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giovedì 14 novembre 2013

AFFITANO L'UTERO DI UN'UCRAINA, SCOPERTI, IL TRIBUNALE GLI TOGLIE IL FIGLIO

 
A suo tempo, quando ci furono i referendum sulla fecondazione assistita, eterologa e altre questioni di questo tipo non andai a votare perchè non sono temi che mi interessano (perdonate ma non si può farlo di tutto) e quindi, pur leggendo qua e là, non mi formai un'opinione mia da giustificare una presa di posizione su un tema così controverso e combattuto. Certo, c'è il problema che da noi il non voto finisce per favorire il fronte del no, che può  sommare alla propria posizione quella degli indifferenti e/o indecisi, ma anche fare il contrario (andando a votare scheda bianca, in modo da non esprimermi ma favorire il raggiungimento del quorum) significherebbe falsare l'esito per la ragione contraria.
Certo, essendo un grosso assertore della libertà individuale, personalmente sarei più propenso verso norme che consentano di decidere per sé, però in materia di genetica ci sono di mezzo anche i neonati e non solo i loro genitori. Ma ripeto, non è un tema che mi appassiona.
Rimango peraltro sorpreso e anche perplesso quando leggo che un bambino, nato dall'illecita pratica dell'affitto di un utero, è stato sottratto ai genitori dopo un anno e mezzo. Tra l'altro, dall'articolo, che posto, vengono citati esempi in cui, in casi analoghi, i giudici si sono comportati in altro modo, chi condannando la coppia per la violazione della legge ma senza sottrargli il bambino, chi addirittura assolvendo !
Ora, detta così, saremmo nell'assurdo ma fino ad un certo punto, che la certezza del diritto è la prima fola sfatata appena iniziai a battere ( il termine è scelto con cura) i marciapiedi del Tribunale. Però è anche nota l'imprecisione dell'informazione e magari le altre vicende, pure simili, avevano particolari diversi decisivi.
In questo caso per esempio forse l'elemento dirimente è stato che dall'esame del DNA nemmeno il padre, in teoria titolare del seme iniettato nell'utero della donna "terza", sia il padre del bambino. 
In questo caso forse non ci troveremmo più nell'ipotesi di utero in affitto, ma di un acquisto vero e proprio del figlio di tutt'altri genitori. La coppia si difende parlando di "truffa" ai loro danni, sostenendo dunque che sì, è vero che hanno affittato l'utero di un'altra donna, ma nella convinzione che il seme usato fosse quello dell'aspirante papà.
In ogni caso, anche nel caso peggiore,  preferirei una norma che sanzionasse la condotta illecita, ma francamente non prevederei, da legislatore, la sottrazione del bambino, punito così anche lui. 
Sul tema, i commenti si sono scatenati, con una spaccatura verticale.
A dimostrazione di come il tema sia delicato e sensibile, per molti.
La notizia di cronaca, dal Corriere.it

Da Crema all’Ucraina pagando 30 mila euro. Nel 2011 l’hanno fatto 4 mila italiani

Nato grazie a un utero in affitto
Bimbo portato via ai genitori

La coppia è già sotto processo e non può incontrare il piccolo. «Siamo noi le persone truffate»

 
CREMA - Far nascere un bimbo attraverso la pratica dell’«utero in affitto» è proibito dalla legge italiana. Ma a una coppia che era volata in Ucraina per avere un figlio pagando 30mila euro è andata anche peggio del previsto: non soltanto si è trovata a processo davanti al tribunale di Cremona, ma a differenza di quanto capitato ad altri italiani ritrovatesi nel medesimo guaio in questo caso i giudici hanno pure tolto alla coppia il bimbo (che nel frattempo aveva già trascorso un anno e mezzo con loro), affidandolo a una struttura protetta. Caso controverso, quello di cui si dovrà occupare il giudice penale cremonese Pierpaolo Beluzzi, materia di fronte alla quale i tribunali in Italia non si muovono in maniera univoca. A Brescia, una coppia protagonista di una vicenda analoga è sotto processo, ma perlomeno non si è vista privata dei figli (due gemelli), mentre il tribunale di Trieste ha assolto con formula piena marito e moglie diventati papà e mamma grazie all’utero in affitto.

La coppia in questione abita nei dintorni di Crema e si ritroverà a processo il 14 gennaio prossimo. I due avevano compiuto uno dei cosiddetti «viaggi della speranza» per chi non riesce ad avere figli: si erano rivolti al Biotexcom center di Kiev versando 60 mila euro. In Ucraina il seme dell’uomo era stato usato per fecondare l’ovulo di una donna donatrice, che poi per nove mesi aveva portato in grembo la nuova creatura. Quest’ultima, un maschietto, alla nascita era stato registrato come figlio dei due cremaschi prima in Ucraina e poi in Italia; ma da noi ogni forma di fecondazione eterologa è proibita dalla legge, così l’addetto all’anagrafe del comune di residenza aveva notato che la «presunta» mamma non era mai stata incinta: da qui è partita la segnalazione alla procura di Cremona. Il test del dna ha fatto il resto e anche di più: non soltanto ha rivelato che la donna non era la madre naturale del bimbo, ma anche la paternità sarebbe dubbia.

«Se così fosse, i nostri assistiti sarebbero stati truffati dalla clinica ucraina e sarebbero due volte vittime» sottolinea l’avvocato Giovanni Passoni, uno dei difensori degli imputati. In seguito all’accertamento genetico, il tribunale civile ha anche separato bimbo e genitori. «I due imputati non possono incontrare il piccolo e non sanno nemmeno dov’è: è stato portato via in maniera traumatica, quando già il bimbo si era abituato a riconoscerli come papà e mamma» riferisce l’avvocato Cecilia Rizzica, altro legale della coppia.

Nel 2011 sono state ben 4 mila le coppie italiane che sono andate all’estero per sottoporsi a pratiche di fecondazione eterologa o di maternità surrogata, spesso incorrendo, come detto, in denunce e trafile giudiziarie, come afferma un’indagine pubblicata da Laura Berardi sul sito Quotidianosanità. Che per questa pratica ormai diffusa arriva a far ricorso al termine di «turismo procreativo».

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