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mercoledì 28 maggio 2014

PARLA BOLDRIN, DOPO LA DISSOLUZIONE DEI LIBERALI DI "FARE". "TORNO NEGLI USA"


Boldrin era il "capo"di FARE, dopo il collasso di Giannino, e ha comandato - democraticamente - la nave fino al Titanic di domenica. Credo che il fallimento di questa generosa e lodevole esperienza dimostri come il liberalismo non avrà mai un carattere popolare, a differenza di quanto continua a pensare Boldrin che afferma esserci un grande spazio in questo senso, per quanto sicuramente i liberali non siano le poche decine di migliaia che hanno votato questo movimento nel 2013 e nel 2014. 
Le considerazioni che Boldrin fa nell'intervista comparsa su Italia Oggi, segnalatami dalla mia grande amica Caterina,  sono amare e vere, sia per quanto appunto riguarda la salute del liberalismo che per lo scetticismo verso le ricette renziane, molto più enfatizzate che efficaci. L'Italia non ha bisogno purtroppo di meri aggiustamenti, correttivi, ma di riforme radicali. Altrimenti si continua sostanzialmente nel verso conosciuto in questi lustri, un declino all'inizio lento, oggi più veloce e che comunque alla fine ci riporterà molto indietro (e in alcuni campi è già così). I liberali di FARE non hanno il carisma, l'appeal per spiegarlo, probabilmente, ma gli italiani sicuramente non hanno le orecchie per sentirlo. E non è un problema solo nostrano, che un po' nell'Europa "ricca" che va così, basta guardare i cugini francesi.



