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venerdì 4 gennaio 2013

IL PD RICHIAMA RENZI, PER NASCONDERE L'OPA SINDACALE



Ieri Polito, in una sua nota sul Corriere della Sera, aveva lucidamente analizzato una cosa peraltro in corso da tempo e semmai sempre più evidente : il PD non è più un partito di centro sinistra, democratico in senso Liberal e/o americano, ma puramente di sinistra, più somigliante al dirigismo e statalismo del partito socialista di Hollande in Francia , che al laburismo inglese o anche alla socialdemocrazia tedesca (http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/01/il-pd-si-allontana-sinistra-sara-un.html ).
Del resto, i partiti post PCI sempre questo sono stati, disponibili a perpetuare il modello berlingueraino di compromesso storico, quindi di confronto con la parte del centro (per lo più cattolica...tra chiese....) più convergente sull'idea di  prevalenza del pubblico sul privato, di intervento dello Stato in praticamente tutte le ramificazioni in cui si dirama una società, economia compresa.
Dopo il fallimento dell'Unione prodiana del 2006, venne partorita l'idea di una formazione unica tra queste due aree, per formare un partito che andasse OLTRE i recinti dei due gruppi fondanti . I Democratici, progressisti che andavano dai socialdemocratici ai liberali di sinistra, tagliando le parti estreme e inglobando quanta più parte possibile del centro aperto al riformismo. Una formazione da 40% e più dell'elettorato. Veltroni, il primo segretario e uno dei principali propugnatori , coerente con il suo mito kennedyano, arrivò al 33% , che come inizio era assolutamente dignitoso ma ciononostante perdente (del resto tutti i sondaggi davano vincente Berlusconi nel 2008, così come oggi accade per Bersani ). Renzi, che sarebbe stato il vero continuatore dell'idea originaria del PD, ha perso, sia pure con l'onore delle armi, una folle sfida a Bersani . Folle perché, accettando regole per cui alla fine alle votazioni partecipavano solo gli elettori già di area democratica, era palese che la vittoria sarebbe andata a chi controllava il partito e non solo per ragioni di apparato : o si aprivano le porte della Chiesa per vedere SE entravano altri fedeli, o  si restava nell'ambito solito, e allora gli ortodossi erano di più, e così è stato,  come del resto hanno confermato  le cosiddette primarie per scegliere i candidati alle elezioni nazionali, che hanno visto prevalere i candidati più di sinistra.
Certo Bersani avverte forse che qualche problemino, sia ora che in futuro, potrebbe averlo con questo smottamento a sinistra. Per esempio, spingere alla mobilitazione dell'ultimo momento dell'elettorato di centro destra ma soprattutto anti sinistra, che in Italia non è inferiore al 50% degli elettori (in Francia è piuttosto simile la cosa ! La sinistra ha vinto grazie alla sua sufficiente unità rispetto alla dispersione a destra ) . In questo senso Monti più che un avversario, come pure hanno temuto e un po' ancora temono quelli del PD, si sta rivelando un alleato, drenando dal PDL il voto non di sinistra. La stessa cosa fa Grillo. Ecco perché si sono tenuti cari il Porcellum. Nel panorama attuale, piuttosto dispersivo, senza più i poli Berlusconiano e Anti, sono diverse le formazioni che prenderanno più dell'8% , entrando in Parlamento e rompendo lo schema bipolare : Il PDL, Monti, il PD e Grillo, sicuramente, e poi chissà, magari anche altri riusciranno a farcela, superando il 4%.... Ingroia e Di Pietro, Giannino (me lo auguro di cuore ) , la Lega, da sola o col PDL. Un bel ritorno alla prima repubblica, dove nessuno nemmeno sfiorava il 50% dei voti, ma grazie al premio di maggioranza, in odore di incostituzionalità ma chissene frega, oggi che ci fa comodo, il PD col 30 - 35% dei voti sarà il vincitore e avrà la maggioranza assoluta alla Camera. Al Senato, la partita è più aperta.
E proprio per vincere anche quella che Bersani ha convocato il panchinaro di lusso, Renzi, per provare a prendere parte di quel voto di centro sinistra che potrebbe disertare un PD che la parola centro l'ha abolita, di fatto. Nelle regioni cruciali, tipo Lombardia e Lazio (Roma è tornata di sinistra ma le altre province no ) quel voto potrebbe essere cruciale e il sindaco di Firenze è stato chiamato a dare una mano in Ditta. Avrà il suo premio. Gli auguro che sia lauto, perché da Renzi in molti speravamo qualcosa di diverso. Alla fine ha detto che lui non è uno di quelli che siccome perde se ne va via portando via il pallone. Giusto. Però al di là delle immagini suggestive, di cui Renzi è maestro, poi c'è la realtà, che da ragione ad Ichino, e forse torto a lui. Ma magari al buon Matteo fa bene un Pd in salsa nuova DC, dove tutto si tiene in piedi, andando da Fassina e lui, passando per Bersani. Il potere, o l'idea di esso, può favorire queste unioni. Certo, così si possono vincere le elezioni. Per governare, un pochino più complicato.
Ma su questo il PD è ermetico. L'obiezione viene ripetuta spesso, non tanto nelle interviste, tutte piuttosto servili, ma nei commenti e negli editoriali politici sì.
Quello che riporto è di Angelo Panebianco, penna principe del Corsera, che propone   queste domande : chi saranno i ministri del probabile futuro governo Bersani ? E quale sarà il rapporto del Governo con un socio di maggioranza extra parlamentare, assai poco occulto, come la CGIL ?
Domande lecite , da elettori, ma che non riceveranno risposta.
Buona Lettura


