Qualche giorno fa lessi con un certo stupore la riflessione di un caro amico di FB, Gabriele, sul tema della MERITOCRAZIA. Concetto si sa indigesto alla sinistra, specie quella ortodossa, ottocentesca e/o comunista, per la quale alla fine non interessano i punti di partenza, visto che l'importante sono i punti di arrivo, che devono essere UGUALI. I liberali dicono l'opposto. Cercando di creare i presupposti per le pari opportunità (concetto utopistico ma validissima rotta da perseguire comunque) , per un liberale l'uguaglianza dovrebbe essere quella dei punti di partenza, mentre gli "arrivi" si differenzieranno secondo capacità e merito.
Tutto il pensiero Lib - Lab, con esponenti a suo tempo icone della stessa sinistra progressista, poi caduti in disgrazia (parlo di Blair ovvio) che avevano fatta propria questa filosofia, pone l'accento sul MERITO. E ancora oggi, Renzi da una parte e movimenti come FiD di Oscar Giannino, Zingales, Boldrin dall'altra (il primo "laburista" , il secondo più liberale ) puntano forte su questo valore.
Che però resta oscuro , come detto, alla sinistra - sinistra, quella che va da Bersani per diramarsi più sulle ali, con Fassina, Camusso, Vendola....Perché dietro la parola "Merito" temono sempre si celi la filosofia darwiniana, del debole destinato a soccombere, dove per "più capace" si finisce per intendere il "più forte".
E loro, che si sentono gli unici difensori dei deboli, non ci stanno.
Le posizioni sono piuttosto chiare . Ed ecco invece che giungono, inaspettate come detto, le considerazioni di Gabriele che non è affatto uomo di sinistra, ma liberale vero (anche liberista).
In sostanza Gabriele, che sta ultimando gli studi di economia ma che io avrei visto come ottimo studioso di filosofia ( materia che sono certo coltivi per passione) , non contesta il principio che sia giusto che ai "migliori" spetti di più, ma pone il problema sul COME il merito possa essere riconosciuto e quindi premiato.
Il Mercato veramente concorrente potrebbe in effetti operare questa selezione in base alla bravura imprenditoriale di fornire il miglior prodotto, o in assoluto (Ferrari), o nel rapporto qualità - prezzo, o per mera convenienza (mi viene in mente l'Ikea , ma è solo un mio pensiero ). Ma, obietta Gabriele, questo Mercato dove la concorrenza è VERA, esiste realmente ? Cartelli (si pensi alle Banche, alle Assicurazioni, alle imprese petrolifere), trust, incentivi (rottamazioni ), sostegni alle imprese (vietati ma che però continuano ad essere elargiti in molti casi ) dimostrano che così non avviene. Il che è vero, ma è proprio questo che i "meritocratici" vorrebbero cambiare. Più delicata è la questione del merito nel campo dell'istruzione e, successivamente, del successo nel lavoro in campi dove i risultati non si misurano sul fatturato .
La selezione, finalizzata per esempio a forgiare una classe dirigente degna di questo nome, come si fa ? Di nuovo ricordo i "consigli" di Baricco alla Leopolda, Big Bang renziano del 2011, dove appunto il grande affabulatore, parlando delle parole ostiche alla sinistra - di cui fa parte - ricordava quelle di "Merito" e "Classe Dirigente". E non parliamo solo dei vertici, che pure sono i più visibili e quindi i più importanti, ma dei direttori e presidi e rettori e presidenti che hanno il potere di organizzare, controllare, e in teoria premiare o sanzionare. Quelli a cui dovrebbero potersi rivolgere i cittadini ricevendo risposte competenti.
Tutto questi posti, che oggi più spesso vengono occupati per clientelismo (politico e/o familiare) , per anzianità (anche di mero precariato), dovrebbero invece essere assegnati per Merito.
Ma in concreto, obietta Gabriele ? Bandi ? Concorsi ? Con quali criteri, con quali controlli ? Obiezioni giuste, che però sanno un po' di "migliorismo", quella nota tentazione del "meglio" che, essendo per lo più irrealizzabile, impedisce anche il perseguimento del bene. Nella fattispecie, una società che esca dal familismo attuale, politico, domestico o addirittura criminale, già farebbe un notevole passo in avanti. Eliminare le assunzioni precarie "Infinite", con gente che poi rivendica l'assunzione per il numero di anni passati a lavorare aspettando il posto fisso, sarebbe cosa buona e giusta. Riordinare la scuola e l'università in base a criteri di selezione formativa e di economica utilità anche ( e quindi, come si è iniziato a fare, via a materie e corsi di laurea dove sono più i prof e gli assistenti che non i corsisti). L'elenco è sterminato, ma la rotta è unica : dimmi cosa conosci, non chi .
