A pochi importerà di questa decisione. Ai suoi amici sicuramente sì, perché conoscendolo, sanno quanto essa sia decisamente sofferta. Del resto 35 anni, passati in trincea più che sulle poltrone, sono un pezzo di vita importante.
Vabbè ma ai lettori del Camerlengo che l'avvocato Domenico Battista si dimette dalla Camera Penale di Roma, cosa gliene importa ? Alla maggior parte nulla. A volte però la gente dimentica che il blog non è un giornale, ma un posto dove un tizio si mette in testa di scrivere le cose che interessano a LUI, soprattutto. Poi certo, confida che possono incuriosire, e magari a volte coinvolgere, altri.
Ma non ha certo l'assillo né dei lettori, né dei "mi piace".
Anche perché scrive "aggratis", non si affanna se i contatti calano, non mangia con quello. Certo, fa più piacere quando ti leggono, ma sicuramente, è il vantaggio di quando si fa una cosa che piace in sé, sono più frequenti le gratificazioni che le delusioni.
E quindi, siccome Domenico Battista è uomo e avvocato che stimo, molto, a cui voglio bene, sinceramente, e che so autenticamente appassionato alla sua professione e all'associazione a cui appartiene da sempre, io voglio usare il mio blog per dare spazio alla sua lettera di commiato alla Camera Penale di Roma, e, di conseguenza, all'Associazione nella sua interezza.
Sperando che ci ripensi.
Un abbraccio forte Maestro.
Al Presidente della CAMERA PENALE DI ROMA Aw. Francesco
TAGLIAFERRI
Ai componenti del Direttivo della Camera penale di Roma
Aw.ti Cesare
PLACANICA, Eugenio SPINELLI, Paola REBECCHI, Giandomenico
CAIAZZA, Vincenzo COMI, Anselmo DE CATALDO, Alessandro DE FEDEzuCIS, Cesare GAI,
F abrizio l|lEP.LU ZZI, Gianluca TOGNOZZI
e per conoscenza
Al Presidente dell'UNIONE DELLE CAMERE PENALI
ITALIANE
Aw. Beniamino MIGLIUCCI ed atutti i componenti della GITINTA
A tutti i soci delle CAMERE PENALI
Caro Presidente e cari Amici,
non avrei mai voluto scrivere questa lettera (e forse
mai awei pensato di doverla scrivere); ma al punto in cui Siamo arrivati, coerenza
e rispetto verso me stesso, ma, soprattutto, verso di Voi, mi impongono questa
scelta.
L'iscrizione ad una associazione non è un atto dovuto
e non può essere neppure, a mio awiso, una formalità che si esaurisce con il versamento
annuale della quota.
Si aderisce solo e soltanto perché si condividono gli
scopi, i valori, i progetti di una
associazione: personalmente ho sempre considerato la mia
iscrizione alla Camera penale di Roma e la conseguente adesione alle previsioni
statutarie dell'Unione delle Camere Penali Italiane come un atto di specifica iniziativa
politica, nell'ottica di una funzione anche sociale dell'Awocato, ed, in particolare,
deli' Awocato penalista.
Sono iscritto alla Camera penale di Roma in modo
continuativo ed ininterrotto dal gennaio 1979 (35 anni , praticamente quasi la mia
intera vita professionale!) e dal primo giorno, per mia mentalità e convinzione,
ho pensato che l'adesione ad una associazione forense - figura ben diversa da
una istituzione forense - dovesse essere vissuta in forma militante, cercando, nel
bene e nel male (certamente, per quanto mi riguarda, più nel male ....), di dare
per quanto possibile il mio personale contributo per l'affermazione delle battaglie
ideali in favore dei principi processo. del giusto
Ma quest'anno NON rinnoverò Ia tessera di appartenenza
e Vi chiedo, pertanto, a norma di statuto, di cancellare il mio nome dall’elenco
degli iscritti alla Camera penale di Roma.
Continuo a condividere (anzi aderisco con sempre, se possibile,
maggiore passione) agli scopi, ai valori, ai sentimenti espressi dalle Camere
penalì.
Ma oggi come oggi ritengo - ed owiamente si tratta di
una mia valutazione del tutto personale, che ognuno sarà libero di giudicare come
ritiene più opportuno - che UCPI e, per il loro assetto interno, una buona parte
delle Camere Penali, non perseguano più quel cammino intrapreso tanti anni fa,
deviando verso altri scopi o non dando adeguata –importanza ai valori che hanno
accomunato per tanti anni Awocati pur provenienti da orientamenti politici talvolta
opposti.
