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sabato 8 giugno 2013

LE DUE "AGUZZINE" DI VICENZA SI SCUSANO E CHIEDONO AIUTO. SINCERE ?

 
Quando c'è la certezza, e in questo caso di dubbi ce ne sono pochi, essendoci la registrazione degli abusi,  poi ci deve anche essere quella della pena. Giusta, perché, come scrisse Horkheimer,  "il Diritto è la vendetta che rinuncia" , ma certa.
E' quello che provo nel leggere la vicenda di Vicenza, con l'insegnante e l'assistente di sostegno (??) che maltrattano un povero ragazzo autistico.
Bello l'articolo del Corriere della Sera, postato on line, che bene rende la forte empatia del carabiniere per il ragazzo e la rabbia trattenuta a stento nei confronti dei "mostri" di turno.
Non mi piace mai quando un rappresentante della giustizia risponde "io non devo nessuna spiegazione" perché non è la verità , però comprendo che in certe occasioni, di fronte a gente del genere, uno è già tanto che non passi direttamente alle mani.
Sembra che le due donne abbiano scritto una lettera di scuse, chiedendo di essere aiutate - evidentemente aiuto psicologico -per capire come possa essere successo di arrivare a così tanto. 
In effetti ce lo chiediamo anche noi.
Ecco il post.




IL CASO DI VICENZA

E il carabiniere senza volto
abbracciò Michele: «Sei salvo»

La microcamera ha immortalato la scena dell’arresto. L’ordine alle maestre: «Il ragazzo viene via con me»

VICENZA— Nell’orrore senza fine immortalato dalla telecamera nascosta nell’aula in cui Michele trascorreva le mattinate con le due maestre di sostegno, c’è solo uno squarcio di luce, che dura tre minuti esatti. Sono gli ultimi tre minuti di registrazione, dopo quattro giorni in cui quel piccolo occhio elettronico ha spiato gli insulti e le botte inferte all’alunno. Sono gli istanti della liberazione, quando un uomo con abiti eleganti entra nella stanza e, davanti alle due donne sconvolte, dice di essere lì per portare via il ragazzo. In tutta la sequenza non si vede mai il suo viso. E forse anche per questo, quel carabiniere senza volto diventa il simbolo della riscossa, la speranza che - nonostante tutta quella violenza - si possa ancora credere che i deboli non debbano finire sempre e comunque per essere schiacciati dai cattivi. Le immagini lasciano senza parole. Una delle maestre ha appena finito di colpire Michele al volto con una forbice, quando da una stanza vicina si sente una voce maschile. «Buongiorno». All’inizio sembra quasi imbarazzato.
«Vieni con me, vieni con lo zio» dice rivolgendosi al ragazzo, che però resta immobile, nel timore di venire nuovamente rimproverato dalle maestre. Le educatrici lasciano la stanza. La voce maschile, gentile ma ferma, dice: «Signora, venga qua». Una delle donne prova a obiettare qualcosa, senza neppure ottenere risposta. Solo in quel momento l’uomo entra nel campo della telecamera. Indossa abiti scuri, giacca e cravatta. «Venga, si accomodi » dice a una delle maestre, indicandole la sedia accanto a Michele. Di colpo il suo tono di voce cambia, tradisce tutto il disprezzo per ciò che avevano fatto, per quelle violenze che la telecamera aveva trasmesso fino a pochi minuti prima. «Lui viene con i carabinieri - dice indicando il ragazzino - qualcosa non va?». La maestra prova a replicare, balbetta, ha paura. «Noi dobbiamo sapere... », azzarda. E allora, solo in quel momento, l’uomo senza volto rivela la sua identità: «Sono un carabiniere della procura della Repubblica», dice estraendo il tesserino da una tasca. Il tono di voce si alza ancora, una delle insegnanti tenta di obiettare e a quel punto il militare quasi si mette a urlare. «Non devo dare nessuna spiegazione!». Indica nuovamente la sedia, e ordina: «Lei si siede qua!». Poi, con tono più affettuoso, fa alzare Michele e lo accompagna fuori, dove lo attende lo zio. Si sente il ragazzo ridere, mentre le ultime immagini mostrano le maestre sconvolte, sedute nella stanza sotto lo sguardo di un secondo carabiniere, questa volta in divisa. «Gli investigatori sono stati straordinari - racconta il papà di Michele - quando sono usciti dalla stanza mio figlio e il carabiniere si sono incrociati di nuovo. E si sono abbracciati. "Ora sei al sicuro", gli ha detto».

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