giovedì 28 dicembre 2017

SIGNORA ANNUNZIATA, CI SONO ANCORA I MODERATI IN ITALIA ?

Risultati immagini per i moderati in politica

Simpatia per Lucia Annunziata , giornalista nota per le sue scorribande su RAI 3, nessuna.
Però da un po' scrive su La Stampa, mi capita di leggerla, e l'editoriale di oggi non è male.
E' una sorta di fotografia dei vari poli posizionati al nastro di partenza per la campagna elettorale nazionale, scattata in modo lodevolmente sobrio, senza palle incatenate contro personaggi, segnatamente Berlusconi e Salvini (soprattutto col primo la giornalista si scontrò più volte ai tempi belli del Cavaliere), lontani dal cuore della Lucia (che è naturalmente di sinistra).
E anche contro Renzi, altro personaggio che sono pronto a scommettere non propriamente caro alla Annunziata, viene rappresentato con realismo, senza cedimenti polemici. 
Infine, nessun assist ai "suoi", quelli  di Liberi e Uguali, per i quali non prevede grande fortuna.
Il motivo conduttore dell'articolo : la corsa di tutti a catturare l'elettorato moderato, da sempre considerato l'ago della bilancia per il successo finale. 
Io non so quanto siano ancora prevalentemente moderati gli italiani.  La perdita del benessere facile, gratis, la perdita dei benefit a pioggia, legali e non (tradotto : la tolleranza diffusa per i tanti piccoli, medi e grandi malcostumi nazionali) , hanno fatto parecchio arrabbiare i peninsulari e lo spirito moderato si è logorato. 
Come altrimenti spiegare la resistenza delle parole d'ordine grilline nonostante la non certo buona prova di sé data dai parlamentari, in questi 5 anni, o dagli amministratori locali, Raggi in testa (logoratissima ad appena un anno dall'inizio del mandato) ? 
Pizzarotti, rieletto a Parma, è l'esempio concreto che se sei onesto, e vuoi fare sul serio, poi devi archiviare le panzane ortottere, perché governare è altra roba. 
Certo, si può giustamente obiettare che non è che quelli che governano facciano stravedere, ma almeno gli obiettivi indicati sono parzialmente condivisibili, laddove così non è per i nipotini di Grillo. 
Spero quindi che sbaglino gli osservatori che prevedono una sorpresa a 5 stelle, come accadde nel 2013. Oggi i sondaggi danno i grillini primo partito con circa il 30% dei voti : tanti, troppi, ma per fortuna distanti dal 40% necessario per far scattare il premio di maggioranza. Ma se ci fosse l'exploit che qualcuno fa intendere ?
Speriamo che lo Stellone italico, quello vero, ci salvi. 
Chi spero faccia la fine di Ingroia (la vera gioia delle elezioni ultime...) sono appunto i sinistresi duri e puri di Liberi e Belli, ops no, Liberi e Uguali.  Già non era bello l'assembramento di gente come D'Alema, Bersani, ma adesso la ciliegina di Grasso leader (????!!!!) e Boldrini star, veramente c'è da toccarsi e fare gli scongiuri ...
Di Maio, l'illetterato incolto dei 5 stelle, ha anche adombrato una possibile alleanza post elettorale con i rossi...
Se non c'è uno tsunami, per fortuna le due forze non sarebbero sufficienti, ma vorrei far riflettore la gente di destra che gonfia le vele dei grillini. 
Signori, in questi 5 anni avete notato che quasi tutti i leaderini sorti all'ombra delle 5 stelle provengono e/o sono infarciti di movimentismo di sinistra ? Gente come Di Battista, Fico, solo per citare i più telepostati, che hanno a che fare con i valori di destra ? 
E a riconferma di ciò, ecco che Di Maio ventila un alleanza coi rossi d'antan...
Nel 2013, quasi un terzo degli elettori del Movimento provenivano da destra... Ci poteva stare...gente delusa, con Berlusconi e il centro destra in crisi, Grillo leader che si poneva in modo assolutamente trasversale. Ma oggi ? Il comico genovese si sta defilando, e i gruppettari, che magari sono pochi ma monopolizzano il blog grillino e finiscono per occupare le sedie che contano, fanno da guida verso un ignoto preoccupante. 
Forse è il caso di non insistere, e se proprio non ce la si fa a tornare a casa, meglio saltare un giro. 




Tutti in corsa per i voti dei moderati

LUCIA ANNUNZIATA
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Il convitato di pietra della prossima campagna elettorale non è un’idea, ma uno stato d’animo: il malcontento. Chi più riuscirà a rappresentarlo, o a sanarlo, sarà il vincitore, si dice. Come mai allora ovunque si guardi, a destra come a sinistra, tutte le forze politiche lanciano messaggi mirati soprattutto ad ottenere i consensi dell’area moderata?  

In primissima fila ai blocchi di partenza, non a caso spicca la figura di Silvio Berlusconi, l’unico leader che ha attraversato (quasi) intatto il ventennio. E’ nella sua versione proporzionale, ma fa da perno all’unica coalizione che può raggiungere una maggioranza. Silvio e il partito che guida da sempre sono entrambi ridotti nelle forze: Silvio ha venti anni in più, ha varcato gli ottanta, e Forza Italia quasi venti punti in meno rispetto ai fasti del passato. Ma entrambi sono, in questa loro semplice resistenza all’usura, diventati la prova materiale (e psicologica) che non tutto cade, o si deteriora. Questo atto di sopravvivenza , in tempi che hanno consumato ideologie, idee, partiti e reputazioni, vale da solo un programma politico. Curiosamente, infatti, il Silvio che oggi torna a raccogliere consensi indossa abiti totalmente diversi da quelli del primo Silvio. 

