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giovedì 7 luglio 2011

"PIOVE MA NON DOVREBBE PIOVERE "


Ormai è evidente a chi segue il Camerlengo la predilezione per gli autori Liberali ( ma mi si darà atto, NON SOLO) e Piero Ostellino tra questi è tra i più netti .
Ritengo molto chiaro ed esauriente il suo intervento di oggi sul Corriere, ponendo, come spesso fa, problemi di carattere ampio pure partendo dal particolare (l'attuale manovra di governo). 
Ne abbiamo parlato in altre occasioni. Polito scriveva, e l'abbiamo riportato, che una manovra così sa molto di Prima Repubblica , con interventi a pioggia, volti a fare cassa immediata, per lo più, mai strutturali.
Ma poi, tutti a riempirsi la bocca con la parola RIFORME, da Destra a Sinistra, e poi appena si tratta di fare cose POPOLARI (salvo i diretti interessati ovvio, che però sono centinaia o al massimo migliaia di soggetti, non MILIONI) , eccolo li che si rimanda. Parlo ovviamente, solo per fare degli esempi, della riduzione dei parlamentari, della riduzione del loro costo e specialmente dell'abolizione delle province, di cui sento parlare da almeno..quanti ? 30 anni ? Del resto il problema è ancora più antico : con l'avvento delle Regioni, le Province ovviamente non avevano più senso : ente territoriale doppione. Quanti anni sono ? 41. Ecco appunto.
Buona Lettura 
 
LA DILATAZIONE DELLO STATO di PIERO OSTELLINO
Da "Il Corriere della Sera" di giovedì 7 luglio 2011

Tutti i governi sia di centrodestra, sia di centrosinistra - sono condannati a fare la stessa politica finanziaria:
spesa pubblica elevata;
pressione fiscale elevata per farvi fronte. I costi dello Stato hanno cancellato la storica distinzione fra destra e sinistra. La mancata rivoluzione liberale del Popolo della libertà di Berlusconí fa il paio con l`ambiguo riformismo del Partito democratico di Bersani. Se si inverte l`ordine dei fattori -- Tremonti e Visco - il prodotto (fiscale) non cambia.
Il centrodestra giustifica la pochezza della sua riforma fiscale - che prevede tre nuove aliquote Irpef al 20, 30, 40% - con l`enorme debito pubblico e l`esigenza di ridurlo. Ma l`alibi del debito è guardare il dito invece della luna.
Ha ragione Tremonti quando dice che gli Stati producono più deficit che Pil. Bisognerebbe, allora, smetterla di guardare il dito e incominciare a guardare la luna. Che è lo Stato come si è sviluppato dal secondo dopoguerra ad oggi. Un esempio delle ragioni per cui gli si chiede troppo, rispetto a ciò che può socialmente dare, e, di conseguenza, per cui finisce col togliere fiscalmente più di quanto dovrebbe, sta nell`articolo $ della Costituzione:
«...E compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine- economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l`eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana e l`effettiva partecipazione di tutti i lavo- ratori all`organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
In sintesi, si passa dalla constatazione di un dato di fatto - l`esistenza di diseguaglianze economiche e sociali fra i cittadini - all`impegno, da parte dello Stato, a realizzare eguaglianze dello stesso ordine. Ma la contraddizione è sanabile solo imponendo l`eguaglianza con la forza, in violazione delle libertà individuali, come hanno fatto i regimi di «socialismo reale»;
ovvero producendo un eccesso di spesa pubblica e di pressione fiscale che mortificano lo sviluppo, come accade in molte democrazie liberali. La prima eguaglianza, per via totalitaria, era «l`eguaglianza nella povertà» del comunismo, della quale, sotto il profilo economico e sociale, parlava Churchill;
la seconda eguaglianza, per via democratica, è, comunque, irraggiungibile perché gli uomini, ancorché uguali di fronte alla legge, restano, in regime di libertà, diversi per capacità, merito, fortuna. Auspicare che gli uomini siano eguali sul piano economico e sociale equivale a dire: piove, ma non dovrebbe piovere.
Lo Stato, dilatato oltre ogni ragionevole misura, è l`irrazionale deduzione di un giudizio di valore (staremmo meglio se non piovesse) da un giudizio di fatto (piove). In una democrazia liberale, si usa l`ombrello (le provvidenze dello Stato sociale), ma non si può pretendere che non si bagni nessuno (eliminare le diseguaglianze).
Giulio Tremonti, che è il ministro socialista di un governo che si vuole liberale, ha disegnato una riforma fiscale che fa in modo che non si bagni nessuno; ma che non ubbidisce all`imperativo liberale dello sviluppo: rassegniamoci che le diseguaglianze permangano, ma cerchiamo di stare meglio tutti.
La riforma si propone di perequare i redditi, riducendone le aliquote in modo pressoché uguale. Così, finisce col mancare i suoi obiettivi: i) di elevare in modo consistente le condizioni dei ceti meno fortunati, cui i pochi euro in più non cambieranno la vita; 2) di produrre la ripresa economica, grazie all`aumento dei consumi, abbassando radicalmente quelli medio alti, che hanno una maggiore capacità di spesa. Reagan s`era trovato davanti allo stesso dilemma. Ma Laffer - l`economista della «curva» omonima secondo la quale una elevata pressione fiscale provoca una forte evasione e una diminuzione del gettito, mentre una bassa pressione accresce il gettito perché (quasi) tutti pagano le tasse - lo aveva consigliato di ridurre in misura maggiore le tasse sui redditi medio-alti. E l`economia degli Stati Uniti era ripartita.
Se, anche da noi, non si prende atto che il problema è, innanzi tutto culturale, cioè etico-politico - le abnormi dimensioni dello Stato, l`eccesso di spesa pubblica e di pressione fiscale; la necessità conseguente di ridurre le dimensioni dello Stato e di diminuire l`una e l`altra - non ne usciremo mai.

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