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martedì 2 giugno 2015

ANCHE PER RICOLFI SI E' TRATTATO DI UN PAREGGIO

 

Luca Ricolfi ha traslocato da La Stampa - chissà se di sua iniziativa o perché poco in linea con la politica editoriale del giornale di Marchionne, azzerbinata all'attuale premier - e adesso scrive su il Sole 24 ore, quotidiano che però io non apro quotidianamente. Ogni tanto lo faccio proprio per vedere se il professore esperto di numeri e statistiche e che io reputo tra i migliori osservatori delle cose italiane ha scritto qualcosa.
Oggi non lo avevo fatto, ma una preziosissima e affettuosa amica, Caterina Simon, sapendo come la penso ( tra l'altro quasi sempre la pensiamo allo stesso modo...il che rende le cose più facili...) mi ha segnalato che Ricolfi aveva a sua volta commentato il risultato elettorale. Come ormai abitudine del blog, oltre a dire la nostra ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/addio-41-il-renzi-furioso-se-ne-va-in.htmlhttp://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/se-14-punti-in-meno-in-un-anno-per-la.html ) offriamo agli amici del Camerlengo una panoramica delle analisi dei migliori politologi italiani, specie in quetse occasioni. Abbiamo iniziato stamane con Polito ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/polito-renzi-pareggia-grazie-de-luca-ma.html ) e proseguiamo appunto con Ricolfi, che è d'accordo sull'idea del sostanziale pareggio (che io ho contestato, anocrché capisca perfettamente la validità delle osservazioni dei due osservatori), con tutti i distinguo del caso. Forse il termine giusto l'hanno coniato quelli della sinistra DEM. Si è trattato di una "non sconfitta", per richiamare la celebre "non vittoria" di Bersaniana memoria. 
Buona Lettura


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Un pareggio che nasconde molti segnali

di  




C’è un vincitore in questa tornata elettorale?
Direi di no, se usiamo il criterio che di solito si usa in questi casi, e cioè: contare quante amministrazioni sono passate da sinistra a destra (una, la Liguria) e quante da destra a sinistra (una, la Campania).

Che il match sia finito 1 a 1 non significa, però, che nulla sia cambiato. L’astensionismo è aumentato, il Movimento 5 Stelle ha dimostrato di essere vivo e vegeto, la Lega ha sfondato diventando il primo partito del centro-destra, Berlusconi è stato umiliato da Fitto in Puglia, il Pd ha avuto, in Liguria, un primo “assaggio” di quel che può succedere quando si sfida la minoranza interna.
Anche se non è stato un test su Renzi, il voto di domenica qualche segnale di tipo generale lo ha mandato comunque. Alcuni segnali dovrebbero preoccupare tutti: è il caso della bassissima partecipazione elettorale, segno che la disaffezione dei cittadini nei confronti della politica non è affatto rientrata.  
Altri segnali dovrebbero preoccupare Berlusconi: penso al successo del candidato di Fitto in Puglia, ma soprattutto alla esondazione della Lega, ormai saldamente insediata nelle regioni rosse, e pronta a sbarcare anche al Sud (il 2% in Puglia è un risultato tutt’altro che disprezzabile).  
Altri segnali, infine, dovrebbero preoccupare soprattutto Renzi. 
Il buon risultato del Movimento 5 Stelle, accoppiato con il calo della partecipazione elettorale, sembra incrinare il teorema renziano secondo cui la buona politica batte il populismo: se il teorema è vero, dobbiamo dedurne che quella di Renzi non è percepita, almeno fin qui, come buona politica. Quanto al successo della Lega di Salvini, credo che i segnali che porta con sé siano più d’uno, e tutt’altro che rassicuranti per il premier.
Di tali segnali io ne intravedo essenzialmente due. Il primo è che il tema “criminalità e immigrazione” sta tornando al centro del discorso politico, e su questo la sinistra appare, come sempre, del tutto incapace di articolare una risposta che non si riduca alla solita raffica di luoghi comuni.
Gli immigrati sono una risorsa, l’allarme sociale è fomentato dai media, gli stranieri non delinquono di più degli italiani, dobbiamo puntare su accoglienza e integrazione. La realtà, purtroppo, è che dopo la recessione del 2009 il numero totale di reati è tornato a crescere, e il tasso di criminalità degli stranieri, anche regolari, continua ad essere sensibilmente più alto di quello degli italiani.
Il secondo segnale è che, forse, anche l’attenzione verso i temi economici sta prendendo una piega non rassicurante per il governo. Spiace dirlo così crudamente, ma la mia impressione è che, all’elettore medio, le parole alate della politica sul sogno europeo, sui nuovi assetti istituzionali, sulle immense risorse morali del paese, appaiano un tantino prive di concretezza. Più che riforme, forse la gente si aspetta risultati. Incassato il bonus da 80 euro e l’azzeramento dei contributi sociali per i neo assunti, quello di cui il paese sente il bisogno è una ripartenza vera. Una ripartenza, cioè, fatta di cose che si toccano con mano, e non solo di promesse che si enunciano.
Può darsi che, per alcuni, tali cose che si toccano abbiano il sapore dell’assistenza, e per altri abbiano quello della responsabilità. E tuttavia non credo sia un caso che Lega e Movimento 5 Stelle, ossia le due formazioni che il voto ha premiato di più, abbiano puntato tante carte su temi economici concreti: reddito di cittadinanza, pensioni, euro, tasse, occupazione.
Ma c'è anche un ultimo segnale implicito nel voto di domenica, un segnale che non riguarda questo o quel partito, ma il funzionamento del sistema politico nel suo insieme. Le sconfitte speculari del centro-destra in Puglia, ma soprattutto del Pd in Liguria, mostrano quanto importanti, ai fini dell’esito del voto, possano risultare le divisioni interne dei due schieramenti. In vista delle prossime elezioni politiche sarà importante capire in che modo si orienteranno le preferenze dei cittadini, ma, forse, ancora più importante sarà capire come si strutturerà l’offerta politica. Se destra e sinistra si presenteranno unite, è probabile che al ballottaggio assisteremo a uno scontro “classico”, fra un listone con Pd e satelliti e un listone con Lega, Forza Italia e satelliti. Ma se uno o entrambi gli schieramenti dovessero andare al voto divisi, con diverse forze minori attratte dalla facile soglia di sbarramento del 3%, allora al ballottaggio potrebbero andare il Movimento Cinque stelle e il meno diviso fra i due schieramenti di centro-destra e centro-sinistra. Uno scontro non proprio classico, anche se non privo di illustri precedenti in altre democrazie (vedi la sfida fra Le Pen e Chirac alle presidenziali del 2002 in Francia).
Forse, il vero interrogativo che il voto di domenica consegna alla scena politica è quale dei due “mattei”, Matteo Renzi o Matteo Salvini, sarà più capace di evitare la disgregazione del proprio campo. Un compito che al momento appare più agevole per Renzi, ma che domani potrebbe risultare arduo per entrambi.

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