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giovedì 8 dicembre 2011

ANCHE REPUBBLICA CRITICA SUPERMARIO, E LO FA DA DESTRA!!! E' PROPRIO NATALE!

Molto lucido l'articolo di Oscar Giannino - il bravo giornalista vigliaccamente aggredito da alcuni demenziali pseudostudenti della Statale di Milano - comparso sul suo Chicago Blog che riprende, completandole di suo, le critiche fatte alla manovra di SUperMArio da due illustri economisti: Alberto Bisin (professore alla N.Y University) e Alessandro de Nicola ( professore alla Bocconi, che se prima era famosa adesso è diventata una simil Harvard italica).
A me, come a Giannino, suscita stupore, ma anche PIACERE grande, il fatto che gli interventi di questi due pensatori liberali siano stati ospitati sulla prima pagina di REPUBBLICA. Chissà che il giornale di L.go Focherini, ottenuta la caduta del suo NEMICO, si sia calmata e torni ad essere un giornale capace di riflessioni vere...
Non è disperato pensarlo: prima dell'ossessione berlusconiana Repubblica era un bel giornale, mai sobrio come il Corriere, ma proprio per questo più brioso.
Poi s'impadronì di loro la MISSIONE, e quel che ne è seguito.
Ora la missione è compiuta, e magari si può dire addio alle armi. E se proprio proprio Babbo Natale volesse essere ancora più buono, Ezio Mauro decide ( o decidono, va bene lo stesso) che ha fatto il suo tempo e se ne va alla ricerca di  "migliori e più alti destini"...magari al Fatto gli trovano un posto...
Buona Lettura (mie, come al solito, le evidenze in rilievo).

