Ho letto con estremo interesse e favore il commento di Davide Giacalone alla sentenza della Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso del Presidente della Repubblica che sollevava il conflitto di attribuzione di poteri con la Magistratura, contestando la legittimità dell'operato della procura di Palermo nel gestire le intercettazioni involontariamente raccolte di telefonate in cui uno dei due interlocutori era appunto il Capo dello Stato.
Condivido quasi tutto. In primo luogo la polemica con il mondo dell'informazione e dell'opinione pubblica, che ogni volta che è stato (ed è) Berlusconi ad usare parole dure contro le sentenze della Magistratura hanno parlato di "attentato alla istituzioni" , di "esternazioni inaccettabili da parte di un soggetto rappresentante un potere istituzionale" e su per li rami. Adesso che a tracimare per la rabbia sono Ingroia e i suoi adepti, qualche critica qua e là ma nessuna sollevazione e nessuno scandalo. Non è cosa che sorprende : è uno strabismo atavico e arcinoto. Io l'unica speranza che ho è che la caciara non corrisponda al numero. E quindi sono convinto che tante persone che seguono minimamente la vita pubblica siano consapevoli dell'inadeguatezza assoluta di un personaggio come Ingroia, e della deriva grave che uomini come lui hanno impresso alla Magistratura. Poi, che le piazze del popolo viola si riempiono solo per quelli a loro odiosi, amen. C'è tanta gente per bene, che pensa con la propria testa, che in piazza non ci va, per indole.
Io non ho nulla in contrario che Ingroia, ma spero tanti altri come lui, seguano le orme di gente come Di Pietro, di De Magistris, e mollino la toga per fare politica nei luoghi deputati, che NON sono le aule di giustizia, o le conferenze stampa usate dal pulpito giudiziario. Sono dei politici, facessero politica. Non usassero le inchieste e la giurisprudenza creativa per svolgere ruoli delegati ad altri poteri. Quindi saluterò con sollievo il prossimo ingresso nell'agone politico di Antonio Ingroia : finirà un brutto equivoco, e dove andrà farà danni infinitamente inferiori a quelli che ha potuto fare come magistrato.
Sono d'accordo con Giacalone anche quando solleva perplessità sulla sentenza, Io francamente non mi sento all'altezza di una disquisizione a livello costituzionale. Per quello che ho letto, i vari pareri degli esperti, ritengo che, nel momento in cui l'intercettazione aveva individuato la voce del Presidente, la stessa doveva IMMEDIATAMENTE cessare. Una volta improvvidamente raccolta, si pongono i problemi che Giacalone solleva, e che in parte sono quelli obiettati anche dalla Procura. Però, ricordo a me stesso, non è insolito che la Legge si trovi di fronte ad un bivio in cui deve scegliere tra due BENI, VALORI, degni entrambi di tutela. E uno deve prevalere. Secondo La Corte, sulla base della norma costituzionale invocata dal Capo dello Stato, quello prevalente era il suo, sancito dall'art. 90 della Carta Costituzionale.
Resta che in Italia la situazione di scontro tra poteri è arrivato a livelli sconosciuti (ILVA altro esempio ) e questo si deve alla sciagurata alleanza stretta nel recente passato tra una parte della magistratura, certa parte politica e anche alcuni organi più o meno istituzionali. Serviva per battere "il nemico comune".
Qualcuno ricorda i triumvirati della Roma di fine repubblica ? Alleanze del momento, finite sempre con delle guerre civili. Da noi la guerra è incruenta, ma ciò non toglie che sia in corso.
Buona Lettura
Sentenza perfetta
Potrebbe essere chiamata “sentenza perfetta”. Nel senso che
la decisione della Corte costituzionale (con la quale si boccia la procura di
Palermo e si accoglie il ricorso del Quirinale, quindi s’indirizzano le
intercettazioni telefoniche in questione verso la distruzione) porta a
compimento e maturazione non uno, ma più processi degenerativi della giustizia
italiana. Nella “tempesta perfetta” tutti gli elementi meteorologici
sfavorevoli si danno appuntamento. Nella “sentenza perfetta” si sono
effettivamente incontrati. Per meglio apprezzarli vanno divisi.