Bello l'articolo sul tema pubblicato qualche giorno fa sul Corriere della Sera
“«Meritocrazia valore di destra» L’idea che la sinistra deve
rottamare” di ROGER ABRAVANEL
Creare una nuova sinistra non richiede solo di «rottamare» alcuni dei politici come vorrebbero in molti, ma anche alcune vecchie idee. La prima, e forse la più importante, è stata la risposta data al moderatore del dibattito di Sky tra i contendenti alle primarie che chiedeva a Bersani se fosse «in favore di più meritocrazia». Al che il segretario del Partito democratico ha risposto «va bene più meritocrazia, ma anche più eguaglianza». Il che sottintende che la competizione va bene per i vertici della politica e della economia, ma se estesa alle masse dei lavoratori e degli studenti può portare, per esempio, a licenziamenti di massa e alla perdita del «diritto allo studio». Ne deriva che l’unico modo efficace per ridurre la diseguaglianza è quello di ridistribuire la ricchezza dai ricchi ai poveri.
Nulla di nuovo. Per la sinistra italiana la meritocrazia resta un valore «di destra» e l’egalitarismo continua a restare il principio fondante, contrariamente alle sinistre nordeuropee che da più di vent’anni lo hanno fatto evolvere nella ricerca delle pari opportunità. L’idea era semplice: se uno va avanti solo se è bravo e non perché è furbo o raccomandato da qualcuno che gli deve un favore, la mobilità sociale aumenta perché anche un povero meritevole può salire sull’«ascensore sociale».
Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncorrenza e il non rispetto delle regole. Eppure resta sospettosa quando l’idea della competizione spinta viene estesa dall’élite alle masse. Questo avviene per due motivi. Primo, «il bisogno»: il lavoratore che fa male il proprio lavoro meriterebbe di essere licenziato ma «ha bisogno» del posto di lavoro (per mantenere una moglie che non lavora e i figli precari); e quindi resta l’articolo 18. Secondo: il «diritto acquisito»: il precario della scuola ha acquisito il diritto al posto fisso e quindi è giusto opporsi al primo concorso dopo 10 anni che lo mette in competizione con la nuova generazione di insegnanti. È ovvio perché questi due motivi valgono solo per le masse e non per il top: Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani non hanno né il «bisogno» né il «diritto» di diventare presidenti del Consiglio e quindi si accetta una competizione accanita. Ma non si accetta per milioni di lavoratori e studenti. E neanche Matteo Renzi, che pure ha preso posizioni coraggiose e anche controproducenti su pensioni e politica estera ha osato esprimersi chiaramente a favore di una meritocrazia più diffusa su temi come il lavoro e la scuola: ha dichiarato di voler adattare il giusto modello della flexsecurity di Pietro Ichino (quasi scomunicato dal Partito democratico) ma non ha parlato della meritocrazia individuale e, relativamente alla scuola, ci si sarebbe aspettata più enfasi nel sostenere l’esigenza di valutare gli insegnanti per migliorare la qualità dell’insegnamento dove è meno buona.
Il problema è che la sinistra italiana non si rende conto che rispettare i «bisogni» e i «diritti acquisiti» perpetua la spaventosa ineguaglianza della società italiana che abbiamo già descritto nelle pagine di questo quotidiano. Se non si può licenziare un lavoratore che lavora male (proteggendolo con ammortizzatori sociali orientati a reinserirlo rapidamente nel mondo del lavoro), aumenterà l’attuale apartheid tra 12 milioni di lavoratori di fatto inamovibili a livello individuale e 9 milioni licenziabili senza vincolo alcuno.
Se il «diritto allo studio» protegge insegnanti mediocri, ciò va a scapito degli studenti con meno mezzi per i quali la scuola è la unica vera chance di azzerare i privilegi della nascita; continuerà in Italia la discriminazione tra gli studenti del Nord che hanno scuole di livello europeo e quelli del sud che l’Ocse misura essere a livello dell’Uruguay e della Thailandia. Se la sinistra da un lato lotta giustamente contro la corruzione nella sanità, ma dall’altro protegge indiscriminatamente chi ci lavora, in alcune regioni del Centro Sud con sprechi assurdi, incompetenza e pessimo livello di servizio, l’ineguaglianza della qualità del servizio sanitario pubblico tra alcune regioni del Nord e altre del Centro Sud è destinata ad aumentare, in particolare adesso che non si può ricorrere più alla spesa pubblica.
La mancanza di meritocrazia ci ha resi più ineguali, nonostante la pretesa di essere una società basata sulla solidarietà. Ma è anche la principale causa della stagnazione economica degli ultimi 25 anni. L’apartheid del lavoro, oltre a essere ingiusto, ha distrutto la produttività, perché il precario bravo raramente riceve dalle imprese gli investimenti in formazione e in sviluppo professionale, che alla fine ci rimettono in produttività. E l’immettere ogni anno molto meno studenti eccellenti (un terzo) delle società nordeuropee con scuole capaci di seguire i più lenti ma anche di valorizzare i più bravi, non creerà la classe dirigente per fare ripartire l’economia del nuovo millennio.
