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domenica 15 aprile 2012

LA FORNERO DICE CHE VANNO A CASA ...CERTO NON PIANGEREMO COME LEI...

La differnza tra la Fornero e, che so, lady Tatcher mi appare evidente: la prima abbaia, la seconda mordeva, andando dritta per la strada che riteneva giusta.
Il ministro del Welfare, quella che aveva pianto per la riforma delle pensioni - che tra l'altro è stata solo accelerata perché era stata già varata e approvata in passato - adesso ringhia contro chiunque critica la sua riforma del lavoro. Ringhia ma, appunto, NON morde. Infatti dopo la porta sbattuta dalla Camusso, e il conseguente panico di Bersani, ecco che il mutamento dell'articolo 18 è praticamente abortito. Abbiamo fiducia che  Confindustria e PDL terranno duro, e anche l'eccessiva rigidità adottata nelle assunzioni verrà abolita. Della riforma non resterà più nulla, ma , come dicono economisti progressisti come Ichino, Alesina, Giavazzi, meglio non fare niente che fare peggio.  Ma la Fornero dice che se così fosse, il governo andrà a casa....Allora: 1) NON CI CREDO 2) a sto punto... e chissene dove lo metti????
Certo non piangeremo come lei.
Nel loro progetto, le cose più giuste NON si vedono: diminuzione del costo del lavoro, con abbassamento delle tasse e dei contributi per imprese e lavoratori. E se l'irrigidimento della flessibilità "in entrata" poteva ritenersi bilanciata dall'ampliamento di quella in uscita, limitando drasticamente le possibilità di quel "reintegro", anomalia tutta italiana, così il pasticcio è immangiabile.
Detto questo sulla questione lavoro, resta aperta e gigantesca la questione SPESA PUBBLICA, che pure è con tutta evidenza quella cruciale.
In merito, offriamo il contributo prezioso di Davide Giacalone, assolutamente da leggere e conservare
Buona Lettura


 Drogati di welfare

Si sarebbe dovuto tagliare il tessuto adiposo della spesa pubblica, facendo dimagrire uno Stato sovrabbondante di flaccidume, invece si affetta la carne viva del sistema produttivo e dei cittadini. Si può dedicarsi alla conservazione del passato nel mentre si gozzoviglia, oppure con animo sobrio e con professorale compunzione, non cambia nulla. Cambia, invece, se si prende atto che quel passato non può essere conservato, che il modello di welfare statale non regge più e si coglie l’occasione della crisi per trovare la forza di aprire al futuro. Che sarà ricco e felice se lo si saprà costruire.

Gli spagnoli stanno inseguendo la sottomissione ai parametri europei mediante tagli al loro stato sociale (tre manovre in cinque mesi, a cura di un governo per tale missione eletto). Gli italiani ci stanno provando mediante una continua crescita della pressione fiscale (a cura di un governo nato dalla fuga e dall’incapacità di quanti erano stati votati). E’ probabile che entrambe mancheranno l’obiettivo, perché nel mentre recedono la speculazione chiede tassi sempre più alti per finanziarli (e, del resto, la pessima gestione del caso greco ha comunicato al mondo che i debiti sovrani non sono affatto sicuri). Così procedendo arriveremo alla fine dell’anno più poveri, più deboli, più nei guai e più sfiduciati. Il tutto senza avere risolto nulla dell’insostenibilità del welfare. Intanto il giovane premier inglese diminuisce il numero dei dipendenti pubblici e fa calare le tasse, governando la sterlina e, con ciò, pagando tassi d’interesse più bassi a fronte di debiti complessivi più alti e di un deficit che fa apparire virtuosissimo il nostro avanzo primario.

L’allucinazione nella quale siamo caduti consiste nel credere immodificabile la quantità e la modalità della spesa pubblica, salvo mettersi a fare i moralisti sulla riscossione, vale a dire sulla fedeltà fiscale. Si dovrebbe procedere all’opposto: portare morale ed efficienza nella spesa, in modo da ridare fiato ai pagatori di tasse. Il tutto ricordando che senza svellere la pretesa tedesca di germanizzare l’Europa ogni sforzo è semplicemente inutile, perché i conti saranno comunque insostenibili. L’errore del governo Monti è proprio quello di assecondare i tedeschi e tassare il nostro sistema produttivo, il che ci porta all’equilibrio sepolcrale. Il tutto sprecando la crisi, quindi la forza per tagliare e riqualificare la spesa.

Si può farlo. Dalla sanità alla scuola, alla giustizia quel che non funziona è spreca non è il curare, l’insegnare o il giudicare, ma l’immane macchina amministrativa che campa rendendo impossibile la vita a medici capaci, insegnanti onesti e giudici non invasati da megalomania. I tagli, in questi mondi, non diminuirebbero, ma aumenterebbero la qualità del servizio (abbiamo raccontato il caso della Asl di Salerno, se ne faccia tesoro). Solo che bisogna mandare a stendere le corporazioni, i veti, le minacce. Bisognerebbe coltivare un’idea di futuro che non sia la proiezione del passato. Bisognerebbe avere una classe dirigente che non abbia oltrepassato l’età della pensione (ne hanno diverse a testa).

L’Italia del futuro, se non vorrà essere la landa dei mantenuti in povertà, se non si rassegnerà ad essere la colonia penale dei tassati, dovrà avere uno Stato ridotto alla metà dell’attuale, talché assorba il 25%, al massimo un terzo del prodotto interno, lasciando il resto alla capacità e alla volontà, quindi alla libertà dei cittadini. La colpa della nostra classe dirigente, di cui il governo Monti è l’espressione tecnica, consiste nell’attraversare la crisi spremendo i quattrini che servono a mantenere lo Stato ciccione, anziché farsi forte delle difficoltà per metterlo a dieta severa e renderlo smilzo e scattante (in quel che serve).

Non usciamo da questo vicolo cieco senza una rottura, anche politica e culturale. A novembre scorso il drogato in overdose fu portato al pronto soccorso, per evitare il decesso. I genitori incapaci e gli amici di siringa furono buttati fuori, salvandogli la pelle. Dopo di che i medici credettero che il problema fosse redimerlo, anziché disintossicarlo, e cominciarono a tenergli sermoni moraleggianti e inconcludenti. Alla fine, sollecitati dal Colle, decisero di concertare la terapia con … gli spacciatori. E’ un passo avanti? No, è tempo perso.

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