Ed allora coerenza vuole che, apparendomi Ia strada percorsa
ormai irreversibilmente diversa e finanche talvolta opposta a quella che mi ha indottoì
al i[.79 al2014 ad una costante adesione, debba terminare anche la mia esperienza
in una associazione nella quale, proprio perché non più capace di rispettare l'originaria
impostazione, non più riesco a riconoscermi...
Non pretendo di rubarVi altro tempo con una analisi di
tutti gli accadimenti che mi hanno fatto giungere gradualmente a questa
decisione, che vi assicuro, anche se questo farà sorridere tanti, sofferta;
d'altra parte la decisione di un singolo non potrà interessare più di tanto; vorrei
solo precisare, per evitare equivoci, maliziose interpretazioni o squallide dietrologie
(diventate ormai parte integrante negativa di quello che un tempo era il "nostro"
mondo) che quanto accaduto in epoca più recente costituisce soltanto ia classica
goccia che fa traboccare il vaso.
A chi avesse ancora voglia di proseguire nella lettura
, mi permetto di rammentare che la forza ed il prestigio dell'Unione delle Camere
Penali Italiane, e delle Camere penali territoriali che ne costituiscono
l'essenziale tessuto connettivo, derivano espressamente dalla progressiva
acquisizione di una sempre maggiore "soggettività politica", base essenziale
per l'interlocuzione con gli altri soggetti della giurisdizione, con la c.d.
"classe" politica, ma amche, e soprattutto, con l’opinione pubblica.
Un soggetto politico oggi, per mantenere credibilità,
non può non curarsi di avere una base
democratica: la stragrande maggioranza delle Camere penali
oggi, sempre a mio modo di vedere, è assolutamente carente sul punto ed i rappresentanti
di molte di queste dimostrano, nei fatti, di avere ben poca voglia di mutare tale
loro organizzazione. Un deficiì che si ripercuote inevitabilmente sull'assetto dell'Unione,
nella quale le territoriali sono federate. Se poi accade, come ritengo che sia accaduto
e stia accadendo, che dall'alto non ci si aweda e/o non ci si curi di questa patologia
o addirittura si finisca, da parte di alcuni, finanche per coltivarla e potenziarla,
le conclusioni sono fin troppo evidenti.
Di più. Un soggetto politico" deve essere diretto
con la consapevolezza di una collaterale
responsabilità politica dei "rappresentanti":
il ché significa che chi dirige deve necessariamente curare che vi sia un consenso,
ma anche accettare che vi possa essere una critica politica, la cui esistenza non
significa e non può essere interpretata, per usare una termine in questi giorni
molto di moda in altra associazione, delegittimazione. se chi dirige una associazione
forense politica (che è cosa totalmente diversa da un partito politico) predilige
le funzioni di ,,capo,, a quella più consona di "rappresentante", e non
è disponibile ad accettare il confronto e la critica con i rappresentati…pone egli
stesso le basi quando va bene per la disaffezione, per il disinteresse, l'assenza
di militanza
e, se va peggio, per l'abbandono o la liquidazione
degli scopi associativi.
Facendo così cessare la ragione stessa del nostro “stare
insieme", da cui deriva la definizione di "Unione" !!
Accettare una carica in un consesso democratico significa
anche sapere di dover essere sottoposto ad una valutazione politica del proprio
operato, senza considerare la critica una forma di diminutio o peggio una sorta
di lesa maestà. Anche perché l'esperienza dovrebbe insegnare che è molto più leale
chi apertamente manifesta e spiega i motivi di dissenso, rispetto a coloro che,
applaudendo acriticamente il momentaneo vincitore, magari saranno i primi ad ordire
alle sue spalle, preparando il terreno per la caduta.
Ma una associazione che si regga su una base democratica
ha una ulteriore necessità: avere spazi e momenti di confronto e scambio di idee
tra i soci e disporre di strumenti organizzativi per portare a conoscenza della
base le scelte e gli intendimenti dei vertici.
Nel corso degli anni anche la nostra "gloriosa"
Camera penale, che del concetto di democrazia interna e di trasparenza decisionale
aveva sempre fatto vanto, giungendo finanche ad "uscire" per molti anni
da UCPI non condividendone le, all'epoca preponderanti, politiche verticistiche
caratterizzate da pre-decisioni salottiere o di corridoio, ha progressivamente perduto
questa sua peculiare identità.
