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martedì 20 agosto 2013

OBAMA, IL FALLITO CON SEMPRE MENO SUCCESSO


Agli italiani della politica estera interessa nulla. Cosa risaputa e ora toccata con mano guardando gli esiti statistici del blog. Hanno un bel da fare editorialisti ed esperti a spiegare che quando accade in Medio Oriente, per esempio, interessa anche noi europei e italiani i particolare, che a quel mondo siamo più vicini. E certo non ci scuotiamo per i 100.000 morti in Siria, i milioni di profughi e per la possibilità che una cosa del genere accada in Egitto...e che siamo Arabi noi ?
Al di là del cinismo, è una visione piuttosto miope, visto che avendo rinunciato al nucleare restiamo il paese industrializzato più dipendente dalle fonti energetiche tradizionali, petrolio in primis, ed essendo le nostre coste le più prossime e le meno sorvegliate, per una precisa volontà politica (nella civile Spagna sparano...tanto per dire...), siamo anche i più invasi da profughi disperati che scappano dalle guerre e dalla miseria. 
Comunque questo è. Al contrario, fin da ragazzo ero più affascinato dalle questioni del mondo che da quelle italiane, avendo intuito fin da giovanissimo come nel nostro Paese si faccia tanto ammuina, ma le resistenze ai cambiamenti e alle rifrome sono fortissimi e trasversali, per cui è piuttosto inutile appassionarsi troppo al "quotidiano". 
Controcorrente , dichiarandomi liberale da ragazzo negli anni 70 quando imperavano ben altre ideologie, aggiungevo alla mia già marchiata diversità l'essere filo americano. Figuratevi...erano gli anni del Vietnam... Ho letto molto della storia di quel paese, e mi sono spesso appassionato alle campagne presidenziali. Quando è morto Kennedy avevo solo 3 anni , ma questo non mi ha impedito di subire, diventato giovane, il fascino del pur controverso presidente della "Nuova Frontiera". Quando fu eletto Carter ero perplesso, e i fatti mi diedero ragione : nonostante oggi alcuni cerchino di riconsiderare quella che per quasi tutti resta la peggiore presidenza americana del dopoguerra, Carter fu assolutamente un mediocre.
Obama rischia di esserne il miglior epigono.
Non rimasi incantato dal fascinoso uomo nero, giovanile e sorridente, che sedusse invece tanta parte del mondo nel 2008, quando fu eletto la prima volta, figuriamoci oggi, che la rielezione va attribuita alla pochezza dello sfidante e alle divisioni dei repubblicani. Peraltro trovo suggestiva la spiegazione che Angelo PAnebianco dà nel suo editoriale odierno della presa suscitata su tanta parte del mondo di Barack Obama, agli esordi. 
Era il suo understatement, la volontà di forte ridimensionamento degli USA come paese guida dell'occidente e della democrazia che è piaciuto tanto alle folle, consiamente e inconsciamente antiamericane.
E in effetti, da questo punto di vista, Obama le promesse le ha mantenute : una politica estera così inefficace e oggi incerta su tutto era da tempo che non la si vedeva. e l'immagine di superpotenza è del tutto ingrigita.
Però mi sembra che si possa dire che un mondo con "meno" America non si stia rivelando migliore. 
Peraltro, confesso che, se fossi un cittadino americano, penserei che in fondo il mio paese è abbastanza ricco e potente per fare da sé, e quindi perché non fregarsene del marasma degli altri continenti ?
Sbaglierei, perché non è mai stato così semplice, figuriamoci oggi che il mondo è diventato ancora più piccolo causa globalizzazione.
Però di fronte a paesi dove, appena li molli, o cadono i dittatori spietati, la regola è il caos, un certo sconforto e relativa tentazione di lasciarli al proprio destino, viene.
Buona Lettura 

"UN'ASSENZA INGOMBRANTE"  
 
