Chissà se questa rincorsa a ingraziarsi il leader, visto le pessime figure che comporta, sia poi gradita al destinatario. E' una domanda che mi viene in mente leggendo il quotidiano pensiero di Massimo Gramellini su La Stampa, titolato opportunamente Renzistenza...
Non amo Gramellini, nè il suo compagno di facile pensieri, vale a dire Fabio Fazio, però a volte ci azzecca.
Questa mi sembra una di quelle.
La Renzistenza
Sarebbe grottesco rimpiangere i riti melmosi della Prima Repubblica, ma democristiani e comunisti avevano un altro stile. Moro e Fanfani si pugnalavano dietro le quinte, però a nessuno dei due sarebbe mai venuto in mente di escludere il rivale da una cerimonia ecumenica del partito. E nel Pci il «centralismo democratico» obbligava i capi delle varie correnti invisibili a sedere sullo stesso palco, applaudendo ritmicamente le prolusioni sterminate del Signor Segretario. Ipocrisie, certo. Ma la vita politica (e non solo quella) è fatta di forme che rivestono una sostanza: la ricerca delle ragioni profonde per cui si sta insieme, pur facendosi ogni giorno la guerra. Nel Partito democratico queste ragioni semplicemente non esistono. Nemmeno la Resistenza, a quanto pare, lo è. Chi vince le primarie emargina gli sconfitti. Lo ha fatto Bersani, e ora Renzi. Colui che afferra il volante si proclama diverso, ma poi anche lui seleziona i compagni di viaggio in base al tasso di fedeltà. Dimenticandosi che alla lunga in politica (e non solo in quella) sono sempre i più fedeli a tradire.
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