venerdì 27 novembre 2015

LOTTA AL TERRORISMO : PANEBIANCO CONTRO LE GARANZIE ?

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Io non credo che qualcuno, in buona fede, possa accusare Panebianco di essere un giustizialista, uno incurante dei principi dello Stato di Diritto e della tutela delle garanzie dei cittadini.
Penso, nel mio piccolo, che nemmeno al Camerlengo si possano muovere simili accuse.
Eppure farà storcere più di qualche bocca, ne sono certo, l'editoriale odierno del professore sul Corriere della Sera in cui sprona i magistrati a non essere "timidi" nei confronti della minaccia terroristica, biasimando duramente alcuni provvedimenti troppo morbidi.
Pur con sofferenza, dati i tempi, sono d'accordo con lui.  La sensazione è che le nostre toghe siano, more solito, forti con i deboli ( che tali ormai sono anche i politici, specie di seconda fascia) e deboli con i forti ( e se gli amici dei Jidhaisti condannati mi vengono a trovare sotto casa ??) . 
A parte questo, in tempi eccezionali, ci sta l'assunzione di provvedimenti d'emergenza, con la sospensione temporale e mirata (nel senso di non estesa alla cieca) di alcune prerogative normali in tempo di pace. La Francia lo sta facendo, e io sono d'accordo con Valls, il primo ministro francese che in un'intervista l'altro giorno ha detto alcune cose che sposo in toto :
1) "Rifiutare di usare la parola guerra è una forma di negazione della realtà"
2) La risposta di roma dopo Parigi è stata all'altezza ?
"cosa succederebbe se dicessi di no ?"
3) "La battaglia sui valori e contro le disuguaglianze è giusta , e la stiamo facendo da tempo. Ora la priorità è annientare i terroristi. Delle cause ci occuperemo dopo"
Con queste premesse, potevo non essere d'accordo con Panebianco ?
Buona Lettura

 



 

Le timidezze dei magistrati

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Risorsa o anello debole? La magistratura aiuterà il Paese applicando con energia i propri strumenti repressivi nella guerra di difesa dal terrorismo islamico in cui siamo stati trascinati al pari degli altri occidentali? O si rivelerà la parte più debole della diga che si cerca di erigere contro i violenti? Alcuni dei presunti jihadisti arrestati a Merano dai carabinieri in un blitz contro l’estremismo islamico pochi giorni prima della strage di Parigi, sono già in libertà. Il gip non ha rilevato sufficienti indizi per convalidare l’arresto. Il giudice conosce le carte e noi no. Forse ha ragione. I precedenti però non sono incoraggianti. Giovanni Bianconi, in diversi articoli apparsi sul Corriere, ha documentato quanto fossero pericolosi i quattro estremisti islamici residenti a Bologna e espulsi dal ministero dell’Interno dopo che il gip non aveva convalidato gli arresti disposti dalla Procura. Nel computer di uno di loro ( Corriere di mercoledì) c’era, insieme a predicazioni jihadiste, un manuale con istruzioni per la guerriglia urbana.
Il Foglio della settimana scorsa ha evocato un’inquietante connessione fra la strage di Parigi e l’Italia. L’indottrinatore dei terroristi di Parigi, Bassam Ayachi, arrestato nel 2008 a Bari per organizzazione di immigrazione clandestina, poi accusato di terrorismo per via di una telefonata in carcere in cui si progettava un attentato, e condannato a otto anni, venne dapprima inspiegabilmente rilasciato e poi assolto in Appello. I giudici lasciarono libero di andarsene in giro un black mamba , un serpente velenosissimo e mortale.