Convincersi che la meritocrazia porta a più eguaglianza e conseguentemente «rottamare» tanti tabù della vecchia sinistra sarà essenziale a Pier Luigi Bersani per convincere gli elettori del Pd che hanno votato per Matteo Renzi a votare per lui alle prossime elezioni e a vincerle. Ma soprattutto sarà essenziale per governare un Paese fermo da 25 anni.
Come spesso mi capita sono quasi d’accordo sui concetti fondamentali espressi sul tema, sia dal Blogger che dall’articolista del Corriere della Sera. Ma, riconosciuta ab initio la conoscenza poco approfondita dei sacri testi in materia di filosofia politica, non riesco a trovare le giustificazioni ad affermazioni come:
RispondiElimina“MERITOCRAZIA. Concetto si sa indigesto alla sinistra, specie quella ortodossa, ottocentesca e/o comunista, per la quale alla fine non interessano i punti di partenza, visto che l'importante sono i punti di arrivo, che devono essere UGUALI”.
Non mi sembra di aver mai sentito né letto un concetto del genere nei discorsi seri della Sinistra. Chiedo aiuto a chi ne sa più di me: quali sono i testi della filosofia di sinistra che giustificano e sostengono la tale frase?
Inoltre, perché nel susseguirsi dei vari periodi che compongono l’articolo postato si scegli di non evidenziare (immagino significhi che è meno importante) il seguente?
“Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncorrenza e il non rispetto delle regole.”
Forse dobbiamo seguire il consiglio di Baricco e … andare oltre! UNCLE
Dunque Zio, parto dalla coda : le evidenziazioni indicano la condivisione PERSONALE. I passaggi che io condivido, che sottoscrivo. Se manipolassi, come moltissimi fanno, con la scusa dello spazio, non riporterei l'INTERO articolo ma SOLO quello che io condivido. Così invece tu e gli altri avete modo di leggere tutto, e mettere l'accento su aspetti sui quali io invece non sono d'accordo, del tutto o in parte. La riforma più demente e deleteria della storia universitaria l'ha fatta Luigi Berlinguer, mentre la prima che va nella direzione giusta, ancorché con tanta strada ancora da fare, l'ha fatta la Gelmini. Il sistema sanitario crolla per inefficienza e la picconata più grande (certo non l'unica) l'ha data la riforma del titolo V della costituzione e la riforma Bindi. Robe di sinistra. Ecco perché non sono d'accordo sul punto, o almeno non in modo così convinto e assoluto. Venendo invece alla prima questione, citi Baricco (e a questo punto anche un po' il Camerlengo...), e forse dunque lo segui. LUI è uno dei primi a denunciare che la parola MERITO è a VOI (finalmente sai di essere di sinistra. MI fa piacere pensare che abbia contribuito a farti uscire dal dubbio che esprimevi agli inizi ) di sinistra NON piace. Comunque, cito due passaggi filosofici collegati : C. Marx e Norberto Bobbio. Non di destra direi. Prendendo spunto dal primo, che sintetizzava il principio di uguaglianza per il quale "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi BISOGNI (NON MERITI ZIO, BISOGNI ! ) , Norberto Bobbio traduceva, nel suo bellissimo libello (un'ottima idea per chiedere un dono di Natale no ? ) "Destra, Sinistra", che l'utopia socialista è l'uguaglianza dei punti di ARRIVO, mentre quella liberale (di destra) è quella dei punti di PARTENZA. POI. come dice l'autore dell'articolo postato, l'evoluzione di PARTE della sinistra, ha sposato il concetto Liberale, cercando anzi di renderlo più attuale e incalzante. Sempre lieto che mi leggi e di esserti utile.
RispondiEliminaGiuseppe Ricagni
RispondiEliminaLa meritocrazia non è parte della cultura Italiana (destra o sinistra che sia) fondata storicamente su valori diversi.
Non stupisce che non la si riesca neanche a capire: è come far capire la democrazia agli Afghani...!
In quanto al dubbio espresso all'inizio, tutt'ora esistente, è determinato dalla frequente mancnza di coerenza tra la sinistra dei partiti e la sinistra filosofica. Oggi comunque, anche se tu non sottoscrivi, sembra che, ripeto; "Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncorrenza e il non rispetto delle regole.”
RispondiEliminaComunque grazie per l'indicazione del libello che leggerò subito. UNCLE
P.S. Condivido comunque il commento di Ricagni: ottimo l'esempio.