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martedì 22 gennaio 2013

LA SANITA'. RIFORMARLA INTERESSA ?



Riflessione serie sulla Sanità Italiana. I suoi costi, le sue qualità, che pure ci sono, gli errori e le possibili soluzioni.
La propone Davide Giacalone. Siccome dopo la Previdenza, questa è la voce più pesante della Spesa Pubblica italiana,.e ragione di spaventosi deficit in tante regioni, io una letta la darei...


 Sanità politica

L’antico testamento imponeva di partorire con dolore, non prevedeva l’aggravio di costo, introdotto dalla sanità italiana. Anziché mandare i carabinieri e spendere i soldi per una ricerca, il ministro Renato Balduzzi poteva limitarsi a leggere Libero. Ne avrebbe tratto doppio vantaggio: a. lo scrivevamo nel settembre del 2010, sicché il clamore odierno c’induce a riflettere sulla pochezza di chi governa e la smemoratezza di tutti gli altri; b. indicavamo cause e soluzioni. Sono certo che si può tagliare la spesa pubblica migliorando il servizio, se solo si sa dove mettere le mani.
Nel settembre del 2010 le cronache restituivano notizie di bambini, talora con le loro madri, morti al momento del parto. Epicentro del fenomeno: Messina. Che stava succedendo? I medici erano divenuti delle bestie? No. Chiedo scusa per la contabilità macabra, ma vedrete che i numeri dicono molto. Nelle sale operatorie italiane si muore meno che nella media europea. La qualità dei medici è superiore, come anche l’igiene. La mortalità infantile ammonta al 3,3 per mille dei nati vivi. In Europa il risultato migliore se lo aggiudica l’Islanda (2,6), mentre in Gran Bretagna c’è la più alta probabilità che un bambino non compia mai i primi passi (5,3). Le cose vanno bene, quindi, dalle nostre parti. Ma le medie sono solo dati indicativi, se si disaggregano i dati emerge un panorama orrendo: nel primo mese di vita muoiono, al nord, il 2,5 per mille dei bambini, ma sono il 2,9 al centro e il 4,3 al sud. Se si allunga il periodo di riferimento, arrivando a un anno di vita, le distanze crescono: nel sud muore un bambino ogni 200, nel nord ogni 300. I dati sono chiari: se isolassimo il nord saremmo i migliori d’Europa, se isolassimo il sud ci contenderemmo il posto di peggiori.
La differenza fra nord e sud d’Italia è data non dalla preparazione dei medici, e meno che mai da differenze genetiche, ma dalla modalità di gestione della spesa e delle strutture sanitarie. I dati appena fissati ci aiutano a dire una banale verità: non esiste un Servizio Sanitario Nazionale, noi abbiamo tanti e diversi servizi sanitari regionali. Follia.
Nel 2010, a Messina, una circolare amministrativa impose ai medici ospedalieri di diminuire del 20% i tagli cesarei. Scommetto che tutti pensano sia stata improvvida, ma prima di randellare l’estensore vale la pena considerare un dato: secondo l’Ordine Mondiale della Sanità le nascite con assistenza chirurgica dovrebbero stare nell’ordine del 15%, in Italia raggiungono il 38, con punte del 50. Troppe. Ma siccome il sistema è incapace sia di controllare l’effettivo bisogno del bisturi, come anche solo di stabilire un nesso fra le spese e le necessità, si affida alla statistica per guidare nel buio, sicché al reparto di cardiologia potrebbero trovarsi davanti ad una valvola da impiantare dopo che è stato superato il limite massimo previsto dalla riduzione delle spese, o in sala parto entrare una donna bisognosa di cesareo dopo che s’è esaurita la quota di quegli interventi. Prima di prendersela con i medici, allora, si tratta d’inseguire i forsennati che hanno concepito un simile sistema.
La malattia di cui soffre la sanità consiste: a. nella non separazione fra chi spende e chi controlla (le vecchie mutue funzionavano assai meglio); b. nella collettiva irresponsabilità; c. nell’irragionevole politicizzazione delle nomine; d. nella proliferazione del personale amministrativo; e. nel trattamento burocratico e non professionalizzante di quello medico. Al nord le cose funzionano meglio, anche perché il controllo sociale è più attento. I conti del sud sono la prova scientifica che peggiore è il servizio sanitario più alto è il suo costo. Tagliare la spesa, imponendo i controlli e verificando la qualità, giova alla salute economica, ma anche a quella fisica. Il guaio è che i politici sono considerati fetecchie, per definizione, e quando arrivano i tecnici al governo passano un anno per condurre una ricerca capace di scoprire quel che scrivemmo due anni prima.
Se ci dotassimo di una fitta rete di pronto soccorso, assistita da grandi ospedali adeguatamente attrezzati, assicureremmo migliore assistenza con minore spesa. Ma questo significa chiudere gli ospedali piccoli, che i pubblici amministratori difendono e dove i loro elettori crepano. Se affidassimo il controllo della spesa non ad amministratori nominati dalla politica, ma a mutue e assicurazioni, meno donne verrebbero tagliate inutilmente e meno bambini esposti a danni che, tra l’altro, costituiscono maggiori costi. Se trattassimo i medici come professionisti, anziché burocrati della ricetta, li vedremmo ricomparire a casa quando ci servono, mentre oggi porti il bambino dal pediatra anche se ha la febbre. Se affidassimo la spesa sanitaria alla gestione privata, vincolandola ai risultati, eviteremmo di spendere soldi pubblici per finanziare cliniche e laboratori privati e apriremmo il grande mercato dell’innovazione, fornendo assistenza domiciliare ai malati cronici, con loro maggiore comodità e minore spesa collettiva.
Dite che non si trova il consenso degli elettori? Proviamo a domandare loro: volete voi essere tassati di più per potere poi essere squartati di più? E vediamo che rispondono.

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