sabato 16 dicembre 2017

LE ELEZIONI A MARZO INUTILI ? ANCHE NO

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Aldo Cazzullo è giornalista di buon senso, ma certo non brillante. Scrive spesso cose scontate, che non si possono non condividere, ma alla fine della lettura la sensazione, per me, è sempre : eh allora ? 
L'editoriale di oggi, centrato sull'allarme che venga sottovalutato lo scenario di un non governo dopo le elezioni di marzo prossimo, è perfettamente in linea con la sensazione descritta.
Ok, dire che se non emergono maggioranze chiare basterà tornare al voto dopo tre mesi è una semplificazione , ma non sono affatto sicuro che Berlusconi - l'uomo che avrebbe esternato questa previsione - intendesse banalizzare. 
Ma a parte questo, caro Cazzullo, quale sarebbe l'alternativa ?  L'Italia è spaccata in quattro tronconi : grillini, PD, centro destra ( assai poco coeso) e astenuti.  Questi ultimi pesano almeno il 30%, e sono tantissimi.  Gli altri tre grosso modo si equivalgono, dividendosi in tre i votanti, e lasciando un 10% ai cespugli vari, sui quali spunta, forse cespuglione, quel Liberi e Uguali (non c'era uno spot pubblicitario femminile che recitava "libera e bella" ? avranno preso spunto da lì...) guidata niente popodimeno che da Grasso ( peggio di rifondazione con Bertinotti !). 
Nessuno, secondo i sondaggisti, prenderà quel 40% che farebbe scattare il premio di maggioranza sopravvissuto alla ristrutturazione dell'Italicum originario, a cui la Corte Costituzionale ha tagliato - lodevolmente - il secondo turno con ballottaggio privo di qualsiasi quorum di partecipazione. A quel punto bisognerebbe cercare in Parlamento una quadra, con la coalizione tra forze antagoniste ma in grado di ipotizzare un programma comune. Succedeva da noi nella prima repubblica (ma anche nella seconda, visto che vincevano delle coalizioni, non dei singoli partiti, con conseguenti compromessi tra le diverse forze componenti l'alleanza elettorale), succede in Germania, con la Merkel che ha sempre governato alleandosi con "altri", in Spagna, in Olanda...L'elenco è lungo. 
Quindi si può. 
Da noi è complicato immaginarlo anche perché al momento è tutto un fiorire di negazioni sul tema. TUTTI negano che daranno vita a "inciuci", così spregiativamente chiamano ciò che in politica è fisiologico se NESSUNO ha da solo la rappresentanza necessaria per avere la maggioranza parlamentare. 
Peraltro queste sono cose che si dicono PRIMA del voto. Dopo la musica cambia, e, scomodando l'interesse superiore della nazione, qualcosa vedrete che salterà fuori.
Non è un quadro che mi piace, specie pensando ad un governo formato da 5 Stelle e Lega (magari pure con Fratelli d'Italia, ancorché vorrei vedere tutti i sinistrorsi che militano nei grillini convivere con quelli di destra della Meloni), o, peggio, Pentastellati e redivivi comunisti di Grasso e soci. Però questo è. 
In un paese più sereno e meno tifoso, forse PD renziano e FI berlusconiana avrebbero il coraggio di dire che, in questo momento, loro costituirebbero l'unica alleanza accettabile per un governo non avventurista. 
Ma non si può dire. Forse si potrà fare.
Naturalmente mi piacerebbe che il centro destra coalizzato raggiungesse il 40% e la maggioranza, ma non credo proprio che accadrà, e quindi, subito dopo il voto, ognuno dei tre si prenderà i suoi e agirà da solo. 
A quel punto, tra tutti i scenari immaginabili, quello sopra descritto è quello che mi sarebbe meno indigesto (con tutta la nota antipatia umana per renzino...). 

