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mercoledì 5 novembre 2014

CAMERON LITIGA, RENZI PURE, SI ASPETTA HOLLANDE E POI L'UNIONE è BELLA CHE FINITA. LA STORIA HA VISTO TERMINARE REALTA' BEN PIù FORTI DI QUESTA

lettonia_area_euro
Per un Euroflebile come il sottoscritto, le sportellate tra Renzi e la Commissione Europea, da chiunque rappresentata, non dispiacciono, a pelle. Non dico che si arriva allo stesso livello di piacere istintivo che provo quando si randella con la Camusso e i sindacati, però mi viene da pensare "cantagliele Renzino!". 
Non mi piace questa Europa, in assoluto, ancorché mi renda conta che quando poi si parla di compiti a casa, di patti da rispettare, di debito eccessivo l'Italia ha molte magagne oggettive. 
Ma di 27 paesi, quanti sono quelli iscritti al club, quanti sono in regola ? Anche a voler stringere l' esame a quelli dell'area Euro, che sono 18, non è che cambia tanto. E allora forse anche le regole vanno un attimo riviste.
Certo, noi siamo dei sorvegliati speciali, perché troppo grandi per fallire ( sarà vero ? speriamo di sì) ma anche per essere salvati...
Insomma, nel merito della questione, gli "antipatici" di Bruxelles potrebbero avere nei nostri confronti più ragioni che torti..., al di là delle critiche, tante e grandi, che all'Europa e all'Euro possono essere tranquillamente fatti ( e infatti il consenso per l'Unione è ai minimi storici...). 
Ma quando infuria la polemica, i ragionamenti cedono il posto all'istinto e allora "Daje Renzino !".
In realtà, questo conflitto così aspro, dove pare pesino anche ormai antipatie personali (Renzi è assai più divisivo del Cavaliere, sotto questo aspetto. Berlusconi, di fondo, è uno che vuole piacere a tutti. Renzi è toscano fino al midollo, nelle antipatie e vis polemica), non giova a nessuno, e bisognerà trovare nuovi toni. Che, così aspri, io ai tempi del Berlusca (che pure non erano fausti), non me li ricordo. 
Continuando così, con la GB un passo fuori, Italia e Francia sempre sul tavolo degli imputati, due terzi del continente in difficoltà grandi (e non è che gli altri scialino !), mica è poi detto che l'Unione regga.
In fondo, è una creatura molto giovane, che alla prima vera crisi sta reagendo molto male.
La Storia ha visto sparire realtà assai più antiche e qualificate di questa.




Il premier: ci sono dei patti, lui lo sa
Il duro confronto nell’ultimo Consiglio europeo: 
speriamo dimostri di essere un politico.
La necessità di «un’idea diversa di Europa,
sui programmi vi marcheremo a uomo»
Marco Galluzzo, Corriere della Sera 
 
ROMA «Se non è un burocrate, ma un politico, cosa che del resto tutti gli riconoscono, speriamo lo dimostri quanto prima, rispettando i patti per cui è stato scelto. Ci sono dei documenti precisi, di sicuro noi saremo inflessibili, alla base della nuova Commissione c’è per la prima volta dopo anni un’idea diversa di Europa, tocca anche a Jucker voltare pagina».
Matteo Renzi queste cose le ha dette nel corso dell’ultimo Consiglio europeo. A porte chiuse, complice la conflittuale uscita di scena di Barroso, sono volate parole grosse, emersi rancori non solo politici, un clima di fine stagione e di grandi speranze legate al futuro hanno segnato anche i rapporti personali. «Nello scontro di ieri c’è ancora l’eco dell’ultimo vertice, che è stato a tratti brutto, cattivo», commenta chi ha assistito ai lavori di due settimane fa.
Fra i due c’è anche un pizzico di ruggine, legata al passato recente: Juncker chiedeva nomi e non caselle, per la formazione della nuova Commissione, Renzi fu il primo ad infischiarsene associando il nome della Mogherini al posto di Lady Pesc. Del resto anche il navigato politico lussemburghese non si era guadagnato troppe simpatie: «Non basta vendere auto su eBay, c’è un problema più grosso che si chiama debito italiano», diceva in campagna elettorale, quando a Palazzo Chigi speravano ancora che non fosse lui a succedere a Barroso. E non facevano niente, oltretutto, per nasconderlo.
Ma non è la ruggine il problema, «non è una questione di feeling personale» direbbe Renzi, come per la Camusso, il nodo è tutto politico ed è ancora aperto: farà Juncker quello che ha promesso al momento della sua scelta? Presenterà un piano di investimenti da 300 miliardi di euro effettivamente realizzabile, entro Natale, come lui stesso ha assicurato e come chiedono a Palazzo Chigi o a Parigi? E avrà la forza di implementarlo, di non costruire l’ennesima promessa non mantenuta, o di difficile applicazione, della Ue?
«Contano i programmi e non le persone e sui programmi saremo inflessibili, vi marcheremo a uomo», è la linea di Renzi. Questo intende quando ripete che non andrà mai a Bruxelles con il cappello in mano. E se Juncker pretende rispetto, anche per l’istituzione che presiede, se precisa che se non fosse stato per il livello politico la manovra italiana sarebbe stata bocciata (dai tecnici), a Palazzo Chigi la mettono in questo modo: «Uno a uno e palla a centro, è una partita diversa dal passato».
Renzi lo ripete in queste ore: «Se l’Unione europea non ha fatto sino in fondo il suo mestiere non è colpa dei tecnocrati, ma dei politici che lo hanno consentito. Ci aspettiamo che la nuova Commissione volti pagina...». E la ricerca di una stagione diversa è ovviamente all’insegna della crescita, come ha chiesto anche Mario Draghi, proprio nel corso dell’ultimo Consiglio, quando ha suonato una sorta di campanella di fine ricreazione, dicendo che la Ue non ha al momento una strategia precisa per la crescita.
La prima volta che Juncker parlò di lavoro, legando il tema al suo mandato, Renzi in qualche modo lo prese in giro: «Finalmente, benvenuto nel club mister president». Ieri il primo ha rivendicato un ruolo migliore della narrazione renziana e ha restituito qualche calcio, mentre il presidente del Consiglio replicava parlando di gol fatti e subiti.
In attesa della prossima partita, anche mediatica, a Palazzo Chigi si riuniva la task force governativa che insieme alla Bei (Banca europea degli investimenti) sta cercando di individuare una serie di progetti concreti, italiani e finanziabili nei prossimi anni, che possano confluire nel piano Juncker che verrà.
Oltre ai dissapori personali, alle provocazioni del capogruppo del Ppe, Manfred Weber, il pupillo della Merkel che ieri ha innescato le dichiarazioni del presidente della Commissione (è lo stesso che ha litigato con il premier il primo giorno del semestre italiano), c’è anche chi sta lavorando per superare i contrasti.

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