LE CARTE (TROPPO COPERTE) DEL PD
La necessaria trasparenza


I sondaggi danno il Pd come il probabile vincitore delle elezioni. Però la campagna elettorale è lunga e ciò che accadde nel 2006 quando Romano Prodi, il grande favorito, vinse alla fine solo per un soffio, consiglia prudenza. Al momento, comunque, è plausibile ritenere che possa essere Pier Luigi Bersani il prossimo presidente del Consiglio. Bersani sta annunciando, da giorni, ogni giorno, le candidature, nel suo partito, di personalità di prestigio. Sarebbe utile se cominciasse anche a dare qualche informazione agli elettori sulla composizione del suo possibile governo. È vero che in campagna elettorale i partiti cercano di non scoprire troppo le carte. Ma è per lo meno lecito chiedere al favorito dai sondaggi di fare un po' di chiarezza su questo decisivo aspetto.

Facciamo un esempio. Molti danno per probabile che Massimo D'Alema diventi il nuovo ministro degli Esteri. Poniamo che sia vero. D'Alema ha già ricoperto quell'incarico ed è un politico preparato e autorevole. Nulla da eccepire su questo. Ma c'è un ma. In un ambito che è strategico per la politica estera italiana, il Medio Oriente, D'Alema non ha mai fatto mistero di certe sue radicate convinzioni. Soprattutto, non ha mai fatto mistero della sua (chiamiamola eufemisticamente così) scarsa simpatia per Israele, e di una adesione alla «causa» palestinese così spinta da renderlo bene accetto anche ai gruppi più estremisti, dai palestinesi di Hamas agli sciiti di Hezbollah. Dovremo aspettarci da un eventuale governo Bersani una politica mediorientale non equidistante nel conflitto, ossia attenta agli interessi di tutti, ma nettamente sbilanciata a favore di una delle parti in causa?