IL disastro egiziano è tale che persino gli osservatori europei più simpatetici nei confronti di Barack Obama, oggi prendono atto della inconsistenza della sua politica estera. C'è un rapporto fra i fallimenti internazionali di Obama e la popolarità di cui ha goduto a lungo in Europa. Era infatti piaciuto a tanti europei, soprattutto, perché lo immaginavano come il possibile liquidatore dell'«impero americano». Gli storici del futuro, plausibilmente, si divideranno all'infinito nella valutazione dei meriti e dei demeriti della politica estera del presidente dell'11 Settembre, di George Bush Jr. Ma difficilmente negheranno che l'azione internazionale di Obama sia stata un fallimento. Ha eliminato Bin Laden? Ha fatto un uso massiccio dei droni per colpire terroristi islamici? Sì, ma senza la guida di una visione politica, quale che essa sia, l'uso degli strumenti militari non porta lontano. La guerra, diceva Clausewitz, ha una grammatica ma non una logica. La logica della guerra è politica. Ed è la politica che è mancata nell'azione militare e in quella diplomatica dell'Amministrazione. Tutto ciò era già scritto negli atti e nelle parole di Obama fin dalla sua prima campagna presidenziale. Se si vuole dare un quarto di nobiltà alla sua visione politica bisogna ricondurla al jeffersonismo (da uno dei Padri fondatori dell'America, Thomas Jefferson). È una corrente per la quale l'America, terra benedetta da Dio, deve coltivare le proprie virtù in patria, impegnandosi il meno possibile all'esterno e influenzando gli altri soprattutto con la forza dell'esempio, delle proprie libertà e virtù repubblicane. A differenza dei wilsoniani, sia democratici che repubblicani (da Wilson a Roosevelt, da Kennedy a Reagan, a Bush Jr.), i jeffersoniani non credono che affare dell'America sia rendere il mondo safe for democracy, sicuro per la democrazia. Sono indifferenti alla natura dei regimi politici con cui trattano. È sufficiente che i governanti di tali regimi siano disposti a cooperare con l'America. Il tanto lodato discorso del Cairo (2009), quello con cui il neopresidente definiva, in chiave anti-Bush, i futuri rapporti con il mondo islamico, è stato il vero manifesto politico della sua Amministrazione. In quel discorso si trovano non solo le radici dei recenti errori americani in Medio Oriente, ma anche le ragioni di un più generale fallimento. Se ci si dichiara pronti a cooperare con chiunque quale che siano le sue scelte e ideologie, fatto salvo un generico appello al rispetto dei diritti umani, ci si trova poi disarmati quando quelle scelte e ideologie producono esiti sgraditi o nefasti. In nome della indifferenza ai regimi politici altrui, Obama ha per lungo tempo snobbato le democrazie europee, ha creduto possibile instaurare salde relazioni di cooperazione con la Cina e con la Russia, ha raffreddato i rapporti con Israele, ha posto termine affrettatamente alla presenza americana in Iraq, ha annunciato, altrettanto affrettatamente, il ritiro dall'Afghanistan, ha abbandonato a se stessi i giovani in rivolta nell'Iran del 2009. E ha infine cavalcato, senza uno straccio di disegno politico, ma ponendosi al rimorchio dell'opinione pubblica, le cosiddette rivoluzioni arabe. Basta da solo lo stato attuale dei rapporti con la Russia di Putin per dimostrare quanto velleitaria e inconsistente sia stata la sua politica estera. Obama, è vero, si è trovato sulle spalle la più grave crisi economica dopo il '29. E ha dovuto fare i conti con un indebolimento senza precedenti dell'America. Ma la sua politica internazionale ha aggravato quell'indebolimento, non lo ha contenuto o ritardato. Un'assenza di visione politico-strategica spiega, ad esempio, il via libera che Obama diede alla disastrosa guerra di Libia voluta dal presidente Sarkozy per compensare la «perdita» francese della Tunisia. Una guerra che non ha portato ai libici la «libertà dal tiranno» ma ha creato l'ennesimo Stato fallito, in preda a bande armate, facendo anche saltare l'unica diga che bloccava la diffusione dell'estremismo islamico a sud del Sahara. Sulle indecisioni americane nella guerra civile siriana non c'è da spendere parole. Sono servite a segnalare alle potenze regionali alleate (Turchia, Arabia Saudita, Israele) che l'America è inaffidabile e ondivaga e che ciascuno deve fare per sé. In Egitto, poi, l'incapacità diplomatica americana ha raggiunto i massimi livelli. Morsi era un presidente democraticamente eletto ma, data la natura illiberale del suo movimento, egli doveva essere tallonato, blandito con le carote e minacciato col bastone. Per la situazione del Sinai e per i rischi che correvano le libertà degli egiziani. L'America avrebbe dovuto esercitare forti pressioni per spingere Morsi, come chiedeva l'esercito prima del golpe, ad aprire le porte del governo alle altre componenti della società. Ha invece scelto di appoggiarlo e basta. Col risultato di essere oggi invisa a tutti gli egiziani, laici e fondamentalisti. Un'efficace politica estera è una equilibrata miscela di principi e convenienze. Obama ha snobbato i principi e ha perso anche sul piano delle convenienze. Piaceva tanto agli europei, dopo gli anni del terribile Bush, il liquidatore dell'impero americano. Ma era solo una prova dell'insipienza politica europea. Puoi anche volere sbarazzarti degli ingombranti americani. Ma a patto che l'alternativa di cui disponi non sia il nulla.

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