Panebianco scrive che non si sa quanto costa la MALA Burocratica, ma Luca Ricolfi sostiene che dei calcoli sono stati fatti e tra sprechi ed inefficienze si è stimata la cifra monstre di 80 MILIARDI di euro.
Entrambi i valenti studiosi, spiegano che per rimettere a posto le cose ci vuole uno studio approfondito, indagini serie, per stilare un piano di riforma. Insomma, non cazzate improvvisate sull'onda dello Spread e dei mercati.
Almeno due anni , stima Ricolfi (per OGNI riforma seria, non solo nella PA), dopo i quali il governo dovrebbe poi operare proficuamente muovendosi a ragion veduta.
Insomma, ci vorrebbe una cosa SERIA, che prevede uno STUDIO preventivo, fatto da persone CAPACI, e poi un Governo che, forte di questo studio, intervenga col POTERE di farlo, ignorando le resistenze corporative di chi in questa palude PROSPERA.
Tra i Burocrati incalliti troviamo, leggendo la denuncia di Panebianco, non solo i giudici amministrativi, che meritatamente NON godono di buona fama, ma anche i più titolati "ragionieri" della Corte dei Conti.
Ultimo dato, 120 miliardi di evasione sono tantissimi...ci ricordano sempre quante manovre finanziarie valgono.
Però anche 80 non sono male vero? Anche qui qualche manovra ce la potremmo risparmiare....
Com'è allora che gli slogan e gli spot televisivi riguardano solo il primo "scandalo"?
Forse perché Befera in qualche modo è anche lui uno dei boiardi di stato?
Buona Lettura ( miei i "rilievi" in grassetto)
LA LENTA E OPACA MACCHINA STATALE
Costa tanto produce poco
Nel momento in cui si chiede che i conti bancari dei cittadini, e quindi le loro vite, risultino totalmente trasparenti agli occhi dello Stato, diventa lecito chiedersi se lo Stato sia poi altrettanto trasparente, nel suo operare, agli occhi dei cittadini. Basta chiederselo per capire subito che non è così: l'opacità, non la trasparenza, caratterizza la macchina amministrativa nelle sue operazioni quotidiane.
L'opacità è tale che persino i ministri ignorano tanto di quella macchina. Si vogliono fare le privatizzazioni? Si vuole tagliare in modo intelligente (ossia, selettivo) la spesa pubblica? Si vogliono eliminare i sussidi alle imprese? Per fare queste cose occorrono vitali informazioni, bisogna conoscere la «macchina» dall'interno. Ma nemmeno il governo possiede quelle informazioni. Deve, prima di tutto, procurarsele. Ed è una operazione lunga, costosa, difficile, e probabilmente destinata all'insuccesso. Come mai? Da cosa dipende quella opacità? Perché lo Stato è una giungla impenetrabile? Perché è costituito da regolamenti e pratiche così complesse e barocche che solo i vecchi squali della burocrazia, gli amministratori di lungo corso, possiedono le capacità per muoversi in un simile ambiente, così oscuro e ostile per chiunque altro?
I cittadini attribuiscono di solito ogni colpa di ciò che non va, delle disfunzioni quotidiane di cui hanno personale esperienza, alla classe politica. Non sanno che la classe politica è per lo più priva di cruciali risorse (dalle informazioni alla expertise amministrativa) e che altre istituzioni sono di fatto, quando si tratta dei meccanismi quotidiani di funzionamento dello Stato, molto più potenti. Si dice: «Il Parlamento è sovrano». Ma queste sono solo parole. L'alta burocrazia, i vertici delle strutture regionali, la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, contano assai più del Parlamento, e di qualunque governo, nella gestione della macchina amministrativa. Basta che scelgano di non cooperare, di fare resistenza passiva, e la classe politica viene ridotta alla impotenza.
Il politico eletto, diceva il sociologo Max Weber, è di fronte all'amministratore di professione nella condizione del dilettante. Ma qui siamo andati molto più in là. Non è più solo una questione di dilettantismo contro professionismo. È questione di una macchina statale autoreferenziale, che dispone degli strumenti (a cominciare dal monopolio sulla interpretazione delle regole amministrative) necessari ai fini della propria difesa e riproduzione.
