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giovedì 22 maggio 2014

CARO POLITO, LE POLEMICHE LASCIALE A TRAVAGLIO



Gli amici che leggono il Camerlengo sanno che stimo Antonio Polito, editorialista del Corriere, in quota Liberal oserei dire (come, a mio parere, lo sono Pierluigi Battista e, forse, Michele Salvati), laddove Panebianco, Ostellino e della Loggia sono tra i Liberali. La redazione, più giovane dei suoi opinionisti, è un "covo" di "democrats" variamente distribuiti.
Mi dispiace pertanto quando il bravo giornalista smette i panni più sobri dell'"opinionista" per indossare quelli  guerrieri - e faziosi - del "polemista".
La differenza è evidente : nel primo caso si esprime una propria idea, argomentandola, e se si critica quella altrui, lo si fa ragionando e non irridendo e banalizzando. Il polemista, ovviamente, opta per questa ultima soluzione. Travaglio è un polemista assoluto, capace com'è di spaccare il mondo in buoni e cattivi, e ovviamente i primi sono lui e i suoi. 
Polito non appartiene a questa razza, ma a volte ci scivola, come nell'editoriale odierno, che di seguito riporto.  TRa l'altro, le ragioni centrali e le conclusioni dell'articolo, vale a dire  la critica a Renzi e Berlusconi di aver ridotto la campagnia per le europee alla rissa con Grillo, facendo molto male (soprattutto il primo, visto il ruolo che attualmente riveste, l'altro è allo stato molto marginalizzato) alla causa italiana nell'Unione, è assolutamente condivisibile.
Però, per dire queste cose, sacrosante, Polito sente il bisogno di togliersi qualche sfizio polemico contro le tesi del "complotto" europeo contro Berlusconi che si sono succedute nei giorni scorsi.
E lo fa nel modo fazioso prima denunciato : irridendo e non argomentando.
Chi scrive non ama i complottisti e ha decisamente in uggia gente come Giulietto Chiesa, che su questo invece ci ha costruito una carriera; peraltro , senza scomodare la parola complotto, non ho motivo di non credere a quanto ormai  rivelato da più fonti, tra cui alcune autorevoli e , fino a prova contraria, disinteressate ( l'ex premier spagnolo, Zapatero, e l'ex segretario dell'economia di Obama) : alcuni leader e capi delle istituzioni europee si adoperarono perché Berlusconi si decidesse a dimettersi da capo del governo. Avevano delle buone ragioni per farlo, e Polito ne elenca alcune, ma resta che la cosa non avvenne in modo chiaro e trasparente, tanto è vero che americani ed altri si dissociarono.
Dopodiché, Polito dimentica che mentre Spagna e Grecia, di fronte alla caduta anticipata dei loro governi, andarono al voto, come in democrazia di regola avviene in questi casi, da noi NO, ci siamo affidati ad un governo "tecnico", con la speranza che almeno questo, non avendo il problema di essere "rieletto", avrebbe avuto il coraggio di fare ciò che si doveva. Polito era uno dei tanti, allora, sostenitori di MOnti. Quando il bocconiano ha deluso, non l'ho sentito dire, come avrebbe dovuto : mi sono sbagliato. Quando scrive che il debito è peggiorato ( è vero), la spesa non si riesce a tagliare (è vero), dice cose di cui oggi portano la responsabilità ANCHE i governanti successivi a Berlusconi, vale a dire Monti e Letta ( e Renzi inizia ad avviarsi sulla stessa strada). E dunque ? Senza contare che a novembre 2011 la recessione era alle porte ma ancora non era iniziata (questo solo per la precisione storica, perché non metto in dubbio che sarebbe accaduto anche perdurante il governo del Cavaliere).
Lo spread che risale punisce le mancate riforme ? Se così fosse, Monti perché ancora rilascia interviste al Corriere della Sera ? Sono passati due anni e mezzo da quando il "MALE" è uscito da Palazzo Chigi, e si parla sempre delle stesse cose. Come mai Polito ? 
In realtà lo spread peggiora per tutti, e questo significa che il problema resta principalmente europeo, ma per noi di più, perché continuiamo ad essere quelli che non fanno ciò che devono e che gli altri, costretti, hanno fatto : tagliare la spesa, in modo da tenere sotto controllo il deficit e anzi provare ad abbassarlo, senza continuare ad agire sulla leva deprimente della pressione fiscale. 





