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giovedì 20 febbraio 2014

AINIS E IL DECALOGO DELLE REGOLE INVERTITE


Michele Ainis è un osservatore lucido, non ideologico e dotato di una competenza importante (è professore universitario di diritto pubblico, quindi esperto anche della problematica costituzionale). Da quello che ho capito non è un fan di Renzi ma certamente nemmeno un critico pregiudiziale. Non gli è piaciuto, come a tanti ( i 2/3 degli italiani caro Matteo, i sondaggi leggili tutti, non solo quelli che ti spingono ad essere così "avaro" e conservatore in materia di giustizia ) il modo con cui è arrivato a Palazzo Chigi, facendo letteralmente fuori un compagno di partito che nemmeno era nella lista dei rottamandi, se non altro per età.  Ma a parte questo, anche lui, come credo la maggior parte degli italiani anche se non votano PD, si augura che Renzi costituisca quella sferzata movimentista che quantomeno avvii un cambiamento nel paese più conservatore del mondo (che ta le è col grossissimo contributo della sinistra radicale, che in quanto a conservazione primeggia, per quanto sia paradossale per quelli che si dicono da sempre "progressisti" quando non "rivoluzionari").
In attesa di questa cura ricostituente - che i salassi con Monti li abbiamo già avuti - Ainis fa un decalogo delle "regole al contrario", come lo ha visto svolgersi in queste ultime settimane.
Nel leggerlo, lo trovate appresso, mi sono trovato a condividere appieno i punti 3,6 8, 9 e 10, con riserva gli 1, 2 e 7, no il 4 e il 5. 
Inutile soffermarsi sui punti di concordia, spieghiamo gli altri.
Punto UNO  Non c'è dubbio che Letta sia stato fatto fuori dal suo partito. E' storia. Dire però che è una regola invertita, sottolineando che i partiti sono soggetti privati e quindi non dovrebbero avere questo ruolo, la trovo una forzatura anti storica. Ci sono 45 anni di Democrazia Cristiana a dimostrare che la regola E' questa. 
Punto DUE  Ainis disapprova lo streaming degli incontri di "consultazione". Sono d'accordo, ma non vedo violazioni di regole, semplicemente il cedere ad una stupidagine demagogica degli ortotteri. Quanto al colpo di Palazzo, il motivo non lo trovo affatto imperscrutabile : Renzi ha sempre voluto arrivare a Palazzo Chigi. Ha visto l'opportunità di farlo tramite scorciatoia e l'ha fatto, correndo un grosso rischio. Ma la ragione c'è, chiarissima. 
Punto SETTE  Anche qui, giuste le considerazioni di Ainis sul dicredito crescente di coloro che finiscono in Parlamento, però il fatto che Presidente del Consiglio diventi qualcuno che non è stato eletto alle legislative la vedo cosa insolita, ma non del tutto nuova e sicuramente non in contrasto con la Costituzione. Quello che non è previsto non per questo è vietato. Monti non era un parlamentare e certo l'averlo fatto senatore a vita non risolveva il fatto che non avesse  mai ottenuto alcuna investitura elettorale di qualsivoglia tipo.
Come detto, non sono invece d'accordo con Ainis sui restanti due punti.
Punto QUATTRO.  E' vero che lo sgarbo di M5S e Lega, non saliti al Colle per le consultazioni del Capo dello Stato, è senza precedenti, però è altrettanto vero che i riti a volte invecchiano troppo. Questo è uno di quei casi.
Punto CINQUE. Il Presidente Napolitano è stato un interventista. Eccome. Si potrà discutere se per necessità o perché i tempi ormai sono maturi per questa altra riforma costituzionale, e quindi far coincidere la figura del capo dello Stato con quello dell'esecutivo, come in USA e Francia. Oltre il 70% degli italiani sono ormai favorevoli a questa soluzione. Però oggi ancora così non è, e sono in tanti a denunciare il forte stiramento delle regole presidenziali a cui si è assistito con l'avvento del maggioritario, quasi che il Quirinale volesse ergersi a interlocutore occhiuto di un Presidente del Consiglio che si proponeva più forte in virtù dell'investitura popolare. 
Buona Lettura




"Streaming e non solo: le regole al contrario"
 



