe porsi, e solo dopo, esprima un “consenso informato” a favore del timido accenno alla repressione degli errori in materia di giustizia. Timido, perché ci sarebbe ancora tanto altro da fare

Nessun commento:

Posta un commento