1. L’Associazione nazionale magistrati ci ha provato, ma già
il tentativo racconta il proprio fallimento: la sentenza, hanno detto, non deve
essere letta in modo politico, o di contrasto con la procura palermitana. A
parte che il contrasto era nelle cose, a parte che i palermitani ce la mettono
tutta per amplificarlo, perché il sindacato dei magistrati sente il bisogno di
dire che la lettura non deve essere politica? Risulta anche a loro che, almeno
in certi casi, la lettura politica è pertinente? In ogni caso, l’opinione di un
barbuto magistrato combattente, direttamente gestore delle indagini, quindi
autore del misfatto, oggi operante in Guatemala, non lascia alcun margine al
dubbio: “la politica ha prevalso sul diritto”. E, per non essere frainteso, ha
aggiunto che non solo rifarebbe esattamente quel che ha fatto, ma che la scelta
del Colle di ricorrere ai dirimpettai è da considerarsi un grave danno per le
istituzioni.
Il primo punto, quindi, è la ribellione vivace dei
magistrati direttamente coinvolti, che accusano il presidente della Repubblica
di avere attentato alle istituzioni (uno dei pochi casi per i quali non è
irresponsabile e può essere perseguito), e accusano la Corte d’essersi resa
autrice di una sentenza politica. Posto che queste non sono divergenze
d’opinioni, ma pesantissime accuse, in un Paese appena decente sarebbe chiaro
che: o hanno ragione, e s’incrimina il presidente, o hanno torto, e li si butta
fuori dalla magistratura.
2. La cosa singolare è che tanto pesanti invettive non erano
adeguatamente “valorizzate”, dai giornali e dalla comunicazione di ieri. Ai bei
tempi, quando certi pronunciamenti togati avevano un solo bersaglio, con quelle
accorate parole, con quegli ultimi rantoli dei servitori del diritto, si
sarebbero aperte le prime pagine. Ieri, invece, andavano in catenacci e
occhielli, se non direttamente nelle pagine interne. Siccome, però, Freud non è
passato invano, il titolo più gettonato, ieri, era: ha vinto Napolitano. Il
che, lo si lasci dire a noi che non abbiamo mai concorso al ruolo di commessi
dattilografi, cui tanti quirinalisti anelano, non è esatto, perché quando il
ricorso fu presentato proprio il Colle sostenne di farlo in nome e per conto
delle prerogative presidenziali. Il che aveva un fondamento. Sicché oggi, a
volere stare alle parole presidenziali, non è ascrivibile alcuna vittoria a una
persona specifica. Ma, si sa, nulla è più fastidioso dei servitori troppo zelanti,
incapaci di trattenersi innanzi all’ovvio: ha vinto. Così com’è ovvio che
giocava in casa.
Al coretto di ieri si sottrae il più quotato foglio dei
giustizialisti, Il Fatto, che chiarisce il concetto: “Una Corte cortigiana”. La
foga titolatrice ricorda i bei tempi delle leggi che si supponeva servissero a
salvare Berlusconi & C., difatti si discetta di un’invenzione
costituzionale, pur di dare ragione al Quirinale. Gliecché quando questo si
diceva di Berlusconi la valle giornalistica restituiva un eco frizzante e
polidirezionale, mentre ora sembra che parlino nell’ovatta. E glié anche che le
leggi berlusconiche non salvarono nessuno degli accoliti, aggiungendo la
figuraccia avvocatesca al danno, mentre qui il colpo va a segno. Dritto al
centro e senza sbavature. Altro che “lodo Schifani” o “lodo Alfano”, qui si
vince con lode.
