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mercoledì 4 settembre 2013

DOPO IL CONCORSO ESTERNO, ORA C'E' "L'IDEATORE DI REATO". LA FANTASIA AL POTERE NEI PALAZZI DI GIUSTIZIA

 
Non ho letto le 200 pagine della sentenza Mediaset della Cassazione ( 180 in realtà un copia incolla delle precedenti), tranne qualche stralcio nel quale era impressionante l'uso di una prosa orripilante. 
Per anni sono rimasto perplesso, anzi scettico, nel sentire la difesa del tecnicismo del linguaggio giuridico, con il ricorso a brocardi, latinismi e forme retoriche obsolete. Ho sempre pensato che dietro la pretesa di un lessico oscuro, per iniziati, si celasse la vanità di appartenenza ad un ordine "eletto" (??) nonché il riempire idee vuote con il vaniloquio. Un'idea minoritaria che però inizia a trovare profeti illustri. In un corso di aggiornamento organizzato da ALTALEX, il Giudice Rosario Rossetti, prestato da tempo al Ministero ma famoso per cultura e pignoleria giuridica, mi ha stupito proprio stigmatizzando la poco chiarezza con cui vengono stilati gli atti giuridici, sia dagli avvocati che dai magistrati. 
Poi si è aggiunto Gianrico Carofiglio, che tiene addirittura dei corsi di scrittura, molto frequentati da professionisti in genere, e avvocati in particolare ma NON dai giudici, evidentemente convinti, loro, di saper scrivere. Ecco, a scorrere i passi della sentenza Mediaset, è una presunzione infondata.
Nel merito, non mi addentro, se non per osservare che comprendo il malumore di Franco Coppi. Nelle motivazioni della sentenza è come se la difesa fosse stata assente, non essendo stato dato spazio alle pur numerose eccezioni svolte in diritto dall'illustre professore e avvocato. "Ho parlato per due ore, ma di quanto ho detto in sentenza non c'è alcuna traccia"
Ora, sarebbe bello, e i giudici migliori lo fanno, che se c'è una tesi A (accusa) e una tesi D (Difesa), entrambe articolate, chi giudica non si limitasse a sposare A, ricopiando a pappagallo le motivazioni addotte a sostegno di questa soluzione, ma spiegasse anche perché non ritiene valide le ragioni illustrate da D. 
Che se no poi ci troviamo un Ferrarella sul Corsera tutto contento di spiegarci il perché della condanna, senza poter dire (lo farebbe ? chissà ) i perché del rigetto della difesa. 
Oggi leggo l'intervento di Ostellino che rafforza tutte le mie già ampie perplessità. Tra le accuse rivolte non ai giudici di Berlusconi, ma in genere alla magistratura tutta, c'è questa giurisprudenza "creativa", che arriva anche a inventare figure normative non esistenti nel codice e nelle altri fonti legislative. Famosissima, tra queste, il concorso esterno in banda mafiosa. Ecco, ora c'è l'"Ideatore di reato". 
La cosa che più colpisce è che i materiali esecutori dello stesso non siano stati perseguiti. Se così fosse (ripeto, sono rimasto lontano dalla lettura diretta e integrale delle varie carte) , sarebbe più che sospetto. Ammesso che l' "ideatore" sia equiparabile al mandante (ma allora perché non usare questo termine ? ) , non si è mai visto che non siano puniti anche gli esecutori. 
Facendo eco a Facci, che aveva fatto questa denuncia proprio ieri - chi vuole, lo trova qui : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/09/facci-e-il-memento-di-una-forca-che-e.html )  in un lungo articolo su quanto NON fatto da Berlusconi in campo giudiziario, anche Ostellino rimprovera al Cavaliere di aver troppo personalizzato la sua battaglia con la magistratura e non aver usato invece i potenti mezzi di cui ha goduto per 20 anni per affrontare il problema a tutto campo. 
Ecco comunque l'intervento del bravo opionionista

"Quella sentenza e i doveri d'uno Stato"

