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giovedì 16 giugno 2011

UNA STORIA

Avevo iniziato da poco a fare l'avvocato , non più di 2-3 anni, ero ancora inesperto, quando un cliente mi fece conoscere un suo amico , un commerciante, che cercava proprio un giovane avvocato che lo seguisse. Ci incontrammo e fortunatamente gli "piacqui" . Mi disse subito, dal primo incontro, perché mi sceglieva : gli sembravo sufficientemente sveglio , prudente il giusto per non fare errori gravi nonostante la poca esperienza, e mi rendevo conto che non potevo "pretendere" troppo. Insomma, come scommettere su un giocatore giovane.
Sono passati da allora 25 anni, io non sono più giovane, lui però è ancora mio cliente, si vede che male non si è trovato. Oppure che costo ancora poco.
Negli anni abbiamo preso confidenza. A lui piaceva parlare, a me ascoltare. Quindi prese l'abitudine di prendere appuntamento in tarda serata, in modo che dopo di lui non ci fosse nessuno, la giornata lavorativa finita, e quindi  risolte piuttosto velocemente le pratiche lavorative, ci potessimo dedicare ad "altro". In realtà sempre a lui, però non al commerciante, all'uomo.
La storia di X non è , per fortuna, una storia comune, anche se, essendo lui nato proprio alla fine della guerra, nemmeno temo così insolita. Una famiglia di 5 figli, povera, la madre a 11 anni gli dice che non lo possono tenere in casa, non ce la fanno. Deve andare in istituto. X mi parlava sempre con calma, una voce bassa, di questo istituto dove dormivano in camerate, dove al refettorio, fatto di tavoli e sedie di ferro, dovevano mangiare senza fare rumore e se una sedia veniva spostata in modo poco accorto, infastidendo i superiori, i ragazzini venivano fatti alzare, uscire in cortile, fatti restare in piedi con le braccia sollevate. Mentre mi raccontava queste cose, come detto, X non si alterava. Solo quando mi raccontava delle punizioni, la sua voce si abbassava un po' di più, e sotto avvertivi un leggero tremito. Di rabbia.  "ci facevano stare così, in piedi, immobili con le braccia aperte" i più piccoli dopo un po' cedevano, qualcuno abbassava le braccia. "Allora uno degli addetti al controllo, un uomo come me oggi, gli dava una sberla sulla testa e lo faceva ruzzolare per terra". Mentre lo diceva, si vedeva che avrebbe voluto tornare li, in quell'istituto, e ritrovare  quell'uomo, e fargli provare com'è diverso trovarsi di fronte non più un bambino inerme ma uno grande come lui.
Da ragazzino, fuggì diverse volte, finché a 15 anni iniziò a lavorare. Era sempre povero, e non voleva.
Era grosso, era forte, era svelto. Pensò che per fare quello che gli piaceva, "commerciare", aveva bisogno di soldi per cominciare. Metterli da parte non ci riusciva, e poi ci voleva troppo tempo. Iniziò a rubare. Non mi disse   se era stato mai arrestato, condannato. Solo una volta, parlando di mani pulite, parlò con disprezzo dei ladri della politica, perché erano dei "vigliacchi", non tanto, o meglio , non solo perché erano degli "infami" (parlavano), ma perché PIANGEVANO.  "se fai una scelta, poi non devi piangere per le conseguenze".
Mi è venuto da pensare che lui parlava così per esperienza, perché lui NON aveva pianto.
Ma non ne sono certo.
Dopo qualche anno smise. Aveva messo da parte quanto gli serviva per cominciare, un piccolo capitale (magari oggi la UE glielo dava senza rubare, ma non ne sono mica certo) e iniziò la sua attività di commerciante, che andò subito molto bene e lo fece diventare un uomo benestante, molto.
 Mai un uomo sereno. Però si sentiva Libero. "Il danaro è libertà". Così mi diceva.
A 18 anni conobbe la moglie. Una donna piccola ( X è un omone), semplice. Troppo. Oggi sono divorziati, lei non ha mai cercato un altro uomo, lui si preoccupa sempre di lei. La chiama, di tanto in tanto passa anche a trovarla. Ha fatto in modo che non le mancasse nulla. Per lui non è stato facile "rompere" la famiglia, un valore importantissimo per chi non l'aveva avuta.
Ma erano veramente troppo diversi e dopo 30 anni lui non ce l'ha fatta più. Un giorno è tornato a casa dal lavoro, ha guardato i suoi figli ormai grandi, ultraventenni, il volto sempre triste e scontento della moglie , che chissà da quanto tempo temeva quel momento e faceva di tutto per realizzarlo ("la profezia che avvera se stessa" la chiamano gli psicanalisti) . E' salito in camera sua, ha fatto una valigia con le cose essenziali, è sceso e ha detto semplicemente "io me ne vado".  Non sarebbe riuscito a farlo in un altro modo.
Una volta gli chiesi :"come mai l'ha sposata ? eravate così diversi !" Lui mi rispose con un accenno di sorriso amaro "ero giovane, avevo 18 anni, e lei era buona. Io non avevo mai conosciuto una persona buona".

2 commenti:

  1. Stefano, io ero più povero di X e sono stato in collegio tanto tempo più di lui: ne avrei tante di cose da raccontarti. In vita mia le ho raccontate soltanto a due persone, mi piacerebbe raccontarle a te...

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  2. E io ne sarei felice. Vuoi scrivermi ? Se non riesci sul CAmerlengo , ti do' il mio indirizzo di posta personale : steve4761@hotmail.it. Se invece preferisci parlarne, mettiamoci d'accordo.
    E grazie. IL tuo commento è un bel dono.

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