Nel settembre del 2014 il settimanale L’Espresso fece un’inchiesta sugli ormai troppi casi di jihadisti, accusati di terrorismo internazionale, passati per le mani della giustizia italiana e assolti o comunque lasciati liberi di continuare altrove la loro mortale attività. Per esempio, accadeva che certi giudici fossero disposti a riconoscere come «opinioni», libere manifestazione del pensiero, non perseguibili, i proclami jihadisti (sgozziamo tutti gli infedeli, e simili). Ma il punto è che quei proclami non erano «opinioni», erano atti di guerra, anelli di una catena di azioni che portavano (e portano) all’assassinio di persone inermi. L’avvocato ha il diritto di dire che un proclama jihadista è una libera opinione. Ma c’è un problema se il giudice ci crede.
Il proclama jihadista non è un’opinione e il jihadista non è un qualunque cittadino: è il soldato di una guerra santa globale, parte di una comunità di combattenti che pensa di agire in nome di Dio. Chi crede che sia «illiberale» perseguire un jihadista che promette morte e distruzione non sa nulla di liberalismo. Non è per niente liberale dire che non abbiamo il diritto di difenderci da chi dichiara di volerci colpire, essendo la libertà dall’assassinio la prima libertà, senza la quale nessun’altra libertà è possibile.
Magari, le inchieste di stampa hanno registrato solo una serie (piuttosto lunga) di «infortuni». Magari, un’analisi più sistematica potrebbe mostrare un quadro diverso. L’impressione però è che non sia (ancora?) così. Ci sono due possibili obiezioni a quanto qui sostenuto. La prima è debole, la seconda è vera solo a metà. L’obiezione debole è quella secondo cui, così come la magistratura fece la sua parte all’epoca delle Brigate Rosse (anni Settanta), non c’è motivo di credere che — sbandamenti iniziali a parte — non la farà contro il terrorismo islamico.
Le situazioni sono diverse. Non c’è solo la differenza fra terrorismo nazionale e terrorismo transazionale, molto più sfuggente. C’è, soprattutto, il diverso ruolo della magistratura. All’epoca del terrorismo italico, essa accettava il primato della politica o, se si preferisce, era al guinzaglio dei partiti. La parte meno raccontata della vicenda del terrorismo brigatista riguardò la sotterranea competizione fra il Pci e la Dc. Il Pci che aveva assunto posizioni dure (per via dell’«album di famiglia») contro i brigatisti, sostenne con forza l’azione antiterrorismo della magistratura riuscendo così a scalzare la Dc come suo principale «partito di riferimento». In ogni caso, c’erano partiti forti e i magistrati ne seguivano le indicazioni.
I partiti di allora non ci sono più e la magistratura non riconosce più il primato alla politica. Si considera al servizio della sola Costituzione. Tradotto, significa che le indicazioni che vengono dalla politica saranno accettate solo se i magistrati le condividono. Il governo può benissimo varare misure dure contro il terrorismo, rafforzare polizia e intelligence , eccetera, ma se poi certi magistrati non le approvano possono vanificarne il lavoro. Il rischio è che si continui come oggi, con i magistrati in ordine sparso: alcuni scelgono il rigore, altri l’opposto. Con l’effetto finale di rendere inefficace l’azione di contrasto. Come sempre, il confine è sottile: dove comincia l’ingerenza che attenta alla libertà del magistrato e dove finisce la legittima aspettativa che la magistratura remi nella stessa direzione di chi cerca di bloccare una minaccia mortale?
La seconda obiezione è solo una mezza verità. C’è chi dice: tutto dipende dalle leggi, se sono sbagliate l’azione dei magistrati ne risente. È vero ma solo fino a un certo punto. Possono esserci certamente leggi inadeguate. Ma le leggi non sono tutto. Contano anche le prassi giudiziarie, le quali possono piegare le leggi in una direzione o nell’altra a seconda degli orientamenti della magistratura.
Gli atteggiamenti «morbidi» documentati dalla stampa sono cosa del passato? Il salto di qualità fatto dal terrorismo obbligherà anche certi magistrati a rimodulare orientamenti e pratiche? I «machiavellici» (che non hanno mai letto Machiavelli) pensano che sia un bene se quella rimodulazione non ci sarà, se gli atteggiamenti «morbidi» non verranno abbandonati.
Magari è questa la ragione per cui, pensano i machiavellici, nessun attentato serio ha ancora colpito il nostro Paese. A parte il rischio che altri governi europei giungano alle stesse conclusioni accusandoci così di doppio gioco, per quanto tempo una simile immunità potrebbe durare? Risorsa o anello debole. Al momento, è difficile stabilire che cosa sarà la magistratura, nel suo complesso, nelle prossime fasi di questa guerra difensiva.

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