Politica estera a parte, molto si giocherà sul piano dell'economia e delle riforme di struttura. È facile scommettere che Bersani, da politico accorto, sceglierà un ministro dell'Economia ben accetto all'Europa e ai mercati, un tecnico di prestigio con il giusto pedigree e i giusti contatti internazionali. Se non che, la politica che più inciderà sul nostro futuro la faranno soprattutto altri ministeri, quelli che si occupano di lavoro e welfare, di istruzione, di pubblica amministrazione, di sanità. Sarebbe utile avere qualche anticipazione sui nomi di coloro che andranno ad occupare quelle poltrone. Soprattutto per capire quanto peseranno sulla politica del governo Bersani gli interessi del principale «azionista» del Pd: la Cgil. In tutti quei campi, quella del governo Bersani sarà una politica in cui non si muoverà foglia che la Cgil non voglia?

Non basta qualche virtuosismo verbale per nascondere la più vistosa contraddizione con cui il Pd è entrato in questa campagna elettorale. Il gioco delle parti, e la divisione dei ruoli, fra Bersani l'europeista e Fassina l'operaista, che ha contraddistinto tutto il periodo del governo Monti, non potrà reggere ancora a lungo. Il caso del welfare è esemplare. Sappiamo tutti che è stata la politica del ministro Fornero, la riforma delle pensioni soprattutto (e anche, in parte, quella del lavoro), ciò che ha più convinto l'Europa della bontà delle ricette Monti. Ma si dà anche il caso che la politica della Fornero sia stata avversatissima dalla Cgil e dai politici (quasi tutti membri dell'entourage di Bersani) che alla Cgil fanno riferimento.

Quando non ci sarà più Giorgio Napolitano a trattenere per la giacca il Pd, che fine faranno le riforme Fornero? Basterà il reclutamento di un prestigioso giuslavorista come Carlo Dell'Aringa a compensare e a neutralizzare il conservatorismo in materia di welfare e lavoro che è proprio della Cgil e dei suoi (tanti) amici del Pd? Non è forse proprio perché non ha più creduto nella possibilità di neutralizzare quel conservatorismo, ad esempio, che Pietro Ichino se ne è andato?

Il ragionamento vale anche per altri ministeri ove pesano gli interessi Cgil. Per esempio, nel campo della scuola, ove la Cgil è tradizionalmente la punta di diamante del fronte conservatore contrario a qualunque forma di riqualificazione in senso meritocratico del corpo insegnante. Né risulta che il Pd abbia mai formulato, in materia scolastica, proposte in conflitto con i desiderata della Cgil. L'unica eccezione fu, molto tempo fa, Luigi Berlinguer, quando stava alla Pubblica Istruzione, e mal gliene incolse. E vale per la pubblica amministrazione, un altro ambito nel quale qualunque eventuale proposito modernizzatore si scontrerebbe subito con i veti sindacali.

Il problema è reso ancor più acuto dall'(auto)ridimensionamento politico di Matteo Renzi. Dopo aver fatto sfracelli, conquistando quasi il 40 per cento dei consensi nelle primarie contro Bersani, Renzi ha scelto, per troppo tempo, di rimanere in silenzio. La notizia dell'ultima ora è che ha appena fumato il calumet della pace con Bersani. Collaborerà alla campagna elettorale. Ma forse i suoi sostenitori si aspettavano altro, si aspettavano che fosse il contraltare politico, entro il Pd, della linea Cgil/Vendola. Il suo ridimensionamento sembra privare quella linea di un solido contraltare interno.

Poniamo che, dopo le elezioni, mancando la maggioranza al Senato, Bersani sia costretto a negoziare con Monti e i suoi la composizione del governo. A questi ultimi converrebbe esigere proprio quei ministeri, a cominciare dal welfare, nei quali, per chi vuole innovare, lo scontro con la Cgil è garantito. Alla fin fine, ciò converrebbe anche a Bersani. Difficilmente potrebbe durare a lungo un governo appiattito sulle posizioni sindacali. Né l'eventuale presenza di un tecnico di prestigio all'Economia riuscirebbe a nascondere per molto tempo, di fronte agli altri governi europei, l'incapacità di innovazione di coloro che staranno nelle retrovie



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