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martedì 15 maggio 2012

IL PREGIUDIZIO INVINCIBILE DI CERTI MAGISTRATI, CHE TUTTI CI AUGURIAMO PRESTO IN POLITICA!

Pietro Grasso, responsabile dell'Anti Mafia, elogia il governo Berlusconi per aver messo in pratica, legiferando, i suggerimenti normativi dei due procuratori più insigni (ed eroici) della lotta alla criminalità organizzata.
Non lo avesse mai fatto! Il primo a parlare è stato il solito Ingroia, che nel 2013 spero di vedere candidato nelle liste dei comunisti di Diliberto: da deputato non potrà MAI fare la metà della metà dei danni che ha fatto e potrà fare in Magistratura. Spero che dei seggi siano pronti anche per Spataro e Woodcock.
Naturalmente, per non sentirsi scavalcati dall'iniziativa del singolo, anche magistratura democratica ha fatto sentire il suo sdegno. La faziosità di questa corrente è talmente consolidata negli annali, che non vale quasi più la pena parlarne.
Nemmeno i fatti, e quindi i successi dell'azione del Ministro Maroni, i numerosi arresti eccellenti, l'aumento dei sequestri e delle confische dei patrimoni mafiosi possono superare il pregiudizio livoroso di certe teste.
Sul tema, interviene Davide Giacalone, che tra l'altro è di origini siciliane, e che ricorda bene i veleni di Palermo di 20 anni orsono, quando Falcone e Borsellino non erano gli eroi che, morendo, sarebbero diventati.
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Imbrogli mafiosi

"Al governo Berlusconi non verrà assegnato alcun premio per la lotta alla mafia. Intanto perché non esiste e poi perché riconoscere che fu quel governo, quattro lustri dopo, ad approntare gli strumenti che Giovanni Falcone chiese nel 1991, destinati a colpire i mafiosi nella parte più sensibile del loro disonore, vale a dire nei piccioli, significa bestemmiare nel tempio dell’antimafiologicamente corretto. Da troppo tempo la verità storica e la rappresentazione giudiziaria vanno in direzioni diverse, mentre in tema di mafia si son visti numeri da baraccone: dai nemici di Falcone e Borsellino che se ne proclamano eredi, a quanti s’infastidivano quando scrivevamo che il processo e le condanne al processo per la morte di Paolo Borsellino erano una farsa, salvo poi gioire per il trionfo della giustizia quando i quei verdetti si sono dimostrati rozze manipolazioni.
I ciarlieri dell’antimafia non ci fanno mai mancare le loro verità, oramai rilasciando interviste e tenendo interventi per ogni dove. Sono certo che la grande maggioranza dei cittadini non riesce a distinguere una tesi dall’altra, sicché sintetizzo la ragione di tanto attivismo editoriale e di tanto livore nelle contrapposizioni personali: la carriera. Questi magistrati si sono convinti d’essere divi e si sono autosuggestionati al punto di credere di potere osare la qualunque. Ci sono nomine da ottenere, carriere politiche da promuovere, chiamate alla salvezza patria cui rispondere. Mi rincresce osservarlo in modo ruvido, ma nessuno di loro ha lo spessore di una mezza tacca. Hanno il palcoscenico, però, e s’esibiscono.
Siccome ci avviciniamo all’apice dell’orgia retorica, con l’imminente ricorrere di un ventennio dalla morte di Falcone e Borsellino, e siccome nessun cittadino normale può più capirci nulla e ricordare tutto, magari ciascuno sperando che almeno uno di quegli attori sia qualche cosa di simile a un vero combattente contro la mafia, desidero fornire due stelle fisse, in modo da orientarsi fra i marosi delle bugie e delle mistificazioni. Due temi sui quali misurare la serietà di chi parla.
1. Non credete a nessuno che vi parli di Falcone e Borsellino senza partire dal fatto che furono sconfitti dalla magistratura, non dalla mafia, e senza avvertire che dedicarono l’ultima parte della loro vita ad un’inchiesta, denominata “mafia-appalti”, che immediatamente dopo la loro morte fu archiviata. Non credete a nessuno che vi racconti di verità nascoste senza partire da quella più evidente e scoperta, quindi la più negata e inquinata: la procura di Palermo si mosse contro il disegno investigativo di Falcone e Borsellino, approfittando della loro morte per prevalere in via definitiva.
2. Non credete a quelli che vi lasciano credere che ci sono retroscena inconoscibili e cose indicibili, nel capitolo della presunta trattativa fra lo Stato e la mafia. Fornisco i nomi e i cognomi, così vi regolate: chi vi parlerà della trattativa per togliere il carcere duro, vale a dire disapplicare il 41 bis del regolamento carcerario, senza dirvi che a proporlo fu Adalberto Capriotti, dirigente del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), in quel posto voluto da Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Repubblica, che ricevette quell’indicazione da Cesare Curioni, capo dei cappellani carcerari, quindi dal Vaticano, e lo impose al governo presieduto da Carlo Azelio Ciampi, il quale ancora crede che sia vero il contrario di quel che fece, per essere il tutto sugellato dall’allora ministro della giustizia, Giovanni Conso, chiudendo la partita prima delle elezioni del 1994, quando, pertanto, Berlusconi ancora si occupava d’altro, chi vi parlerà tacendo questo è un volgare imbroglione.
Le storie di mafia sono complicate, ma le bugie dell’antimafia militante sono sfacciate. Invito tutti a onorare il ventennale senza nulla concedere alla retorica bugiarda di quattro carrieristi, ricordando che i due morti di venti anni fa non sarebbero finiti in quel modo se la mafia, e gli interessi economici a quella associati, non avessero potuto contare, con la loro scomparsa, di chiudere una stagione investigativa e processuale. Se la memoria non riparte da quel dolore, se nel riemergere non desta dolore, vuol dire che è solo melassa retorica e bugiarda. Inquinamento delle (evidenti) prove.

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