E' successo che, mentre altre Camere penali modificavano
in positivo la loro organizzazione (forse, aggiungo cedendo al campanilismo,
avendo come riferimento proprio la positiva esperienza romana), per una serie di
motivi che probabilmente nessuno di noi, me compreso, ha saputo esattamente comprendere
ed arginare,la Camera penale di Roma ha subito una involuzione.
E' inutile nascondercelo ed è senza senso cercare allo
stato di attribuire le colpe ora ad uno ora ad un altro. Da oltre un decennio
la CPR è stata letteralmente dilaniata da beghe interne, da rancori, da personalismi
di ogni genere, da esclusioni, da inibizioni , liste di proscrizione: sarebbe
stato un male già se tutto questo fosse stato "almeno" conseguenza di
opposte visioni "ideologiche" o "politiche"; è drammatico che
sia stato conseguenza di lotte individuali o di correnti.
Le "liste". Maledette le liste !
Quando , pur in assenza di una modifica statutaria
che le giustificasse (per esempio, collegandole, come per lo statuto Ucpi, ad
uno specifico ed articolato programma politico) si è iniziato a confezionare liste
eterogenee finalizzate solo alla conquista di voti, la situazione è
oggettivamente degenerata. Sono comparse nel linguaggio della CPR,
scimmiottando il peggio di certi COA e di quello romano in particolare, due
parole in precedenza sconosciute: “maggioranza" e "minoranza" (o,
peggio ancora) “governo" ed "opposizione"). Senza capire che le contrapposizioni
di principio, spesso incomprensibili a chi era estraneo a questi dibattiti surreali,
non potevano fare altro, come hanno purtroppo fatto, che danneggiare I'associazione,
bloccandone la crescita politica.
C'e' di peggio. Sono anni ed anni che i soci della Camera
penale di Roma non vengono
periodicamente convocati per essere resi partecipi
delle problematiche politiche ed organizzative
che i direttivi che si sono succeduti hanno dovuto affrontare;
inevitabilmente sempre minore è stato iI coinvolgimento dei soci iscritti e degli
awocati che, se resi edotti, si sarebbero potuti iscrivere (in particolare di giovani
colleghi, che invece, nelle rare occasioni o in casuali scambi di idee, mi sono
apparsi particolarmente interessati a capire, a conoscere, ad essere informati).
Sono anni ed anni che i Presidenti che hanno assunto tale
onere, con la corresponsabilità politica di tutti indistintamente i componenti dell'organo
collegiale costituito dal Direttivo, non hanno ritenuto loro dovere prioritario
informare sui rapporti con UCPI, sulle convocazioni del Consiglio delle Camere penali,
sulle decisioni assunte, sugli orientamenti emersi. Salvo improwisamente comunicare
ad una base sempre più distratta dai temi fondanti e sempre più attratta da
dinamiche sindacali, iniziative di astensione vissute più come occasioni di passeggiate
fuori porta e/o di insperate vacanze e/o opportunità di rinvio che di impegno militante.
Per la verità negli ultimi tempi un percorso diverso ed
in positiva controtendenza, era stato
intrapreso, ma è stato poi misteriosamente abbandonato.
Da ultimo, e non me ne vorrà I'amico Francesco Tagliaferri,
che non a caso ha avuto il mio
sostegno (ma non di lista!) nel corso dell'ultima tornata
elettorale, nonostante tutto Quello che sta accadendo (tale da paradossalmente giustificare
una assemblea al giorno), noi soci non veniamo politicamente coinvolti: dal delicatissimo
problema delle riforme statutarie che dovrebbero urgentemente attuarsi in ottemperanza
ad una decisione emersa nel congresso di Venezia, alla vicenda delle
intercettazioni, alle nuove disarmoniche ed involutive iniziative legislative di
stampo giustizialista, all'imminente pericolo di introduzione delle società di capitali,
allo snaturamento della funzione difensiva, alf incombenza delle fonti normative
sopranazionali ed al conseguente rischio di ritorno all'inquisitorio, alle deviazioni
dei processi mediatici, alla tragedia di Milano ed a
quello che ne è conseguito sull’ immagine dell'awocatura.
Ci siamo ritrovati a discutere solo in una drammatica occasione, quella conseguente
alla vicenda di Mafia Capitale, non seguita tuttavia da alcuna successiva iniziativa.
