lunedì 3 aprile 2017

NEL PAESE IN CUI LA GIUSTIZIA NON FUNZIONA, GLI ITALIANI INGOLFANO PER OGNI SCIOCCHEZZA I TRIBUNALI

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L'essere umano, ammettiamolo, è piuttosto portato all'ipocrisia, e del resto la coerenza è un impegno difficile, lodevole da percorrere, accettando di scivolare.
Ma tra peccare di incoerenza, ed essere strutturalmente ipocriti, c'è differenza, esattamente come c'è tra il criminale abituale e il contravventore occasionale. 
Nel campo della giustizia, gli italiani sono palesemente incoerenti e contraddittori. Nonostante abbiano la corretta percezione - due cittadini su tre - che il sistema NON funzioni, e uno su due si fida poco o punto dei giudici (leggere il post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/03/un-italiano-su-due-non-si-fida-dei.html ), pure ingolfano di istanze , ricorsi, denunce di ogni genere i palazzi di giustizia.
Ma allora siamo stupidi !?!?
Pierluigi Battista, sul Corsera, si concentra su questo aspetto e rileva come ormai per ogni scemenza gli italiani, invece di ricorrere al buon senso, trovare utili mediazioni o anche rassegnarsi (che anche quella può essere una soluzione virtuosa, piuttosto che finire nei gironi infernali della non giustizia dei tribunali ), prendono e bussano al Palazzo.
Vicini troppo rumorosi, cani che osano abbaiare, neonati piangere...la casistica elencata da Battista non è mero paradosso ma tristissima realtà. Conosco l'obiezione : ma se qualcuno lede i miei diritti, ed è un prepotente, volgare e ignorante, devo abbozzare, visto che tanto un compromesso con un soggetto simile è ipotesi lunare ??
A volte sì, vista l'alternativa . Ci sarebbe un'altra soluzione, a dire la verità, quella che risponde al principio " a brigante, brigante e mezzo". Insomma, se si hanno le qualità del caso, a volte è possibile mettere a posto la prepotenza altrui senza bisogno della legge.
Tra l'altro, l'inflazione delle questioni, non di rado bagatellari, di scarso rilievo (oggettivamente, s'intende, perché ai nostri occhi sono SEMPRE molto importanti...) , ingolfano la macchina, già di suo assai poco brillante, e quindi anche quelle più serie finiscono per essere oltremodo rallentate.
Io sono consapevole che non sono bei discorsi, che le persone dovrebbero poter contare sui difensori della legge, e quindi forze dell'ordine e poi giudici, perché le regole della civile convivenza vengano fatte rispettare.
Ma so anche che, in uno Stato di Diritto e Democratico, è assolutamente indispensabile che la grande maggioranza dei cittadini si adeguino spontaneamente a queste regole, perché le condividono, le ritengono logiche, ragionevoli, giuste.
L'infrazione sarebbe in questo caso l'eccezione, e l'apparato preventivo e repressivo potrebbe funzionare adeguatamente.
Così da troppo tempo non è, e le conseguenze sono quelle che vediamo.
Allora la gente invoca la forca, la polizia ad ogni angolo...e lo stato di polizia sembra una soluzione da non paventare, anzi.
Pericoloso.