Come farsi male (e tanto) da soli
 
Sarà forse una nuova macchinazione internazionale, questo ritorno dello spread tra i guai dell’Italia? Un altro «grande imbroglio», un nuovo «complotto» con il quale, complice al solito il capo dello Stato, entità straniere tentano di buttar giù anche Renzi, dopo averlo fatto con Berlusconi? In attesa di scoprirlo tra qualche anno dalle tardive memorie di un ex ministro o di un ex premier, per ora non si può dare che una spiegazione più prosaica: ci stiamo facendo male da soli, l’organismo debilitato e fiacco del nostro sistema politico sta avendo una ricaduta.
I fondamentali del Paese non sono del resto tanto cambiati. Il debito pubblico è immane come tre anni fa, anzi di più. Il segno davanti alla cifra del Pil è sempre negativo. Governo e Parlamento faticano a tenere sotto controllo la spesa più o meno come al solito. Ma a questa costante economica del caso italiano si sta di nuovo aggiungendo un rischio squisitamente politico. Gli inglesi lo chiamano «slippage », letteralmente scivolata, metaforicamente una situazione in cui un sistema non sembra più in grado di realizzare un obiettivo o di mantenere una scadenza, e quello che può accadere tra il momento in cui gli investitori comprano Italia e il momento in cui vendono diventa di nuovo incerto, imprevedibile, insicuro.
Nell’estate del 2011 esportammo, nel pieno della crisi dell’euro, ingovernabilità. L’esecutivo non aveva più maggioranza, era squassato al suo interno, il ministro del Tesoro non firmava i provvedimenti di Palazzo Chigi, le raccomandazioni della Bce restavano disattese, le promesse fatte a Bruxelles non venivano mantenute. Nessun governo dei Paesi travolti dalla crisi, dalla Spagna alla Grecia, resse alla tempesta. Perché mai avrebbe dovuto sopravvivere il nostro, che già non c’era più?
Oggi invece, a poche ore dall’apertura delle urne europee, stiamo esportando instabilità. Non si tratta tanto del fatto che l’Italia può mandare la più numerosa pattuglia di parlamentari antieuro a Bruxelles: questa si chiama democrazia, se gli italiani sono diventati in pochi mesi i più euroscettici del Continente è nel loro diritto usare la scheda elettorale per farlo sapere, e del resto in forme e numeri più o meno analoghi accadrà anche in Francia o in Gran Bretagna (non in Germania). Se l’Europa esiste, sarà in grado di sopravvivere a un voto.
Quello che invece è anormale, perché non accade altrove, è che un tale risultato può far saltare l’intero fragilissimo equilibrio su cui si reggono come acrobati governo e Parlamento, togliendo valore e credibilità a tutti i nostri impegni, rendendoci di nuovo debitori inaffidabili.
Questa situazione è colpa di Grillo, che appicca incendi per prendere voti senza l’onere di proporre soluzioni. Ma è colpa anche di chi doveva fronteggiarlo e invece l’ha inseguito, nella speranza di contendergli quei voti. Da un’opposizione seria come quella che dice di incarnare Berlusconi, e da un governo responsabile come quello che Renzi vuole rappresentare, ci si doveva aspettare un’agenda diversa, e precisamente l’indicazione di ciò che l’Italia farà e sarà in Europa dopo il voto, qualche idea su come condividere la moneta con i tedeschi senza ridursi come i greci. Invece l’agenda l’ha fatta Grillo, da Dudù a Francantonio Genovese. Il resto d’Europa ha visto, e ha preso nota.

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