Eppure in quella unica occasione (l'assembleu di dicembre) la partecipazione era
stata foltissima ed il clima di reazione ad una ingiustizia era da anni '90.
Non è di conforto verificare, grazie anche ai nuovi mezzi
di comunicazione che ci consentono di interagire con tanti Colleghi (strumenti inspiegabilmente
trascurati proprio da chi dovrebbe, per le responsabilità assunte, «fare" comunicazione
e diffusione) che altre realtà territoriali stanno molto, ma molto, ma proprio
molto peggio e che, in fondo, Roma è "tra le mejo" (se non altro per un
lodevole costante impegno nell'ambito propriamente culturale e scientifico, al quale,
quando mi è stato proposto, qualche anno fa ho dato un modesto contributo).
Ed ancora meno è di conforto verificare quotidianamente
quanto ormai convivano forzatamente all'interno di UCPI due culture, anch'esse antitetiche,
che, senza una scelta di direzione politica e senza la consapevolezza della
responsabilità del ruolo (che vuol dire anche prima di tuo capire la situazione
oggettiva e cercarne i rimedi), stanno portando inevitabilmente alla fine indecorosa
di un progetto pluriennale. La recente vicenda della scelta del luogo congressuale
la dice lunga su quanto sia diversa la concezione del ruolo dell'Awocato e la
funzione dell'Associazione.
Ormai siamo caduti finanche nello spoils system, con tutte
le perniciose conseguenze che ne derivano: azzeramento per meglio distribuire e
punizione dei non allineati. In questa ottica è stato sacrificato finanche il neonato
importantissimo progetto di Unione delle Camere Penali Europee, votato all'unanimità
al Congresso di Trieste sulla base di una mozione da me predisposta e portata avanti
con encomiabile impegno da un past President di UCPI.
Ma che razza di "Unione" e mai questa ?!
Questo mondo non è il mio, non mi appartiene, non penso
possa più essere recuperato e per questo non ha per me alcun senso ulteriormente
rimanervi.
Ed il "bene" dell'Unione, che sento tanto invocato
per un giusto intento, non è però quello di accettare che si lasci fare in attesa
e nella speranza di tempi migliori. Soprattutto quando non viene più perseguito
lo scopo dell'associazione. Una cosa sono le fisiologiche divisioni sul "metodo",
che possono trovare, agevolmente ed intelligentemente, un momento di sintesi; ben
altre sono quelle sul "merito".
Cessando la mia qualità di socio della CPR, ritengo, conseguenzialmente,
anche per rispetto di Voi tutti, di non poter proseguire nell'occasione recentemente
offertami dal direttivo, tramite l'attivissimo Vincenzo Comi, di prendere parte
e dare il mio contributo ai lavori della Commissione sulla deontologia e tanto meno
penso di poter rappresentare il pensiero della CPR nell’iniziativa propostami dall'amica
Paola Rebecchi proprio su un tema così delicato, quale quello del ruolo e della
funzione dell'Awocato difensore per garantire effettività della difesa e per assicurare
il giusto peso alla difesa di ufficio ed ai doveri che derivano dall'assunzione,di
un siffatto delicatissimo incarico.
Ringrazio la Camera penale di Roma per quanto ha saputo
darmi in tutti questi anni di
militanza: è stato un continuo accrescimento umano e professionale,
una esperienza unica che mi auguro coinvolga nel futuro sempre più giovani leve,
pronte a riconoscersi in quegli ideali scolpiti nell'articolo 2 del nostro Statuto
UCPI (che, non dimentichiamolo, proprio qualcuno che oggi è stato chiamato ai
massimi vertici rappresentativi intendeva, solo pochi anni fa, stravolgere e piegare
agli "interessi dell'awocatura'con una radicale trasformazione
sindacal-corporativa).
Non occorre certamente aggiungere, almeno per chi mi conosce,
che essendo la mia una decisione fortemente critica, ma solo di natura strettamente
politica, resta immutata l'amicizia e la stima per ciascuno di Voi.
Parola "amicizia" che, presi dalle beghe e dalle
spartizioni, alcuni (troppi), forse avendo perso per strada anche una copia del
galateo, hanno ritenuto di mettere nel dimenticatoio.
Un caro saluto con l'auspicio che ciò che io valuto come
irrimediabile ed irreversibile
possa invece dimostrarsi di segno
contrario
AVV. DOMENICO BATTISTA
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