Il sito di informazione GLI ALTRI mi fu segnalato da un caro e brillante amico di FB, da un po' giornalista, Nicola Mente. Ogni tanto lo leggo, e trovo cose che mi piacciono ancorché io sia un liberale e il giornale dichiaratamente di sinistra. In particolare, sul tema della Giustizia, le posizioni di una sinistra non strumentale alla guerra contro Berlusconi e quindi non piegata alle esigenze tattiche dell'alleato in toga contro il comune nemico, sono assai vicine alle mie, come del resto a quelle dei radicali e di tutti i garantisti.
L'avversario è il manettarismo, che qualcuno cerca di chiamare "legalitarismo"..., con esiti mediocri.
L'articolo che posto è scritto da un autore del giornale che si firma "Incarcerato"; non so se lo sia veramente o abbia scelto questo pseudonimo per solidarietà a chi sta in carcere.
Non condivido tutto quello che viene scritto, mi lascia perplesso il richiamo al sandinismo, anche se comprendo che, nell'articolo in questione, quello che interessa è l'esempio alternativo al carcere, che, per i tanti detenuti per reati minori e per coloro che sono in attesa di giudizio, sarebbe già un enorme passo avanti.
Ovviamente, non sono uno che può apprezzare il richiamo del vecchio cavallo di battaglia del marxismo, la lotta di classe. Ma condivido appieno la descrizione dell'attuale magistratura, del potere enorme che ha raggiunto e dell'atteggiamento servile e supino di troppi nei confronti di un pugno di uomini (alla fine sono solo 6000 persone, compresi i PM che giudici non sono ma magistrati sì, purtroppo, e gli imboscati al Ministero e al CSM) con un potere incredibile, a vita (come i sovrani di un tempo), per il solo fatto di aver vinto un concorso. Per carità, i giudici, come gli avvocati, sono un male necessario in una società, però da noi hanno assunto un ruolo decisamente strabordante, ignoto nelle altre democrazie.
E fa piacere che sia un uomo fortemente di sinistra a ricordarlo ai suoi.
Cara sinistra, sei diventata manettara
Ma così tradisci i tuoi ideali
C’è
una storia che il popolo vasto, ma confuso, della sinistra dovrebbe
sapere. Alcuni hanno anche fatto finta di dimenticarla per adeguarsi
aitempidellademagogia penale che è entrata a far parte, in maniera del
tutto innaturale, nel dna della sinistra. Negli anni 70 il Sud America
ha conosciuto golpe militari, dittature di estrema destra e anche
rivoluzioni fallite e finite in un bagno di sangue. Ma in tutta quella
confusione e disperazione in Nicaragua nacque un movimento particolare,
ovvero il “Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale” in opposizione al
regime dittatoriale di Anastasio SomozaDebayle. Il 19 luglio del 1979
il movimento sandinista riuscì ad abbattere la dittatura e instaurò un
governo provvisorio attuando delle numerose riforme, in alcune delle
qualimise in discussione la “necessità del carcere”. La prima misura che
intraprese fu l’abolizione della pena di morte, seguita dall’abolizione
dell’ergastolo e pian piano cominciarono a trasformare le carceri in
fattorie aperte e gestite come cooperative dove i detenuti si dividevano
il ricavato dei lavori. Mai si era visto un governo così vicino agli
ideali libertari, e di fatto fu l’unica rivoluzione che poi, dopo aver
conseguito le riforme necessarie, non rimase al potere abusivamente e
indisse le libere elezioni. Ma si sa, i meccanismi della storia sono
sempre gli stessi e ad opporsi a questi ideali libertari furono le
destre e, udite udite, l’allora minuscolo Partito comunista
nicaraguense: si allearono politicamente in una formazione chiamata
Union nacional opositora (Uno) e vinsero le elezioni distruggendo un
sogno possibile.È una storia importante che ho voluto ricordare per poi fare il paragone con la sinistra italiana di questo nostro assurdo Paese. Abbiamo assimilato nel tempo valori che prima appartenevano alle destre, e la sinistra è diventata fautrice dell’ordine e della legge: al posto della giustizia sociale ha introdotto la giustizia penale. Di fatto utilizza lo stesso linguaggio di un Almirante e non a caso oggi ha come punti di riferimento uomini di destra e reazionari come il giornalista Travaglio. Tutto ruota attorno al rispetto della legge, come se sia un valore assoluto dimenticando che un’azione fatta oggi è reato, un domani magari non lo sarà più. Il legalitarismo che va tanto in voga in realtà era prerogativa non solo della destra di Almirante, ma anche delle sinistre istituzionali come il Pc che non a caso fu uno dei partiti che negli anni 70 votò la vergognosa Legge Reale per contrastare le lotte extraparlamentari: legge che provocò 254 morti e 371 i feriti. Senza contare il ricorso alla carcerazione per opera della repressione giudiziaria: furono imprigionati migliaia di ragazzi per motivi politici, ci fu un numero di arrestiaddirittura superiore al Ventennio fascista.
