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mercoledì 16 aprile 2014

"NON SI AFFIDA AI MAGISTRATI IL CAMBIAMENTO DELLA GIUSTIZIA" VIVA FIANDACA, PROSSIMO DEPUTATO PD AL PARLAMENTO EUROPEO


Francamente mi dispiace che il Prof. Fiandaca abbia accettato - così s'intuisce dall'intervista - la proposta del PD di candidarsi alle elezioni europee. Non per il partito, ma per la destinazione , Bruxelles, che invece il professore lo vedrei benissimo nel Parlamento italiano e come presidente della Commissione Giustizia. 
Che poi oggi Guerini, ascoltato vicepresidente del PD, e Orlando, Ministro della Giustizia, lo sponsorizzino, fa sperare che qualcosina nel corpaccione piddino stia cambiando, e 20 anni e passa di giustizialismo stiano perdendo la solida presa avuta in questi lunghi e dolorosi lustri. 
Certo in pochi si potrebbero permettere di dire una cosa come quella detta da lui : NON si affida ai Magistrati il cambiamento della Giustizia. 
E in realtà non basterebbe nemmeno  il pur illustre cursus honorum del professore a risparmiarlo dalla furia giustizialista. Fiandaca è tuttora docente di diritto penale all'Università di Palermo,   è stato  membro laico del consiglio superiore della magistratura, autore di manuali universitari apprezzatissimi nella sua materia, Insomma, un'autorità, giuridica ed etica. 
Ma, ripeto, tutto questo non sarebbe sufficiente a proteggerlo dagli attacchi di ex allievi come il livoroso Antonio Ingroia - forse anche invidioso della popolarità e della stima del suo ex professore, laddove lui sta passando momenti assai bui dopo tanta luce mediatica - se non ci fosse questo inedito scudo "renziano". 
Francamente, non so che ci vada a fare a Bruxelles da semplice parlamentare, che notoriamente lì i deputati contano ancora meno dei peones di Montecitorio, però registro con soddisfazione e speranza l'attenzione che il "nuovo" PD sta mostrando ad una personalità giuridica con il suo spessore e le sue idee.



Fiandaca: non si affida ai pm il cambiamento
«Nessuno può fare l’ayatollah dell’Antimafia»


PALERMO — Sulla candidatura alle Europee di Giovanni Fiandaca, il cattedratico che contesta la genesi del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, sono scattati nel Pd ampi consensi non appena s’è lanciato contro «l’Antimafia delle star». Come fosse uno slogan liberatorio. Sgradito a un suo allievo, Antonio Ingroia, che ha subito collegato la candidatura alla fuga di Dell’Utri, indicando addirittura «un filo conduttore fra chi delegittima la trattativa e chi l’ha fatta».
Sorpreso professore dall’ex pm?
«Ho parlato con magistrati convinti che io possa introdurre elementi di razionalità in un dibattito ormai avvelenato dai pregiudizi. Il problema non è Ingroia, nei confronti del quale nutro affetto, ma un modo preconcetto e aggressivo di discutere che purtroppo non è solo suo. Nessuno può assurgere ad “ayatollah dell’Antimafia” arrogandosi il diritto di decretare cosa è Antimafia autentica o fasulla. Questo diritto non ce l’ha nessuno».
La sua candidatura coincide con recenti considerazioni di Violante e D’Alema. Il primo, dopo «il blocco di un ventennio», auspica una «disciplina dei magistrati». E il secondo rivela che la Bicamerale nel ’98 saltò sulla separazione delle carriere dei magistrati.
«Ripensare l’Antimafia significa rimettere al primo posto una analisi critica della realtà, cominciando a riconoscere che il pluralismo non è un male da combattere, ma un valore da apprezzare e promuovere».
Anche su «Left» si legge che, dopo l’era Berlusconi, forse si potrebbe mettere mano alla riforma della giustizia.
«Sto scrivendo un breve saggio su populismo politico e populismo giudiziario. Ho letto per l’occasione anche testi di giornalisti qualificati che tornano a riflettere sulle stagioni succedutesi a Tangentopoli. A vent’anni di distanza, si deve prendere atto che è una vera illusione affidare alla magistratura le leve del cambiamento».
Rischia, come qualcuno l’accusa, di spaccare il «fronte»?
«Confido che la mia candidatura, ispirata a una prevalente esigenza di coesione nel Pd siciliano e nazionale, possa dare un contributo per aprire una nuova stagione che rimetta al centro l’iniziativa politica...».
Che fare?
«Devono essere la società e la politica a rinnovarsi. Bisogna riaffermare i principi di fondo di una democrazia liberale degna di questo nome. In parole semplici, i politici facciano sul serio i politici, gli imprenditori facciano sul serio gli imprenditori e lo stesso valga per i magistrati, senza ambivalenze, precostituiti collegamenti e indebite interferenze».
Di quali imprenditori parla?
«Ho l’impressione che i rapporti di un pezzo di imprenditoria non siano trasparenti, che campeggino zone d’ombra e non escludo che sussistano forme di reciproco e improprio sostegno con la politica».
A che cosa si riferisce?
«A quanto accaduto negli ultimi anni alla Regione siciliana. È importante che Confindustria sbandieri il vessillo Antimafia, ma mi preoccupa che quella bandiera rischi di diventare strumento per accordi politici o di potere che con l’Antimafia concreta hanno poco a che fare».



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