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lunedì 18 febbraio 2013

VADEMECUM ELETTORALE IN SALSA PORCELLUM


Iniziato ormai il conto alla rovescia per il voto di domenica e lunedì, ritengo cosa utile riportare una sorta di vademecum elettorale pubblicato dalla STAMPA di oggi, che riassume i contorni, non semplici, del nostro sistema elettorale.
I difetti del Porcellum sono noti :
1) Premio di maggioranza troppo ampio. Non c'è nessuna quota minima da raggiungere, basta un voto più degli altri e si prende la maggioranza dei seggi disponibili. Guardate cosa è successo in Sicilia : più del 50% degli elettori NON si sono recati alle urne. Del restante 49%, il partito che ha preso più voti è stato Grillo, col 16% circa. Nella coalizione vincente che ha sostenuto Crocetta, che ha ottenuto in tutto il 30% dei voti espressi, PD e UDC, insieme hanno preso attorno al 24% dei voti. In sostanza, con il voto di un QUARTO scarso dell'elettorato la coalizione di centro sinistra ha vinto. Non è un gran trionfo della partecipazione democratica, eppure Bersani ancora grida vittoria ...
2) Il premio scatta su base nazionale alla Camera e regionale al Senato. Questo fa sì che, anche in considerazione che l'elettorato non è identico (per votare al Senato bisogna aver compiuto i 25 anni, non i 18 sufficienti alla Camera) e distribuito diversamente lungo il territorio del paese, si può verificare che le due camere non siano conquistate dalla stessa maggioranza, e comunque non con lo stesso scarto di seggi. Accadde nel 2006 (ma era accaduto, con un sistema diverso, anche nel 1994 ) dove Prodi , grazie al premio, ebbe una solida maggioranza tra i deputati, ancorché su scala nazionale avesse vinto per soli 24.000 voti (!!!) , mentre tra i senatori solo DUE ( e grazie al voto degli italiani all'estero, che in Italia aveva preso 500.000 voti in meno a livello nazionale !).
3) Le liste sono "bloccate". Formate dai partiti. L'elettore non esprime preferenze per il singolo candidato.
Questi difetti sono stati stigmatizzati in lungo e largo, Napolitano ha lanciato ripetuti messaggi e lo ha fatto anche la Corte Costituzionale. Ma c'è poco da fare quando l'interesse politico si fa trasversale...Il Porcellum, voluto dal centrodestra nel 2005 (serviva a contenere l'annunciata sconfitta del 2006 . Nessuno scommetteva sulla rimonta di Berlusconi. Se si fosse votato col vecchio sistema, il Cavaliere avrebbe vinto ANCHE quelle elezioni ! ) , demonizzato per tutti i suoi otto anni di vita, alla fine è rimasto perché difeso da B&B, cioè Berlusconi e Bersani, a cui fa troppo gola quel 54% dei seggi alla Camera ottenibili con la semplice maggioranza relativa, che tutti i sondaggi dicono sia suo appannaggio...
Nell'articolo che segue Paolo Festuccia fa una sinossi sufficientemente chiara, aiutando(si) anche con qualche esempio concreto.
Molto usato sarà anche il voto disgiunto, vale a dire la diversa indicazione elettorale alla Camera e al Senato e pure alla Regione , laddove si voterà pure per il rinnovo del governo regionale.
Buona Lettura




POLITICA
18/02/2013

Sbarramento e premi
Tutte le trappole della legge elettorale

Domenica il voto: così il “Porcellum” aumenta il rischio di ingovernabilità
PAOLO FESTUCCIA
ROMA
La legge è la numero 270 del 21 dicembre 2005. Ai più nota come «Porcellum». E da otto anni disciplina l’elezione dei membri di Camera e Senato. Si tratta, in breve, della legge elettorale più discussa e criticata dal giorno della sua promulgazione. E a nulla sono valsi, in questi anni, gli appelli del Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla forze politiche per riformarla. 

Come funziona  
Nella sostanza si tratta di un sistema proporzionale che prevede liste bloccate, dove, l’elettore non sceglie direttamente i candidati, che sono eletti invece secondo l’ordine di presentazione in base ai seggi ottenuti dalla singola lista. Insomma, i cittadini non scelgono i loro rappresentati (e questo è il primo elemento di criticità) ma sono le segreterie dei partiti a stabilire chi avrà o meno chance di entrare nell’emiciclo parlamentare.  