Ne abbiamo viste tante, al punto da buscarci un orzaiolo. Ma tante in una volta sola no, questa è la prima volta. Sicché sgraniamo gli occhi, dilatiamo le pupille. Dopo 63 esecutivi in 68 anni di Repubblica, e perciò dopo 63 crisi di governo, sembrava impossibile registrare fatti inediti, eccezioni, stravaganze. Invece possiamo metterne in fila una decina, come i comandamenti ricevuti da Mosè sul Sinai. Solo che in questo caso si tratta di regole al contrario, regole che sovvertono la regola.
Eccone l’elenco.
Primo. Il governo Letta viene licenziato durante una riunione di partito. Quindi da privati cittadini, nelle stanze di un’abitazione privata: giacché i partiti sono associazioni non riconosciute, al pari d’un circolo di caccia. E la legge sui partiti non è che l’ennesima promessa tradita dai politici.
Secondo. La crisi nasce da manovre di Palazzo, e purtroppo ci abbiamo fatto il callo. Significa che ha origine da decisioni sotterranee e per ragioni imperscrutabili. Ma il Palazzo va in diretta streaming . Da qui una nuova regola: la vecchia Costituzione (articolo 64) stabiliva la pubblicità dei lavori parlamentari; la nuova prescrive la pubblicità dei lavori extraparlamentari.
Terzo. Enrico Letta si dimette al Quirinale, il presidente non lo rinvia alle Camere per un dibattito sulle sue dimissioni. I precedenti sono altalenanti, anche perché la vita pubblica in Italia è un’altalena. In ogni caso, la «parlamentarizzazione» della crisi risale agli anni Settanta. Stavolta c’era l’esigenza di far presto, tuttavia ci hanno anche detto che non bisogna fare troppo presto. Il rischio è di passare dalla parlamentarizzazione della crisi alla «crisizzazione» del Parlamento.
Quarto. Lega e M5S disertano le consultazioni al Colle. Uno sgarbo istituzionale, una rottura senza precedenti. Però l’idea non è del tutto nuova. Il copyright si deve a Nanni Moretti (Ecce bombo , 1978): «Mi si nota di più se vengo e sto in disparte, oppure se non vengo per niente?».
Quinto. Ma di quale colpa si è macchiato il presidente? Come si spiega questo rifiuto d’incontrarlo? Risposta: consultazioni inutili, tanto l’incarico a Renzi è già deciso. Da chi? Da Renzi medesimo, o meglio dal suo partito. Destino amaro, quello di Napolitano: ieri messo in croce perché troppo interventista, oggi perché si limita al ruolo di notaio.
Sesto. E arriva infine l’incarico annunciato. Con i suoi 39 anni, Matteo Renzi sarà il più giovane Premier della storia italiana, anzi d’Europa, anzi della Via Lattea. Tuttavia la sua investitura non deriva dalla gioventù, bensì dal successo alle primarie dell’8 dicembre. Primarie di partito, trasformate con efficacia retroattiva in primarie di governo.
Settimo. Per la prima volta le chiavi di Palazzo Chigi vengono consegnate a un sindaco in carica, anziché a un parlamentare o a un uomo delle istituzioni. Non è una novità di poco conto: attesta, nel modo più solenne, il discredito che ormai sommerge la politica nazionale, quella che ha per teatro Roma. Ormai soltanto i sindaci rastrellano qualche grammo di fiducia. Ecco allora il sindaco d’Italia, riforma vagheggiata da vent’anni. Con questo governo, abbiamo cambiato la Costituzione senza cambiarla d’una virgola.
Ottavo. Sennonché il nuovo esecutivo nasce vecchio, nel perimetro della vecchia maggioranza. Come una squadra in crisi, che a metà campionato decida di sostituire l’allenatore, senza acquistare nessun calciatore. Lui potrà trasmettere un’iniezione d’entusiasmo, modificare la tattica di gioco, rimpiazzare qualche titolare chiamando in prima linea le riserve. Nel 1971 capitò a Invernizzi, subentrato a Heriberto Herrera; dopo di che l’Inter vinse lo scudetto. Ma capita di rado, e oltretutto Renzi tifa per la Fiorentina.
Nono. Dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io. Sta di fatto che questo vecchio-nuovo esecutivo ha i suoi mal di capo con Alfano, mentre incontra la simpatia di Berlusconi. Chi è in maggioranza, chi all’opposizione? Vattelappesca.
Decimo. È il paradosso più paradossale, quello da cui dipendono le sorti del governo, oltre che di noialtri governati. Difatti il gabinetto Renzi avrà successo se negherà se stesso, se renderà impossibile in futuro un altro gabinetto Renzi. Come? Con una nuova legge elettorale, con una riforma costituzionale che restituisca agli elettori il potere di decidere i governi. E sarebbe pure l’ora.

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