 
Dalle motivazioni della sentenza della Cassazione — che conferma la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni e all'interdizione dai pubblici uffici — si apprende l'esistenza di una nuova fattispecie giuridica di delinquente della quale, finora, la giurisprudenza non aveva notizia: «l'ideatore di reato». Berlusconi avrebbe inventato, dice la sentenza, un meccanismo tecnico-amministrativo tale da consentire a Mediaset di frodare il fisco. Che poi i suoi sodali, pur avendo commesso il reato da titolari di cariche societarie, non ne siano stati incriminati, mentre lo sia stato Berlusconi, pur non avendone più alcuna, sarebbe così spiegabile alla luce della sentenza. Essi non avrebbero commesso reato, in quanto si sarebbero (solo) avvalsi del meccanismo fraudolento ideato da Berlusconi; che, come suo scopritore — diciamo pure come «ideatore di reato» —, ne sarebbe invece permanentemente responsabile. Come dire: d'ora in poi, chiunque scriva un libro giallo nel quale descriva in dettaglio il modo migliore di rapinare la Banca d'Italia, sappia che è passibile di condanna anche se, e quando, altri lo facciano davvero. Ma in uno Stato di diritto la responsabilità penale non è sempre personale? E per il capo d'una grande azienda, escogitare un modo d'evadere il fisco non è, nella peggiore delle ipotesi, la manifestazione d'una brutta intenzione o, nella migliore, di cattiva coscienza? Le intenzioni, ancorché brutte, sono ancora un peccato inconfessabile, ovvero già un reato perseguibile? Il fatto stesso che una sentenza come questa sia passata nel silenzio generale a me pare dia la misura dell'abisso giuridico e morale in cui è caduto il Paese; un segno del livello d'arbitrarietà del quale fa sfoggio certa magistratura e della passiva accettazione, da parte dell'opinione pubblica, di qualsivoglia decisione essa prenda sull'onda di una sempre ben orchestrata campagna mediatica. In punta di diritto e di logica, se Berlusconi da presidente di Mediaset aveva frodato il fisco andava, evidentemente, condannato; se ci aveva pensato, e ne aveva ideato il modo senza metterlo personalmente in pratica, andava assolto. Mi chiedo allora perché sia stato condannato.
Non voglio difenderlo e neppure sostenere che, come uomo d'affari, non abbia mai commesso qualche peccato, piccolo o grande che fosse. Mi limito a formulare un'ipotesi che può riguardare ciascuno di noi. La sentenza della Cassazione pare dimostrare che, se certa magistratura vuole accusare qualcuno di aver commesso un reato e non ne ha le prove, ne «crea» uno che da quel momento diventa un nuovo reato. Quella d'«ideatore di reato» era la più grottesca motivazione che si potesse elaborare per una sentenza, quali che fossero le reali responsabilità del Cavaliere. Così, la magistratura ha dato adito al sospetto che le vere ragioni della condanna siano state in realtà politiche: un modo di liberarsi del capo di un movimento che si oppone all'egemonia della sinistra. Non si tratta qui d'essere pro Berlusconi, affermandolo, ma di riflettere sulla salute dello Stato di diritto e sulla sicurezza di ciascun cittadino in una democrazia liberale. Sbaglia, perciò, lo stesso Berlusconi quando dice che sarebbe «una ferita alla democrazia» la sua espulsione dal Senato. Quale democrazia, caro presidente? Quella che per liberarsi di lei, attraverso la magistratura, l'accusa d'essere «ideatore di reato»? Andiamo... La democrazia da noi è morta da un pezzo e la responsabilità è anche sua, che ha trasformato il problema della giustizia, che riguarda tutti, in un suo caso personale. Capisco — dopo anni d'inchieste e d'accuse più o meno verosimili — le sue ragioni. Le avrebbe chiunque. Ma lei è un uomo politico, referente di milioni d'italiani che non voterebbero mai la sinistra e ha il dovere di pensare politicamente, cioè in termini generali. Denunci l'accusa d'«ideatore di reato», con la quale l'hanno condannata, e faccia sollevare in Parlamento il problema della certezza del diritto nei confronti di tutti, soprattutto di chi non dispone delle sue risorse finanziarie per difendersi. La smetta di comportarsi come un accusato permanente e accusi, a sua volta, un modo d'amministrare la giustizia che è non solo ingiusto e pericoloso, ma pregiudizievole per la sopravvivenza della stessa democrazia.

2 commenti:

  1. Prima di Berlusconi, per medesimo reato era stato condannato almeno Confalonieri, se non altri con lui, quindi è falso che sia stato condannato un mandante e non gli esecutori... Dotte considerazioni ma scarsa informazione,

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    1. l'ANONIMO LETTORE avrà sicuramente rilevato che, personalmente, ho usato sempre il condizionale in ordine alle affermazioni contenute nell'articolo di Ostellino, premettendo che non conosco la vicenda nei particolari ( e francamente dubito che ci sia qualcuno, che lo sia, se non, FORSE, tra i legali e i giudici che se ne sono occupati).
      So per certo che per i reati non vale la scusante valida (e nemmeno sempre) per i soldati : "obbedivo agli ordini". Tutti coloro che hanno scienza di commettere, anche solo con una partecipazione marginale, un illecito penalmente rilevante, poi ne rispondono (ovviamente a vario titolo e con pene differenti). E sicuramente tra i dirigenti di Mediaset ci sono persone che hanno avuto questo ruolo e non sono state inquisite, sentite invece solo come testimoni. Pesci piccoli...evidentemente.

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