Pagine

martedì 28 maggio 2013

IL "NULLOMANE " BATTISTA AVEVA RAGIONE. E GRILLO TORTO


Ho fatto le mie osservazioni sulla tornata elettorale che ha riguardato Roma e altre città italiane, meno popolose (su circa 7 milioni di elettori interessati, Roma rappresentava da sola un terzo).
Chi vuole può leggerle nei vari post che qui ricordo :
 http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/a-roma-uno-su-due-aventi-diritto-non.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/grillo-disastro-amministrative-ma-i.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/il-centrodestra-differenza-dei-grillini.html

Qui riporto l'analisi di un giornalista che bene conosce il suo mestiere e pure la Capitale, dove vive. Parlo di Pierluigi Battista, ultimamente oggetto di attacchi duri da parte dei grillini a causa di suoi articoli critici nei confronti dei deludenti primi passi del M5Stelle dopo il trionfale voto di febbraio.
Siccome poi i fatti contano...se ovunque le liste pentastellate hanno perso dal 50 al 70% dei voti (a Roma dal 27 a meno del 13, che in termini di voti è anche peggio, visto l'abnorme massa degli astenuti ) , si vede che il "nullomane", come è  stato carinamente apostrofato Battista, ha ragione, e il Guru ha torto.
Buona Lettura
 


"Dalle piazze deserte alle urne vuote"