Il Paese dove tutto finisce in tribunale
di Pierluigi Battista
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Nel Paese in cui la giustizia non funziona e i processi durano un’eternità e si dice addirittura che sia finita la giustizia civile, la giustizia ha emesso una sentenza in cui si costringe una coppia a pagare una multa salata perché il cane ha abbaiato una manciata di secondi più del consentito. E non è una barzelletta, è un fatto verissimo, è la vita quotidiana degli italiani che si lascia docilmente colonizzare dai tentacoli giudiziari. Anche una donna che aveva steso i panni dal balcone al di sotto della soglia concordata con l’appartamento sottostante ha dovuto pagare il conto con la giustizia: anche questa non è una barzelletta, è vita vera italiana. Siamo un Paese litigioso che si lamenta sempre delle invasioni di campo della magistratura, ed è vero. Ma che contemporaneamente chiede ai giudici di decidere sempre, sia sulle inezie che sulle cose importanti. E dove il giudice deve dire la sua su ogni aspetto della vita associata, come se la strada, la vita della strada, fosse stata sostituita da un’aula di tribunale, nel rigore grigio e freddo di un libro di giurisprudenza.
«Un giorno in pretura» non è solo il titolo di un film meraviglioso, ma è la profezia dell’Italia nei primi decenni del Duemila dove si compie quella distorsione che in America avevano ribattezzato con termine difficile «giuridicizzazione» di ogni atomo della vita sociale.
La «giuridicizzazione» Basta scorrere le cronache degli ultimi giorni per accorgersi che oramai la «giuridicizzazione» copre ogni dettaglio della nostra vita. È stato un giudice che nei giorni scorsi ha deliberato che il gasdotto Tap avesse via libera, è stato un giudice che ha stabilito che non è offensivo nei confronti degli studenti che onorano un’altra religione che una scuola potesse ricevere la benedizione pasquale.
La scuola è diventata oramai un terreno fertilissimo per le controversie che finiscono nelle mani dei giudici a cui i cittadini consegnano le chiavi della decisione. Il Tar viene investito dalle denunce dei genitori che non sopportano i brutti voti dei figli e che esercitano un tale grado di tutela sulla prole costretta a studiare da coinvolgere l’autorità per dirimere controversie che in altri tempi nemmeno esistevano.
Un’altra disputa, molto simile a quella che si è scatenata attorno alla benedizione pasquale, è quella che è divampata attorno al crocefisso da appendere in aula: resta da attendere una sentenza per qualche istanza giudiziaria sugli alberi di Natale e i presepi, siamo vicini, bisogna avere pazienza.
C’è poi la sentenza che stabilisce criteri e modalità di quella che molti lettori del Corriere chiamano la «schiscetta» per gli studenti, e cioè la merenda da portare a scuola. Si può portarsi la merenda da casa? Che dice la legge? Come intasare le aule di giustizia dove tanto nessuno ha niente da fare, a parte degli arretrati da far vergogna?
Cani che abbaiano, panni stesi, merende, bocciature scolastiche. Inezie, che però disegnano un quadro in cui, scomparsi gli organi della «mediazione», i partiti, le associazioni, i sindacati, i comitati, i centri culturali, lasciano il singolo cittadino con l’unica «mediazione» oggi chiamata a decidere: la giustizia.
Toghe e politica Un fenomeno che coinvolge le piccole cose, ma tocca temi importantissimi, da cui la politica fugge, affidando ai giudici il compito di decidere per lei che è incapace di farlo. Quando per esempio è stata approvata la legge sulle unioni civili tra le persone dello stesso sesso, si è deciso, per evitare lo scoglio di fratture politiche e insormontabili divergenze di vedute etiche, di mettere da parte la spinosa questione della stepchild adoption con la curiosa motivazione: tanto sarà la magistratura a decidere. E infatti è avvenuto proprio così: in mancanza di una legge, la magistratura interviene, ovviamente con forte soggettività interpretativa.
La stessa cosa accade con la mancata legge sul «fine vita»: chi ha deciso se non un giudice il destino di Eluana Englaro?
La storia e i condomini Anche nel caso della legge sul «negazionismo», che stabilisce pene per chi addirittura nega l’esistenza storica dell’Olocausto e della Shoah, si è dato ai giudici il potere di stabilire ciò che si può scrivere da ciò che è vietato scrivere: e infatti molti storici che sono acerrimi nemici del negazionismo hanno protestato per una legge che li mette in un angolo e trasferisce alla magistratura il verdetto finale.
Ma queste sono cose maledettamente serie che fanno da cornice alla «giuridicizzazione» di ogni ambito della vita.
La dilatazione estrema di accuse su presunti «abusi d’ufficio» da parte degli amministratori locali ne è un esempio evidente. Ma dalla scuola alla famiglia, dalla politica ai condomini, dalla disciplina dei cani nei parchi ai gasdotti, è tutto un appellarsi alla giustizia.
Ma non si diceva che non funzionava?

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