Boldrin, me ne torno negli Usa

Doveroso un consiglio a Renzi: «Devi cambiare ministri»
 di Luigi Chiarello  

«Fossi in Renzi andrei subito in pressing sulle riforme. Poi, incassati gli scontati niet di questo Parlamento, andrei a elezioni anticipate, per cambiare il Paese». Ma sono Boldrin e quindi: «Torno in America, perché non ho poteri taumaturgici. Non posso sostituirmi a una classe sociale, quella borghese, che non riesce a cambiare il proprio ceto politico».
Michele Boldrin incassa la pesante bocciatura elettorale con lo stile del mediano. Rintuzza le critiche senza lasciar passare un pallone. E subito riparte in contropiede: «Il Paese non si cambia con gli yes men» quindi, caro Renzi, «devi cambiare ministri». E comunque, niente illusioni: per il leader di Fermare il Declino «neanche il capo del Pd è l'uomo della provvidenza. Perché all'Italia servono riforme radicali, non piccoli correttivi. Ma gli italiani non vogliono capirlo e preferiscono i populismi».
Domanda. Come legge il risultato di Scelta Europea?
Risposta. Ha fatto schifo, no? (ride)
D. Il pensiero liberista in Italia non sfonda, o lei ha troppi competitor?
R. Mah, non so se il mio sia liberismo_ è più un pensiero misto. Comunque, io e Fare non sfondiamo per mille ragioni, troppo lunghe da analizzare.
D. Me le dica per punti.
R. Primo: non siamo comunicatori capaci di sintetizzare in slogan le nostre proposte. Per altro, alcuni argomenti non sono riassumibili in slogan. Secondo: il Paese è ancora convinto che l'Italia la sfangherà con piccoli correttivi: per questo vince Renzi. La nostra analisi, invece, racconta di cambiamenti radicali. E su questo non riesco a convincere la gente. Eppure_
D. Eppure?
R. L'Italia è davvero a un bivio radicale, una situazione non normale. Solo che le classi imprenditoriali italiane non sono disposte a rischiare. Pensano di riuscire a recuperare il passato perduto. Insomma, c'è indisponibilità nell'elettorato ad ascoltare le nostre tesi e c'è un problema nostro a comunicarle. Poi magari sbaglio io_
D. Ok, ma torniamo all'Italia. Cosa vede?
R. Vedo il fatto banale che 22 mln di italiani non hanno votato. E che non c'è nulla, nel supermercato della politica, che li convinca. Aspettano l'uomo della provvidenza. E questo è un guaio. Anche perché neanche Renzi lo sarà. Il leader Pd ha beccato un assegno in bianco dai suoi elettori. Gli auguro buona fortuna, perché non mi piace un paese in declino. Ma Renzi, in fin dei conti, ha preso 11 mln di voti. Se cresce ne prenderà al massimo 14. E il resto del Paese chi lo rappresenta? Nessuno!
D. Ha pur sempre preso il 40%.
R. Guardi che l'Italia non è in una situazione differente dalla Francia. A Parigi, le classi dirigenti stanno perdendo il contatto con la società. Le Pen fa paura. La realtà è che c'è un fenomeno mondiale, che si chiama globalizzazione. Ma, di fronte alle grandi sfide che questa propone, i ricchi e satolli popoli europei non vogliono cambiare. E si lasciano andare a derive protestatarie e populiste.
D. Il futuro europeo la preoccupa?
R. La situazione è a macchia di leopardo. Quel che è successo in Gran Bretagna, con la vittoria di Nigel Farage e dell'Ukip (partito indipendentista britannico) non va letto come: «Arrivano i fascisti!». Guardi, nei Paesi dove sono state fatte più riforme in passato il voto è meno minaccioso. Invece, nei paesi che più hanno pagato la crisi e meno hanno fatto riforme il voto è più violento. In Francia c'è la Le Pen ed un astensionismo gigantesco. In Italia c'è un po' meno di entrambi, visto che Grillo + Salvini non fanno Le Pen e l'astensionismo è un po' inferiore. Ma la situazione quella è.
D. C'è un fattore X che in Italia ammorbidisce le cose?
R. La differenza italiana è che Renzi, non avendo ancora deluso come Hollande, ricompatta attorno a se un voto socialdemocratico e leggermente riformatore.
D. Che margini ha Renzi di incidere sulle politiche della Merkel?
R. Guardi, la signora Merkel fa il suo lavoro abbastanza bene. Potrebbe essere meno rigida, ma siccome sa di avere un Paese che ha già pagato parecchio per le riforme, dieci anni fa, ora vuole che anche gli altri stati crescano. Merkel sa di avere un elettorato speculare a quello italiano. Si muove tatticamente, con carota e bastone. E, in fondo, ha tenuto bene sui vincoli: la Grecia non è morta. Diciamo che ci siamo inventati un mostro Merkel che non esiste. Piuttosto, se la metto a confronto con Hollande beh, una è uno statista planetario, l'altro non sa da che parte girarsi.
D. E Renzi? Riuscirà a fare le riforme?
R. Matteo Renzi è una sfinge, non si capisce mai cosa voglia davvero. Ma, supponiamo abbia davvero in mente di fare cambiamenti radicali, bene, il Parlamento, questo Parlamento, gli dirà di no! Anche i Cinque Stelle gli diranno no, perché giocano nell'interesse del Movimento, non del paese.
D. Se fosse in lui cosa farebbe?
R. Se fossi in lui, incassati i niet alle riforme, andrei subito a elezioni anticipate. Per stravincerle e cambiare il Paese, ma con un Parlamento totalmente diverso e con un altro esecutivo. Perché, se Renzi vuol fare davvero la Thatcher (di sinistra) italiana, non può avere solo yes men accanto; servono collaboratori con elevata capacità. Altrimenti fa il Berlusconi.
D. E da Boldrin, cosa farebbe?
R. Io? Ho già dato. Ora vorrei fare ciò che ho sempre fatto e mi piace: produrre idee e proposte. Basta con la ricerca di poltrone, non mi sono mai interessate. All'inizio mi son lanciato in Fermare il Declino per entusiasmo, poi son rimasto per responsabilità. Il dovere l'ho fatto, ora tocca ad altri. Ma_
D. Ma?
R. In Italia, c'è un immenso spazio per un partito liberal-popolare, alieno al berlusconismo leghistizzato e alternativo alla social democrazia di Renzi.
D. Quindi vede un futuro per Fare? O tornerà in America a insegnare?
R. Li ho vita e lavoro. E io non posso sostituirmi a una classe sociale, quella borghese, che non riesce a ricambiare il proprio ceto politico, la propria classe dirigente. Boldrin non ha poteri taumaturgici. Ci fosse una squadra parteciperei. Ma non c'è.

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