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martedì 17 luglio 2012

STAVOLTA ALLA PROCURA DI PALERMO SI SONO SBAGLIATI.MIRATO TROPPO ALTO.


Come c'era da aspettarsi, il manettaro Travaglio ha subito detto ad alta voce quello che le persone come lui pensano: cosa avrà da nasconde il Presidente Napolitano per pretendere la distruzione sic et simpliciter dei nastri che lo hanno involontariamente intercettato?
E questo è il modo DISTORTO e MALATO di porre le cose. Solo che mentre per le gente che lo legge ammaliata l'attenuante è appunto la malattia, contro la quale poco c'è da fare, per Travaglio questa scusa non c'è . Come si dice a Roma, lui CI FA.
Il giorno in cui lo intercetteranno, scopriremmo cosa pensa dei suoi lettori più fedeli, e rideremo.
Intanto oggi scrive ".... la mossa inedita e clamorosa del conflitto contro i pm alla Consulta non fa che ingigantire i sospetti di chi pensa che quei nastri top secret contengano condotte scorrette: dal punto di vista non penale, ma etico-politico-istituzionale"
Il Procuratore anti mafia, Piero Grasso, fa Pilato : si è creato un problema interpretativo, i PM di Palermo sono in buona fede (eh!!...Ingroia...proprio in buona fede...) e la questione sollevata dal Quirinale è autentica, sia quindi la Consulta a decidere.
Con più precisione si è espressa il Guardasigilli, Ministro Severino, che ha spiegato Il problema  non è affatto se il comportamento tenuto dalla procura di Palermo sia stato o meno corretto sotto il profilo della intercettabilità di una telefonata. Se si è trattato di una intercettazione casuale si poteva fare, ma il tema non è se si poteva o non si poteva intercettar ma se debba avere prevalenza una certa interpretazione della legge costituzionale che riguarda le garanzie del Presidente della repubblica o se si debba applicare la normativa comune in materia di utilizzazione e utilizzabilità delle intercettazioni. Il tema è tutto qui, vedere se anche per le intercettazioni che casualmente e quindi lecitamente hanno riguardato il capo dello Stato si debba applicare la procedura prevista dal codice per tutte le intercettazioni o una normativa speciale».
Francamente non vedo che dubbi ci possano essere tra la prevalenza tra le garanzie costituzionali e le disposizioni normative ordinarie, ma staremo a vedere.
Mi è piaciuto, e per questo lo propongo, il commento di Michele Ainis, editorialista del Corriere che in genere non amo, ma di cui stavolta condivido il pensiero e che mi sembra spieghi, con lodevole chiarezza, i termini della questione
Buona Lettura



 Un conflitto di attribuzioni non è una guerra nucleare. Serve a delimitare il perimetro dei poteri dello Stato, a restituire chiarezza sulle loro competenze. E la democrazia non deve aver paura dei conflitti: meglio portarli allo scoperto, che nascondere la polvere sotto i tappeti. Sono semmai le dittature a governare distribuendo sedativi. Eppure c'è un che d'eccezionale nel contenzioso aperto da Napolitano contro la Procura di Palermo. Perché esiste un solo precedente, quello innescato da Ciampi nel 2005 circa il potere di grazia. Perché stavolta il capo dello Stato - a differenza del suo predecessore - rischia d'incassare il verdetto della Consulta mentre è ancora in carica, sicché sta mettendo in gioco tutto il suo prestigio. Perché infine il conflitto investe il ruolo stesso della presidenza della Repubblica, la sua posizione costituzionale.

Domanda: ma è possibile intercettare il presidente? La risposta è iscritta nella legge n. 219 del 1989: sì, ma a tre condizioni. Quando nei suoi confronti il Parlamento apra l'impeachment per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; quando in seguito a tale procedura la Consulta ne disponga la sospensione dall'ufficio; quando intervenga un'autorizzazione espressa dal Comitato parlamentare per i giudizi d'accusa. Quindi non è vero che il presidente sia «inviolabile», come il re durante lo Statuto albertino. Però nessuna misura giudiziaria può disporsi finché lui rimane in carica, e senza che lo decida il Parlamento.

Dinanzi a questo quadro normativo la Procura di Palermo ha scavato a sua volta una triplice trincea. Primo: nessuna intercettazione diretta sull'utenza di Napolitano, semmai un ascolto casuale mentre veniva intercettato l'ex ministro Mancino. Secondo: le conversazioni telefoniche del presidente sono comunque penalmente irrilevanti. Terzo: i nastri registrati non sono mai stati distrutti perché possono servire nei confronti di Mancino, e perché in ogni caso la loro distruzione passa attraverso l'udienza stralcio regolata dal codice di rito.

Deciderà, com'è giusto, la Consulta. Ma usando il coltello della logica, è difficile accettare che sia un giudice a esprimersi sulla rilevanza stessa dell'intercettazione. Perché delle due l'una: o quest'ultima rivela che il presidente ha commesso gli unici due reati dei quali è responsabile, per esempio vendendo segreti di Stato a una potenza straniera; e allora la Procura di Palermo avrebbe dovuto sporgere denuncia ai presidenti delle Camere, cui spetta ogni valutazione. Oppure no, ma allora i nastri vanno subito distrutti, senza farli ascoltare alle parti processuali. Come avviene, peraltro, per ogni cittadino, se intercettato mentre parla con il proprio difensore (articoli 103 e 271 del codice di procedura penale). E come stabilì il Senato nel marzo 1997, quando Scalfaro venne a sua volta intercettato. In quell'occasione anche Leopoldo Elia, costituzionalista insigne, dichiarò illegittime le intercettazioni telefoniche del capo dello Stato, sia dirette che indirette. Perché ne va dell'istituzione, non della persona. Le persone passano, le istituzioni restano.

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