Con la metà degli elettori romani che sono rimasti senza fiducia a casa, il sindaco uscente di Roma, Gianni Alemanno, con il suo 30 per cento è stato scelto da circa il 15 per cento (un cittadino su sei) degli aventi diritto al voto: il minimo storico da quando esiste l'elezione diretta dei sindaci. Potrà tentare la rimonta clamorosa al secondo turno, ma il segnale di scoramento dei romani nei confronti di chi è stato a capo del Campidoglio negli ultimi cinque anni è evidente e incancellabile. Alemanno, tra i candidati di Roma, è quello che stasera non potrà mai sorridere. E non potrà sorridere nemmeno Beppe Grillo. L'onda astensionista ha travolto anche lui. Il re dell'antipolitica non viene più riconosciuto come il portabandiera della protesta e dell'ostilità nei confronti delle nefandezze e degli sperperi della politica. Il non voto appare una protesta ancora più forte, la diserzione delle urne uno sberleffo di gran lunga più sferzante del voto a Grillo. Anche in Sicilia, in realtà, era accaduto qualcosa del genere. Ma il voto romano viene dopo il trionfo grillino nelle elezioni politiche. Il 12 e rotti per cento al candidato De Vito riflette ancora una sacca di consenso irriducibile, un po' come l'inscalfibile fedeltà che una minoranza di elettori francesi tributa a Le Pen, ma comunque tradisce un esaurimento, un senso di stanchezza della cavalcata del 5 Stelle, determinato un po' dal comportamento sin qui seguito dal movimento nelle turbolenze parlamentari, un po' dall'oramai patologica capacità italiana di bruciare in tempi rapidissimi ogni novità. Ride Alfio Marchini, il cui irriverente fake "Arfio" ha contribuito a dare una popolarità insperata a un outsider che, all'inizio della sua avventura di candidato, sembrava non poter aspirare che a percentuali ridottissime. E invece la sua efficacia mediatica, il disincanto verso gli apparati tradizionali dei partiti, e una certa immagine un po' stralunata veicolata da un nomignolo, "Arfio", che ne ha sottolineato il carattere romanescamente ruspante, hanno permesso a Marchini addirittura di contendere il terzo posto al molto più onnipresente Beppe Grillo. Ora Marchini sarà oggetto della corte molto insincera dei due candidati al ballottaggio, ma l'elettorato che gli ha dato fiducia in un mare di astensioni non è certamente un esercito così disciplinato e così politicamente e socialmente omogeneo da garantire l'ascolto granitico di eventuali endorsement marchiniani. Non ride certo Silvio Berlusconi. Stavolta è accaduto il contrario nella differenza tra i sondaggi della vigilia e i voti effettivamente conquistati: oggi i risultati sono molto inferiori rispetto alle previsioni. Non dicevano tutti che la tempesta che stava annichilendo l'avversario del Pd avrebbe clamorosamente favorito Berlusconi? E invece anche l'elettorato di centrodestra, già massicciamente in fuga nelle elezioni dello scorso febbraio (quasi il 16 per cento in meno rispetto al 2008), non sembra riconquistato dalla "responsabile" scelta governativa del suo leader. Berlusconi era davvero affranto e sconcertato quando, venerdì scorso, la piazza antistante il Colosseo accolse il candidato Alemanno e il leader incontrastato del Pdl con i vuoti desolanti di una manifestazione numericamente fallita. Ma ha pensato a un incidente di percorso, a un disguido tecnico-organizzativo. Sbagliando. Perché la crisi del radicamento del centrodestra a Roma sta diventando cronica. Con l'aggravante che ancora una volta il Pdl si dimostra incapace di affrontare una sfida elettorale impegnativa senza un'immediata identificazione con la figura del leader. Un'incapacità che il carosello elettorale dello scorso febbraio ha parzialmente occultato, anche grazie allo psicodramma che ha funestato il Pd bersaniano, ma che è destinata a ripresentarsi quando l'esigenza di un ricambio, la necessità di un centrodestra senza Berlusconi, diventeranno scadenze improrogabili. Sorride Ignazio Marino. Per diventare sindaco di Roma ha bisogno tra due settimane di conquistare un altro 10 per cento. E vale per lui lo stesso calcolo proposto per Alemanno quando un elettore su due ha deciso di non recarsi alle urne: il suo 40 per cento e passa diventa il 20 per cento e passa degli aventi diritti al voto. Eppure Marino può fregiarsi del titolo di (provvisorio) salvatore della patria di marca Pd. Un partito che sembrava allo sbando, con l'apparato romano sull'orlo della disintegrazione, spaccato da primarie al veleno, è comunque riuscito a rintuzzare l'impetuosa avanzata grillina e ad aggregarsi attorno a un candidato considerato non fortissimo e non proprio popolare. L'astensionismo ha colpito duramente anche il mondo dei Democratici, ma il partito con Marino ha evitato l'effetto squagliamento. Risultato che certo non dispiacerà al premier Enrico Letta. Il chiasso del dissenso, il fragore di «Occupy Pd», sembravano aver inchiodato il governo di coabitazione tra Pd e Pdl in una condizione difficile, come se un vento di rivolta potesse squassare il partito di cui Letta è stato fino a poco più di un mese fa. Ma la rivolta non ha sgretolato il Pd e soprattutto non ha premiato il movimento di Grillo, che anzi oggi appare ancora più in crisi del suo competitore Democratico. Letta non sorride, ma tira legittimamente dal voto romano un sospiro di sollievo. Berlusconi non può più cantare facilmente vittoria, il candidato Alemanno è il più colpito dalla delusione di una città sempre più esausta e scettica. Il Partito democratico può pretendere ancora di giocare un ruolo, malgrado l'uragano che lo sta spezzando e che certo non sarà placato dalla precaria leadership di Guglielmo Epifani. Nella lotteria romana sorride il candidato Pd e l'outsider "Arfio" a cui adesso imploreranno i voti. Ma il ballottaggio è una creatura bizzosa. Per due settimane i competitori dovranno cercare di domarla.

2 commenti:

  1. Continuo a domandare ai fan del dott. Ignazio Marino- che Roma conosce più o meno per turismo- per quale ragione secondo loro questo chirurgo che il mondo ci invidia ha questa fregola di diventare il sindaco della capitale. Mai ricevuto una risposta che sia una.

    RispondiElimina