La discesa in campo nel 1994 fu un atto di sfida, la promessa/minaccia di un Prometeo che voleva riscrivere il panorama della politica italiana – e ci riuscì, rompendo il panorama tardopost-guerra-fredda che durava in Italia da troppo tempo. Il sistema dell’epoca non lo amò molto – come poi si è visto. Ma non è stato alla fine cancellato. E oggi torna come la nemesi di sé stesso: Silvio oggi è leader rassicurante (per la sua stessa durata). Promette tranquillità, continuità, non si è fatto attrarre da sovranismi, da guerre contro l’Europa, ma nemmeno dalla favola del populismo che accontenta tutti gli altri leader a destra. Il re dei moderati, insomma. 

E qui incontriamo Matteo Salvini, erede ma solo per via formale, di quella Lega con cui Silvio ha costruito in passato le sue fortune. Passato il tempo in cui la sua attività politica sconfinava nel goliardismo, con provocazioni più atte ad attirare l’attenzione mediatica che a costruire un partito, Salvini guida una Lega che del passato ha perso persino il nome Nord con cui si identificava. La Lega è sempre forte lì dove è nata e governa, il Veneto e la Lombardia, ma a Salvini è sempre stata stretta questa regionalissima identità – le patrie locali un po’ lo fanno soffocare, si ha l’impressione. Da quando ha mosso i suoi primi passi, molti di questi passi hanno calcato suolo e suggestioni estere: la Russia di Putin, l’identitarismo dei francesi lepenisti, l’ironia separatista inglese di Farage, e l’America di Trump. Salvini ama i grandi temi, e ne ha trovato uno perfetto alla fine: il rifiuto dell’immigrazione come grande collettore di ogni suggestione identitaria, bianca, e indipendentista.  

Ovviamente a Salvini è rimasto il gusto di scuotere, e dunque di spararle grosse – ma alla fin fine in questa vigilia elettorale le parole più gravi le ha già messe nell’armadio – di rompere con l’Europa non si parla molto, e di campagne contro i migranti non si sente tanto. Del resto Salvini ha davanti una partita ben più grande: quella di declinare il malcontento in chiave tale da attirare anche una parte dei moderati di destra che sta oggi con Berlusconi. E questo sì che sarebbe un colpo: come va ripetendo da un po’, «se batto Silvio anche di un solo voto faccio il premier».  

Il Principe dello «scontento» è per ora, comunque, il più giovane dei politici che calcherà la scena elettorale. Luigi Di Maio è il candidato premier del movimento che ha per primo intercettato e aiutato a coagulare lo scontento in forza politica. Sono stati i pentastellati il maglio che ha spaccato la struttura (già esanime) della Seconda Repubblica. Il loro programma appare dunque, fin da questo inizio, quello destinato al maggior successo. Le cifre dei poll gli danno numeri da primo partito. Alla lettura dei quali sorge tuttavia una domanda: ma perché un movimento dedito ad aprire il sistema «come una scatoletta da tonno», presenta come proprio candidato a Palazzo Chigi Luigi Di Maio, giovane con abiti ed abitudini, nonché idee molto istituzionali, o magari meglio ancora dire moderate?  

Il punto di caduta per i pentastellati nella campagna elettorale è dunque, un po’ come per la Lega, il giusto equilibrio che saprà trovare fra scontento e moderazione: dopotutto, una cosa è aizzare con i «vaffa», altro è governare.  

L’area moderata, chiamata riformista e moderna, è dichiaratamente anche il bersaglio di Matteo Renzi in questa che sarà la sua prima campagna elettorale nazionale: come ricorderete l’ex premier è riuscito ad arrivare a Palazzo Chigi prima che in Parlamento. L’idea con cui si è presentato in politica è quintessenzialmente moderata – rompere con il passato ideologico della sinistra tradizionale. A questa idea ha sacrificato molto. Ha subito la sconfitta del referendum, ha perso Palazzo Chigi ed ha rotto (o ha subito la rottura, come preferite) un partito forte e di lunga tradizione quale il Pd.  

Ora che c’è un nuovo Pd renziano, è l’ora per Matteo Renzi di mettere alla prova davvero la sua capacità di attrazione nonché la sua capacità di formare il destino della nazione. Sullo stesso banco di prova anche per lui: l’area moderata. Direttamente, prendendone i voti. O indirettamente, magari, come tutto lascia pensare dalle scelte del Pd, in una grande coalizione fra le forze di Berlusconi e quelle di Renzi. Che sarebbe poi la creazione di un grande fronte moderato al centro.  

Le forze radicali sono invece quasi tutte raccolte intorno a nuclei minori. Liberi e Uguali, movimento dei fuoriusciti dal Pd non pare goda al momento di grandi favori elettorali. In ogni caso, la nuova formazione ha scelto come guida un ex magistrato, una figura superistituzionale come l’ex presidente del Senato Grasso. Cos’è questa scelta se non una forma di rassicurazione contro gli strappi per chi vota a sinistra?  

Moderati ovunque, insomma. Sotto la coltre pesante di scontento, appare la richiesta di non portare il Paese a sbattere.  


Ma se questa è la domanda segreta delle urne, va a finire che vero vantaggio nella campagna elettorale lo godrà il governo Gentiloni che ha chiuso le Camere ma non si è dimesso, e che, secondo molti auspici, potrebbe essere pronto a continuare anche dopo il voto. Dopotutto, è il governo che finora, poll alla mano, pare abbia più rassicurato il Paese.  

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