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Le illusioni dei partiti sulle elezioni di marzo

L’idea che il voto di marzo conti poco, perché tanto fra tre mesi si rivota, è fuorviante e pericolosa. Proprio come l’illusione che si possa stare anche un anno senza governo, senza che nulla accada
  di Aldo Cazzullo

 disegno di Ugo Guarino


È un’allegria di naufragi, quella che pervade la politica italiana. L’idea che il voto di marzo conti poco, perché tanto fra tre mesi si rivota, è fuorviante e pericolosa. Proprio come l’illusione che si possa stare anche un anno senza governo, senza che nulla accada. Si parla del precedente spagnolo; che però non esiste, almeno non nel senso in cui lo si evoca in Italia. È vero che la Spagna è rimasta sei mesi, tra il Natale 2015 e il giugno 2016, con un esecutivo in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, formula vaga che può voler dire niente o tutto. Ma il ritorno alle urne non ha dato al Paese una maggioranza, bensì un accordo. Rajoy non governa grazie a una maggioranza parlamentare che non ha, ma grazie al sostegno dei socialisti; che si è fatto più saldo da quando è insorta l’emergenza catalana.

Più che una grande coalizione legata dalla virtù e dall’interesse nazionale, la Spagna si regge su un’intesa dovuta alla necessità e all’interesse di partito: in eventuali elezioni anticipate si rafforzerebbe il premier, garante dell’unità nazionale, e il Psoe rischierebbe di scendere sotto quel 20% che pare ormai diventata la soglia dei partiti riformisti d’Europa.


Non si vede come in Italia una seconda campagna elettorale possa cambiare i rapporti di forza. Senza considerare che il presidente della Repubblica farà di tutto, non per sua personale ostinazione ma per fedeltà alla Carta costituzionale, pur di dare al Paese un governo.

E per motivi non altrettanto nobili anche i parlamentari che avranno strappato un seggio opporranno una vigorosa resistenza all’idea di rimetterlo in gioco dopo pochi mesi. Il miraggio di nuove elezioni in breve tempo è destinato quindi a rimanere tale; ma può comunque fare danni.

La disillusione non è mai stata tanto alta, la distanza tra elettori ed eletti mai tanto ampia. Ormai è difficile persino mobilitare i cittadini per la scelta del proprio sindaco; figurarsi per designare parlamentari di fatto scelti dalle segreterie dei partiti. Se passa l’idea che il voto di marzo sarà inutile o comunque destinato a essere ripetuto, cresceranno sia l’astensione, sia la frammentazione; e l’avvento di «quarte gambe», foglioline d’Ulivo e altri partitini non farà che rendere ancora più complicato assicurare la stabilità.

Il voto di marzo sarà invece molto importante; a ricordarlo basterebbe la presenza di un movimento antisistema vicino al 30%, cosa che non si è mai vista in una democrazia occidentale (Trump era sì un outsider, però aveva vinto le primarie di uno dei due grandi partiti su cui da secoli si regge il sistema politico americano). Le incognite sono molte e interessanti: c’è spazio per una forza alla sinistra del Pd? Renzi è stato solo una meteora? Il centrodestra può avere i numeri per governare da solo? E certo non sono in gioco soltanto interessi personali o di fazione.


L’Italia non è la Germania, per citare un grande Paese in mezzo al guado. E non è neppure la Spagna, che con la Germania intrattiene un rapporto privilegiato: il debito pubblico di Madrid è per buona parte in mani tedesche, e questo aiuta a capire il salvataggio delle banche spagnole con i denari europei, e pure l’appoggio ad Amsterdam per la sede dell’Agenzia del farmaco come da desiderio della Merkel. L’Italia ha un debito pubblico abnorme, che non può essere risanato solo con i tagli, ma richiede una crescita vigorosa: qualsiasi parametro calcolato sul Pil andrà male, fino a quando il Pil non risalirà in modo significativo. Il Paese sta riemergendo a fatica dal più grande depauperamento della storia repubblicana, paragonabile a una guerra perduta. Siamo sicuri che l’assenza di un esecutivo nel pieno dei suoi poteri, di una politica economica e industriale, di ministri in grado di trattare da pari a pari in Europa e sui tavoli internazionali, siano un toccasana per un Paese osservato speciale delle istituzioni finanziarie e dei mercati? Già una volta, nell’autunno 2011, l’Italia si trovò al centro di una tempesta speculativa. All’epoca dovette dimettersi un governo che non era mai stato sfiduciato dal Parlamento. E ora pensiamo di affrontare le burrasche prossime venture senza governo?

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