Differenze tra il voto per la Camera e quello al Senato  
Per ottenere seggi alla Camera ogni coalizione deve ottenere almeno il 10% dei voti nazionali mentre per le liste non collegate la soglia minima viene ridotta al 4%. Lo stesso parametro (4%) è applicato alle liste collegate a una coalizione che non ha raggiunto la soglia. Le liste collegate a una coalizione che abbia superato tale parametro partecipano alla ripartizione dei seggi se superano il 2% dei voti, o se rappresentano la maggiore delle forze al di sotto di questa soglia all’interno della stessa, insomma, il miglior perdente. Per esemplificare se una coalizione, ad esempio quella guidata dal premier uscente Mario Monti, non riuscisse ad ottenere il 10% dei voti nazionali alla Camera, le tre liste collegate componenti la coalizione per avere loro rappresentanti in aula dovrebbero almeno ottenere il 4%. Diversamente resterebbero fuori. Mentre se il 10% fosse centrato, alle liste basterebbe loro anche il 2%, e comunque, il miglior risultato sotto questa soglia consentirebbe anche alla prima lista sotto il 2% (il miglior perdente) di ottenere la rappresentanza.  

La ripartizione dei seggi  
Alla coalizione di lista più votata, cioè quella che ottiene la maggioranza relativa, qualora non abbia già ottenuto 340 seggi, è attribuito il cosiddetto premio di maggioranza qualunque sia la percentuale di voti raccolta. Anche per il Senato è previsto un premio di maggioranza volto ad assicurare il 55% dei seggi regionali (non nazionali) alla coalizione (o lista) che abbia ottenuto voti. Il meccanismo però è diverso rispetto alla Camera perché opera su base regionale con conseguenza che può determinarsi una maggioranza diversa da quella formatasi alla Camera. Per i seggi a Palazzo Madama, infatti, le soglie di sbarramento sono pari al 20% per le coalizioni, 3% per le liste coalizzate, l’8% invece per quelle non coalizzate e per le liste che si sono presentate in coalizioni che non abbiano conseguito il 20%. 

Il rischio ingovernabilità  
Poniamo il caso che ci siano quattro forze con quattro leader destinate a contendersi la sfida elettorale: Bersani, Berlusconi, Grillo e Monti. E poniamo il caso che Bersani ottenga la maggioranza dei consensi alla Camera. Da questo successo non discende, però, che lo stesso Bersani abbia un vantaggio, anche minimo, al Senato in ogni regione. Almeno per due motivi: in primo luogo perché l’elettorato attivo per i due rami del Parlamento non coincide, e poi perché l’elettore può esprimere due voti diversi differenti tra Camera e Senato. Non solo, prevalere a livello nazionale - proprio a causa del funzionamento dei premi di maggioranza delle legge - non comporta il raggiungimento di un vantaggio in ogni circoscrizione elettorale. Inoltre, mentre il premio di maggioranza alla Camera è pari al 54% dei seggi, al Senato per maggioranza si intende quella assoluta di seggi che è 158. A questo si deve aggiungere la ripartizione estera e il numero di seggi assegnato per le regioni Trentino-Alto-Adige e Valle D’Aosta nonché i due seggi del Molise. In tutto fanno 16 seggi, che non sono per nulla influenti, se si tiene conto che sono un ventesimo del totale. 
La situazione ottimale, dunque, per una lista o una coalizione sarebbe quella di risultare vincente, non solo alla Camera (anche con la sola maggioranza relativa) ma in ogni singola regione. Ma ciò, stando agli ultimi sondaggi noti appare difficile. E così, ad esempio, se la coalizione più votata alla Camera vincesse in tutte le regioni ma non in Lombardia perderebbe 27 seggi di premio conquistandone solo 7 e fermandosi così a 151, tre meno della soglia di maggioranza prevista. E così, peggio, se perdesse anche in altre regioni. In maniera sintetica, la ipotetica lista vincente alla Camera potrebbe conservare anche la maggioranza in Senato soltanto se la differenza tra i seggi del premio di maggioranza e i seggi conquistati nella file dell’opposizione sia meno di 17. 

Le incognite  
Al Senato rimane il nodo di quanti seggi i partiti minori potranno «sottrarre» alle forze più accreditate per la vittoria. Da qui il forte invito elettorale lanciato da Pd e Pdl al «voto utile». Alla Camera il tema cruciale - come del resto anche a Senato - resta la novità Grillo e il consenso che ruoterà intorno a Mario Monti. 




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