Oggi abbiamo perso la memoria e siamo considerati terroristi, ribelli, illegali, amici dei mafiosi se solo ci permettiamo di criticare la magistratura. Dire che la magistratura necessita di una riforma tale da impedirle di abusare del proprio potere, è una presa di posizione molto malvista e considerata estremista sia dalla classe politica sia dal popolo benpensante che ha fatto del giustizialismo e del legalitarismo il proprio cavallo di battaglia. Parlare dell’abuso della carcerazione preventiva (il 42 per cento della popolazione carceraria e in attesa di giudizio, ed è quella dove ci sono più morti), portare avanti l’idea della responsabilità civile e personale dei magistrati (come è per tutte le altre categorie) o anche invocare a voce alta la sua imparzialità come prevede la Costituzione evitando ogni forma di coinvolgimento con la politica e con i colori ideologici, nella società d’oggi, è diventato quasi reazionario, è diventato un atteggiamento da reprimere. Non possiamo avere un atteggiamento critico nei confronti del terzo potere dello Stato senza essere additati come eversivi: la magistratura è il cosiddetto potere “buono” al di sopra di tutto e di tutti, un potere incriticabile, imprescindibile, intoccabile.
Per quanto riguarda le carceri è chiaro che il discorso sia molto più complesso e sicuramente un nuovo modo di concepirle avverrà in maniera lenta e graduale. Ma prima di tutto c’è bisogno di una grande riflessione da parte dell’odierna sinistra: una sinistra che assorba e accolga le istanze del popolo in una dialettica di rappresentanza istituzionale sana, trasparente, pulita e nello stesso tempo attenta a non assecondare gli umori e gli istinti della gente per qualche voto in più (a quello già ci pensano i grillini, i leghisti e le altre destre); una sinistra che abbia il coraggio (e ce ne vuole al tempo di internet dove le persone mostrano il peggio di sé e l’informazione è scadente ) di rompere con la “cultura-liquida” dove non conta più la qualità che “innalza” la società, ma la “quantità” che la sprofonda sempre di più.
Una volta fatto questo sforzo di rottura, dovrebbe cominciare ad intavolare un ampio dibattito sulla questione carceraria, sull’inutilità delle carceri per come sono state concepite: la recidiva ordinaria dei detenuti è al 70%, ovvero sette su dieci continuano a delinquere, questo già dimostra chiaramente il fallimento del Sistema Carcerario. A meno che si decidesse di seguire l’irrazionalità delle persone: “Metteteli dentro e buttate le chiavi”, ma al di là della aberrante proposta, anche quello sarebbe del tutto inutile. Per assurdo, la recidiva scende vertiginosamente quando come “punizione” c’è meno carcerazione possibile; l’indulto ha avuto come effetto il 30 per cento delle persone che è tornata a delinquere: meno della metà rispetto a quella ordinaria. Per quelli che usufruiscono delle pene alternative, la recidiva diminuisce ancora di più. Come viene tradotto tutto ciò? Semplicemente più sicurezza tra la gente.
Sì, cara sinistra, meno carcerazione c’è e più la possibilità di recuperare le persone è possibile. Capisco che sia difficile farlo comprendere soprattutto quando i mezzi di informazione creano allarmismo del tutto ingiustificato. I dati però ci aiutano. Secondo le statistiche recenti l’Italia è al 47esimo posto nel mondo per omicidi. Un terzo degli Usa. Il tasso di criminalità e di omicidi è più basso che in Finlandia, Francia, Islanda, Australia, Canada e Regno Unito. Nel 1991 abbiamo avuto l’ultimo picco per tasso di omicidi. Oltre un terzo era attribuito alla criminalità organizzata: dal 2006, invece, solo un sesto. Cosa vuol dire tutto questo? La differenza con gli altri paesi è nella percezione: mentre in Germania solo il 2% dei telegiornali/giornali è dedicato alla criminalità (in Francia e Spagna il 4%), in Italia sale all’11%. Inoltre, nei media italiani, è molto diffusa la pratica di indicare la nazionalità del “criminale”, rinforzando in tal modo, nell’opinione pubblica, i pregiudizi verso immigrati. Non si delinque perché, come è nel pensiero comune, è venuta meno la certezza della pena (fatto peraltro non vero), ma lo si fa perché viviamo in un periodo dove le diseguaglianze sociali sono cresciute a dismisura. È da pazzi, specialmente a sinistra, pensare che sono le “manette” la soluzione, ovvero che sia la “giustizia (spesso ingiustizia) penale” a risolvere il conflitto. La giustizia è classista: ogni volta che evochiamo leggi e carceri dure, a rimetterci, sono e saranno sempre le classi più deboli.
Dobbiamo assolutamente mettere in discussione la “necessità carceraria” come fecero i sandinisti, trovare altre forme di rieducazione e avere la forza e volontà di non speculare più sulla paura, ma sul coraggio. Qualcuno mi potrebbe giustamente obiettare che la delinquenza però, attraverso la crisi capitalista, è destinata ad aumentare e sarà difficile che una persona comunque riuscirà a farcela da solo anche se non volesse più delinquere. Signori miei, sono due le cose. O vogliamo aprire dei grossi campi di concentramento dove rinchiudere dentro tutta la “discarica sociale” e fare come i tedeschi che facevano finta di nulla quando vedevano uscire il fumo “umano” dalle ciminiere; oppure risolvere il problema ricominciando ad inseguire gli ideali di sinistra libertariache abbiamo perso strada facendo, magari partendo da quel consiglio del vecchio signore con la barba di nome Marx: la lotta di classe.
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