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martedì 24 aprile 2012

L'AVVOCATO S'INTASCA I SOLDI DEL MORTO. CONFESSA E CONTINUA AD ESERCITARE

Faccio l'avvocato e critico spesso la categoria dei magistrati, specie quelli della Procura che spero sempre cessino di essere tali per diventare semplici e importanti rappresentanti dello Stato rivestendo compiutamente ed esclusivamente il ruolo di Pubblica Accusa.
Ma questo non vuol dire che io mi nasconda e non conosca la gravi lacune della MIA di categoria.
Dal manzoniano "azzeccagarbugli", ai "cerca cavilli", ai "mozzaorecchi ", ai "parafangari", gli epiteti poco gentili si sprecano. Sono fin troppi quelli che fanno questa professione senza passione per il diritto, senza una conoscenza e/o aggiornamenti adeguati. E con il crescere del numero, la qualità non ne ha certo guadagnato.
Quindi nessun pensiero da parte mia che nel pianeta giustizia la parte non malata sia quella forense.
Dico solo che l'importanza, anche e soprattutto per il potere terribile che detiene, quello di DECIDERE, di un Giudice non è ovviamente paragonabile a quella di un avvocato. E quindi anche l'incidenza nel fenomeno di "malagiustizia" è sbilanciato dalla parta delle toghe più "pregiate".
Ciò detto, riporto un caso vergognoso, che spero sia raro ma certo purtroppo NON unico, di avvocato LADRO riportato dal Corriere Fiorentino, autrice, Antonella Mollica.
Magari la notizia non è accurata - non sarebbe strano per la cronaca italiana - però, a quanto si legge,  questo avvocato, pur avendo ammesso il proprio torto, essersi appropriato del risarcimento spettante ai clienti, continua tranquillamente ad esercitare la professione.
Ora, è in corso un procedimento da parte del Consiglio Forense, e vi è una sanzione di RADIAZIONE, già approvata in un primo intervento disciplinare, non esecutiva fino alla definitiva pronuncia. E fin qui, ci sto.
Ma una SOSPENSIONE intanto???
Qui non è in dubbio il FATTO, la persona ha ammesso di essersi impossessata dei soldi e non è in grado di ridarli! Si potrà discutere della gravità e quindi della sanzione. Ma intanto un provvedimento di sospensione l'avrei preso.
Ecco la, brutta, storia
   
E l'avvocatessa beffò il suo cliente
Un suicidio durante il ricovero: lei ottenne un risarcimento di 475 mila euro. Che però ha nascosto alla famiglia. E continua ad esercitare la professione