Il problema logico del fronte giustizialista, però, è il
seguente: se le sentenze non si possono mai criticare, se quando io scrivo che
questa o quella decisione di un tribunale è una boiata (che da cittadino sono
tenuto a rispettare, ma non ad adorare), mi capita di rileggere cento volte
che staremmo “delegittimando” la magistratura, la giustizia, la Costituzione,
la mamma e non so che altro, loro, che stanno facendo? Certo, la Corte
costituzionale non è un tribunale, i giudici non sono di carriera e non sono
iscritti all’Anm. Ma l’obiezione casca subito, perché i giustizialisti
contestano eccome le sentenze (ad esempio della Cassazione), considerandole
immonde concessioni al crimine e alla corruzione, se solo non ci trovano
scritto quel che di notte sognano. Sicché, infine, ecco trovato un aspetto
positivo della sentenza costituzionale: non fidatevi dei giustizialisti, sono
tutti convinti che il “diritto” sia un pugno.
3. Altri aspetti
positivi, in quella sentenza, non ne troverete. Come suol dirsi: aspettiamo le
motivazioni. Nell’attesa, però, ripassiamo la Costituzione: il presidente della
Repubblica non ha alcuna immunità specifica, semmai è irresponsabile, e solo
per gli atti relativi all’esercizio delle sue funzioni. Ne scrisse
impareggiabilmente Costantino Mortati: per le altre cose è perseguibile eccome,
semmai esiste una causa di sospensione del procedimento, ma non immunità.
Allora, se il presidente non lo si può intercettare incidentalmente, in cosa la
sua posizione è diversa da quella di altri soggetti, dotati d’immunità?
Leggeremo le motivazioni.
In quanto alla distruzione di tutte le intercettazioni, al
solo udire la sua voce, anche su questo non sono del tutto convinto. Nel mondo
dei giustizialisti esistono solo le accuse e il sistema per dimostrarle, ma nel
mondo del diritto le cose stanno in modo diverso: se sono accusato
ingiustamente e un poliziotto, o un magistrato, o non so chi, parlando con il
presidente, gli spiega come hanno fatto a incastrarmi e fregarmi, dobbiamo
distruggere tutto? Leggeremo le motivazioni.
4. Non dimenticate in quale contesto è nato il problema:
l’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia. Spero che la lezione sia stata
chiara, e spero che anche al Colle abbiano il coraggio di dire quel che
dovrebbero avere imparato: se si fanno inchieste elastiche, passibili di
allargarsi a qualsiasi contesto, spiegazione e motivazione, se s’indaga su una
trattativa e manco si sa quando, fra chi, per cosa, va a finire che puoi
coinvolgere, fregare e infangare chi ti pare. Ed è capitato anche all’uomo del
Colle.
Quella roba è cominciata in modo sbagliato. E’ continuata
pendendo dalle labbra di un Ciancimino qualsiasi (e quando noi documentavamo
che stava raccontando balle ci dicevano: vuoi coprire il losco, salvo poi
prendere atto che trattasi di sontuoso fregnacciaro). E rischia di andare a
finire senza finire, vale a dire senza sentenza ma con il pubblico ministero
che ha istruito la commedia che ne trae le conclusioni per i fatti suoi, in uno
dei due libri che scrive alla settimana, senza per questo trascurare il lavoro
(la mia è tutta invidia, ma ci metto più io a leggerli che lui a scriverli).
Ecco, in questa roba, a un certo punto, c’è anche che Forza
Italia nacque per favorire la trattativa, se non direttamente per soddisfare
l’impellente esigenza della disonorata società, ovvero quella di avere un
partito tutto per sé. E mi annoia anche solo ripetere quel che abbiamo cento
volte spiegato: ove mai quella trattativa vi fu, il prezzo del patto scellerato
fu pagato prima del 1994: presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro;
presidente del Consiglio Carlo Azelio Ciampi; ministro della giustizia Giovanni
Conso. Per la storia.
Ecco perché si tratta di una “sentenza perfetta”, perché a
furia di lasciar decadere la giustizia, a furia di lasciare le procure in balia
dei teoremi, a furia d’allevare procuratori che ambiscono a riscrivere la
storia e, già che ci sono, anche il futuro, va a finire che tutte le follie
confluiscono in un punto. Nella sentenza perfetta.
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