"Uno dei più rilevanti effetti del governo d’emergenza è quello che mi ha provocato un mezzo orgasmo, stamane martedì 6 dicembre. Leggere in prima pagina i due editoriali di punta sulla manovra affidati ad Alberto Bisin e Alessandro de Nicola, due cari amici liberali, liberalissimi e anzi “mercatisti” – direbbe qualcuno arricciando il naso. Il primo in cattedra alla New York University, il secondo alla Bocconi e presidente della Adam Smith Society. Il primo a calar giù fendenti contro la via di inasprire le tasse, quando la pressione fiscale è già così alta e iniqua nella sua raccolta, mentre invece tonnellate di letteratura e verifiche e empiriche ci testimoniano che dalle crisi si esce meglio tagliando la spesa e abbassando le tasse. Il secondo a incalzare Monti sulle liberalizzazioni, che devono essere molto più energiche e in tempi stretti di quelle finora solo annunciate, tranne che per i farmaci di fascia C. Ecco, le critiche di Bisin e De Nicola sono le mie critiche, perché le convinzioni da cui partiamo sono le stesse. Se Repubblica ha deciso di sposare la linea liberale e di mercato, me ne compiaccio e il prode Alessandro Penati, castigatore intemerato di malcostume economico pubblico e privato in nome del mercato, sarà d’ora in poi finalmente meno solo. E’ da orgasmo vero, leggere sul giornale dell’Ingegner De Benedetti che bisogna farla finita una volta per tutte con “le favole della lotta all’evasione e della razionalizzazione e della riforma del settore pubblico, che ci vengono raccontate ormai da decenni, con i risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi”. Al contempo, a mio modestissimo giudizio sono parole che danno la linea dei liberali veri, sul governo Monti. Ma anche su che cosa dovrebbe dire – dopo non averlo fatto – una grande forza liberale che aspirasse a tirar fuori il Paese dall’incomoda posizione in cui è invece finito, di potenziale detonatore della fine dell’euro dopo che la Grecia ne ha fatto miccia per due anni. Quando vedo che intellettuali e giornali vicini al centrodestra rilanciano tesi antieuro e antimercato, sbeffeggiano Monti e Passera come burattini e burattinai di oscure cupole tecnocratiche che ordirebbero crisi dei mercati e guadagni dalle crisi, allora mi prende lo sconforto. Perché quella che stiamo vivendo dall’estate 2007 è crisi epocale del mondo avanzato illusosi della sostenibilità dell’eccesso di consumo privato come pubblico finanziato a debito. E in una crisi come questa liberali e mercatisti dovrebbero sguazzare rivendicandone soluzioni e rimedi. Non scimmiottare socialisti e statalisti in nome della tutela dell’eccezionalità italiana, delle pensioni di anzianità, e di consimili amenità.
Veniamo dunque alla manovra Monti. Se dobbiamo esaminarla dal punto di vista che dovrebbe essere proprio dei liberali, allora i sue difetti essenziali e macroscopici sono due. Due difetti che ne attestano il continuismo rispetto a cattive pratiche precedenti, non la pretesa discontinuità e tanto meno la rottura.
OSCAR GIANNINO 
Il primo difetto macroscopico è che manca una proposta per l’abbattimento in tempi rapidi di una quota considerevole del debito pubblico. Si sceglie di battere con ancora più convinzione la via degli avanzi primari, con un’ulteriore cospicuissima spremitura fiscale. Senonché a questo livello di pressione fiscale – dal 44,4% con crescita prevista all’1% l’anno prossimo, rischiamo di arrivare al 46% con crescita a meno uno nel 2012 – gli avanzi primari comunque non bastano ad abbattere il debito, perché il Pil cioè il denominatore dimagra e rimpicciolisce. Secondo, poiché l’economia reale è già in recessione, questa non potrà che aggravarsi. Al contrario, dal governo d’emergenza era e resta giusto attendersi una drastica misura che non ha effetti recessivi, e che contribuisce ad abbassare il rischio-Italia che comunque resterà alto, anche dopo il miglior successo auspicabile dell’eurovertice salvaeuro del 9 dicembre. Per abbattere presto di 20-30 punti di Pil il debito pubblico le vie sono due. La sinistra sogna, vuole, e predica la superpatrimoniale ammazza-Italia. Non sono di questa idea, ovviamente. I liberali non possono che volere invece una maxidismissione del mattone di Stato, stimato nell’attivo patrimoniale del Tesoro in almeno 500 miliardi di valore. Si prendano immobili per 300 miliardi e più facendone dotazione patrimoniale di un fondo immobiliare chiuso, realizzato come veicolo di mercato e gestito dopo regolare gara da soggetti di mercat6o, vincolandone le cessioni sin da subito a integrale abbattimento del debito, e offrendo liberamente a tutti coloro che volessero la possibilità di scambiare titoli del debito pubblico con obbligazioni del fondo stesso, garantite dal patrimonio. Si può e si deve fare, perché il mattone di Stato è garanzia di rientro del debito che ha fatto lo Stato, non l’ho fatto io e non lo avete fatto voi che mi leggete, come invece raccontano i fautori della superpatrimoniale.
Il secondo difetto macroscopico della manovra Monti riguarda la crescita. Le deduzioni dall’Ires della componente lavoro dell’Irap finanziata finalmente per miliardi in un triennio è buona cosa, ma avrà un effetto sulla crescita assai limitato, servirà più che altro a diminuire il tax rate delle imprese alle imprese non in perdita e che devono affrontare un ulteriore fortissima stretta. L’incentivo a breve più efficace per accrescere il Pil potenziale è lo sgravio di imposte e contributi su lavoro e impresa. E per fare questo occorre un energica riforma dell’intero sistema fiscale, tassando meno i redditi, tagliando molta più spesa di quanto si faccia, ed equilibrando il saldo tributario da garantire su altri cespiti, con l’imposizione indiretta a fronte di molte meno tasse sul reddito, o persino con la minipatrimoniale ordinaria  che le imprese avevano – tutte insieme – proposto a settembre al governo Berlusconi. Alla quale resto contrario, perché bisogna tagliare sussidi alle imprese stesse, ce n’è a iosa, a pioggia e buoni solo per furbi e nicchie protette.
Ecco le due supermagagne della manovra Monti. Quelle su cui dovrebbero puntare i liberali. Sostenendo la riforma previdenziale – io sulla mancata perequazione delle pensioni alzerei però la soglia almeno a 2 mila euro – e riflettendo sulla sberla che per milioni di italiani verrà dall’Ici che torna maxirivalutata, dalle accise e dalla patrimoniale dell’un per mille sui conti bancari e strumenti finanziari. Più il Pdl vola alto e incalza su nuove misure sistemiche abbattidebito e alzacrescita, più da una parte recita il meacupla e dall’altra prepara il suo futuro. Altrimenti, lo faranno altri. E a questo pensa infatti, scaltramente, l’Ingegner De Benedetti."

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