Si badi che non sono solo in gioco interessi (l'interesse degli amministratori o delle magistrature amministrative a garantire l'incontrollabilità del proprio operare da parte di chiunque: governo, Parlamento, pubblica opinione). Pesano anche le tradizioni culturali. C'è un'intera cultura giuridico-amministrativa, cui danno un contributo essenziale tanti giuristi amministrativisti, che è quotidianamente mobilitata a difesa del mantenimento della complessità del sistema e, quindi, della sua opacità.
Se vogliamo chiederci quale sia l'ostacolo principale al rilancio della crescita dobbiamo indirizzare la nostra attenzione sul peso morto rappresentato da una macchina amministrativa incompatibile con le esigenze di un Paese moderno. Nessuno sa, ad esempio, di quanto potrebbe scendere la pressione fiscale complessiva se quella macchina diventasse meno inefficiente e dispendiosa.
La complessità e il barocchismo delle regole e delle procedure amministrative hanno potentissimi effetti negativi sulla società circostante: generano inefficienza, garantiscono tempi lunghi e anche lunghissimi agli interventi dello Stato (si pensi al settore delle infrastrutture), innalzano spaventosamente i costi economici, alimentano una condizione di incertezza giuridica che rende imprevedibili i comportamenti, impedisce la diffusione di rapporti reciproci di fiducia fra cittadini e amministrazioni, e funziona da moltiplicatore delle dispute. Gli amministratori si difendono dicendo che è comunque la politica a dettare le linee guida dei provvedimenti. Il che è vero. Ma sono loro a confezionare, e poi a interpretare, con il loro esasperato formalismo, quei provvedimenti.
Per fare un esempio, apparentemente marginale, consiglierei al neo-ministro dell'Università, Francesco Profumo, che è anche un mio collega, di leggere con attenzione le norme da poco varate che regolano certi concorsi (per esempio, i concorsi da ricercatore). Scoprirà che il loro effetto principale è di fare prosperare l'industria dei ricorsi, di dare tanto lavoro agli avvocati e ai Tar. Sono certo che se, dopo avere letto quei regolamenti iper-barocchi, il ministro ne chiedesse conto a chi li ha messi a punto nei dettagli, si sentirebbe dire che quei regolamenti rispondono alla esigenza di garantire la «legalità» e la correttezza dei concorsi. Niente di più falso. Quelle norme nulla possono pro o contro la correttezza. La loro assurda complessità garantisce solo l'incertezza del diritto, l'opacità dei procedimenti, la moltiplicazione delle dispute. Non c'è quasi nessun ambito in cui operi l'Amministrazione che non abbia queste caratteristiche.
Se la certezza del diritto è un fondamentale bene pubblico, allora è sicuro che il nostro sistema giuridico-amministrativo è congegnato in modo da garantire la perpetua indisponibilità di quel bene. Con costi altissimi per la società e benefici (in termini di opacità del loro operato) per gli addetti alla gestione quotidiana della macchina statale. Magari, quei giuristi amministrativisti che lavorano come consulenti dell'Amministrazione centrale e periferica qualche franca spiegazione sul perché ciò accade potrebbero forse darcela.
Viviamo in tempi di antiparlamentarismo trionfante e il mio potrà sembrare un auspicio controcorrente. Ma trovo che i partiti, alla disperata ricerca di un ruolo nell'epoca del governo Monti, potrebbero rendere una grande servizio al Paese. Potrebbero, e dovrebbero, promuovere una commissione di inchiesta parlamentare con il compito di indagare sull'operato dell'Amministrazione (organi della giustizia amministrativa inclusi) e di segnalarne tutte le disfunzioni. Se non altro, per consentire una discussione pubblica sulle vere cause del nostro declino.
Viviamo in tempi di antiparlamentarismo trionfante e il mio potrà sembrare un auspicio controcorrente. Ma trovo che i partiti, alla disperata ricerca di un ruolo nell'epoca del governo Monti, potrebbero rendere una grande servizio al Paese. Potrebbero, e dovrebbero, promuovere una commissione di inchiesta parlamentare con il compito di indagare sull'operato dell'Amministrazione (organi della giustizia amministrativa inclusi) e di segnalarne tutte le disfunzioni. Se non altro, per consentire una discussione pubblica sulle vere cause del nostro declino.
Angelo Panebianco
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