PISTOIA - È una storia dolorosa. Che parte sette anni fa, con il suicidio di un uomo, e che arriva nelle aule di un tribunale trascinandosi, senza ancora alcuna soluzione all’orizzonte, fino ad oggi. Ed è una brutta storia. Quella di un’avvocatessa di Pistoia, finita sotto inchiesta con l’accusa di aver truffato i suoi clienti e nonostante questo ancora iscritta all’ordine degli avvocati. Ma soprattutto è la triste odissea di una famiglia che nel corso di questi sette anni, oltre a fare i conti con il dolore di aver perso un padre e un marito nel tunnel del male oscuro, si trova adesso a combattere una battaglia giudiziaria che sembra non arrivare mai ai titoli di coda.
Tutto comincia nel marzo 2005 con il suicidio di un architetto fiorentino. L’uomo da un anno soffre di depressione, ripete continuamente che vuole togliersi la vita. Lo psichiatra decide di ricoverarlo in una clinica a Lucca. Un giorno l’architetto esce, imbocca un sentiero lungo il fiume e non torna più. Quando verrà ritrovato senza vita nel Serchio i figli accusano la struttura sanitaria di non aver impedito quel gesto che pure l’uomo aveva tante volte annunciato. Si rivolgono all’avvocato Alice Pucci Narducci di Montecatini, oggi 50 anni (c’è un’altra avvocatessa Alice Pucci a Prato ma è solo un caso di omonimia) per portare avanti la causa. Ha tre studi, uno a Montecatini, uno a Roma e per un periodo anche uno su Ponte Vecchio a Firenze. Tre anni dopo arriva la sentenza del tribunale di Lucca: la clinica viene condannata al risarcimento di 470 mila euro, oltre al pagamento delle spese legali in 11.800 euro. Nel maggio 2008 i figli dell’architetto firmano davanti a un notaio fiorentino una procura speciale all’avvocato per «ottenere il pagamento del risarcimento danni liquidati». È lo stesso legale, raccontano gli eredi, a chiederlo con la spiegazione che così si ottengono più in fretta i soldi. Pochi mesi dopo, visto che i soldi non arrivano, i figli si attivano per ottenere un pignoramento per il pagamento dela cifra liquidata nella sentenza.
L’avvocato continua a rassicurare gli eredi sostenendo che i soldi arriveranno presto ne attribuisce i ritardi alla lentezza dell’assicurazione e della banca. Nell’ottobre 2008 in un’udienza davanti al giudice per l’esecuzione, una sostituta dell’avvocatessa Pucci dichiara che i figli dell’architetto hanno già ricevuto il denaro e pertanto rinunciano al pignoramento. Il giudice dichiara così estinta la procedura. I clienti dell’avvocato sono ovviamente all’oscuro di tutto. Continuano ad avere fiducia nel legale. I primi sospetti arrivano quasi due anni dopo la sentenza. Nel settembre 2010 vanno personalmente in tribunale per cercare di capire perché è tutto fermo e poi si rivolgono all’assicurazione. Lì arriva la sorpresa: i soldi sono stati pagati nel settembre del 2008 con un bonifico bancario su un conto corrente a disposizione dell’avvocatessa Pucci che — si scoprirà poi — ritira quei soldi facendo perdere poi le tracce. La cifra è di 474.843,12 euro, esattamente quanto stabilito dalla sentenza del tribunale di Lucca.
Quei soldi però non sono mai arrivati agli eredi.L’avvocato continua a recitare la parte ancora per un po’: i soldi non sono stati ancora pagati, dice, bisogna aver pazienza, i tempi della giustizia, si sa, sono sempre biblici. Poi comincia a negarsi al telefono. La mossa successiva della famiglia dell’architetto è quella di affidarsi all’avvocato Filippo Alfieri di Firenze. È lui a incontrare l’avvocatessa Pucci e a chiedere spiegazioni prima di intraprendere la strada delle denunce. La donna in lacrime dice che sta attraversando un momento economico difficile e promette di restituire i soldi prima possibile. I suoi ex clienti si mostrano anche comprensivi, cercano di trovare un accordo per una restituzione anche un po’ alla volta ma dei soldi neppure l’ombra. Nell’ottobre 2010 scatta la denuncia penale alla procura di Pistoia per appropriazione indebita, truffa e patrocinio infedele. Ad oggi — un anno e mezzo dopo — il procedimento è ancora aperto. Dopo un ricorso al tribunale civile di Pistoia, lo scorso dicembre il giudice Ernesto Covini della sezione distaccata di Monsummano, condanna l’avvocatessa al pagamento a favore degli eredi di 350 mila euro, oltre agli interessi maturati dal marzo 2008 e al pagamento delle spese. Con quell’ordinanza può scattare il pignoramento dei beni ma i familiari si vedranno costretti ad affidarsi a un investigatore per scoprire quali beni possiede l’avvocato. Scatta una denuncia anche alla Guardia di Finanza.
Il sospetto della famiglia truffata è che quei soldi siano serviti per estinguere un mutuo. Riescono a scoprire che nell’agosto 2009 l’avvocatessa Pucci ha estinto un’ipoteca volontaria contratta nel 2004 del valore di 300 mila euro, che nel luglio 2009 ha estinto un’ipoteca di 30 mila euro e nell’aprile 2008, un mese dopo il deposito della sentenza e un mese prima della procura notarile, l’avvocato cede a una società immobiliare di Uzzano la quota del 50% di un immobile di Pieve a Nievole di sua totale proprietà. «Un’operazione sospetta nei tempi e nei modi», si legge nell’esposto presentato in procura e poi, nel novembre 2010, anche all’ordine degli avvocati.
La cosa paradossale di questa storia è che l’avvocatessa Alice Pucci con studio a Montecatini Terme, continua ad esercitare, nonostante abbia collezionato più di una denuncia e nonostante vi sia un provvedimento di radiazione emesso dall’ordine degli avvocati di Pistoia. «Quel provvedimento è come una sentenza di primo grado — spiega il presidente dell’Ordine di Pistoia Giuseppe Alibrandi — È stato impugnato dall’avvocato Pucci e adesso bisogna aspettare il giudizio del Consiglio nazionale forense, solo dopo la decisione diventerà esecutiva». Intanto la famiglia continua a spendere soldi su soldi per vedere la fine di questa storia. «Raccontiamo la nostra storia solo perché vogliamo impedire che qualcun altro caschi nella trappola di quest’avvocato — racconta Matteo, il figlio dell’architetto — Sappiamo che continua a lavorare come se niente fosse. Dopo quello che stiamo vivendo è davvero inaccettabile».

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