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martedì 9 giugno 2015

"LA PETULANTE RICHIESTA DI ONESTA' NELLA VITA POLITICA E' L'IDEALE CHE CANTA NELL'ANIMA DI TUTTI GLI IMBECILLI". FIRMATO : BENEDETTO CROCE

 

" Il giovane certo ha delle qualità: è serio, modesto, riflessivo, parsimonioso, devoto, onesto, studioso, dotato di senso della giustizia e della misura."
Di chi stiamo parlando ? Beh, secondo Alessandra Necci, autrice del saggio storico dedicato alla Francia di Talleyrand e Fouchè ( Il Diavolo zoppo e il suo Compare Image result for il diavolo zoppo ), niente di meno che del re poi ghigliottinato : Luigi XVI.
E prosegue 
"Sono doti sufficienti a fare di lui una persona perbene, non trasformarlo in grande monarca".
Chiunque sa un minimo di storia, definizioni così, di tantissimi personaggi, ne trova a iosa.
Perché l'onestà, l'essere perbene, sono doti caratteriali, non precipuamente politiche e ancor meno di governo.
Certo, se poi l'uomo chiamato a gestire la cosa pubblica è pure onesto, oltreché capace, tanto meglio.
Ma non è - per me - una condizione necessaria e sicuramente è del tutto INSUFFICIENTE, qualora ci fosse solo quella.
E' un concetto sul quale torna Giovanni Belardelli, commentando quando accade a Roma da un (bel) po'.
Con certezza, la storia della "mafia", per poter appioppare le misure cautelari gravissime previste per questo tipo di criminalità è una invenzione - e quindi ritengo un abuso - del procuratore di Roma.
Allo stesso tempo, che a Roma il sottobosco amministrativo, con tutte le varie succursali di cooperative e partecipate, sia un magna magna che nemmeno Gargantua di Rabelais, è roba di scienza comune.
A Roma TUTTI lo sanno, e fanno spallucce. Anche perché troppo spesso chi si lamenta, lo fa perché è escluso dalla greppia.
E non parlo solo dei livelli alti. Parlo dei non raccomandati, degli esclusi, che non strillano perché ci sono i corrotti e i privilegiati, ma perché loro NON fanno parte della cerchia. E allora, siccome "nun me tocca, manco all'artri !".
Di "buono" da noi c'è poi l'assenza di qualsiasi discriminazione ideologica - partitica. Sinistra, destra, centro...vanno tutti bene.
Ad un certo punto fa anche ridere leggere come i Buzzi e i Carminati fossero alla fine anche un po' "indignati", oltreché stupiti, dalla mancanza di qualsiasi pudore, scrupolo, remora da parte dei contattati. 
Altro che mafia, con corredo di minacce, intimidazioni e roba del genere...
Questi facevano la fila per essere coinvolti !
E quelli rimasti fuori, sembrano più degli ignavi che degli onesti, e francamente solo la faccia di tolla della Serracchiani può continuare ad andare in TV a difendere Marino e la sua giunta.
Non perché io voglia che cada, come sbraitano i grillini, soprattutto,   ché alla fine sono contento se va via Ignazio ma non vedo grandi alternative all'orizzonte. Ma perché difendono l'indifendibile, tanto è palese che l'unica ragione per cui sostengono il Sindaco è perché è dei loro, e nuove elezioni potrebbero perderle (a favore dei 5 Stelle, Madonna del Carmine...).
La riflessione di Belardelli è interessante, specie nella parte in cui ricorda come per tanto, troppo tempo ci siamo sorbiti le prediche di quelli di "sinistra", appunto gli "onesti". Ammappali !! 
Va detto che da un po' si sono un po' calmati, ché la trasversalità della cosa è talmente diffusa, equanime, che solo i partigiani più fegatosi ed ottusi continuano a recitare il mantra dei "diversi perché migliori".
Buona Lettura



Il Corriere della Sera - Digital Edition

In politica essere onesti è un obbligo 
Ma non basta
 
 Dopo tante inchieste sulle malefatte degli amministratori, bisogna chiedersi perché nulla sia cambiato: come diceva Croce, non basta invocare le virtù personali, occorrono strategie adeguate
di Giovanni Belardelli




 

 Dopo vent’anni di inchieste giudiziarie sulle malefatte dei politici e di denunce della corruzione formulate anche in sedi autorevolissime (dai più alti scranni della Repubblica al soglio di Pietro), ancora a questo punto siamo? Questo è ciò che mestamente devono essersi domandati tanti italiani, sempre meno fiduciosi circa la possibilità che si possa quanto meno ridurre l’intreccio tra politica e malaffare. È uno stato d’animo comprensibile ma che andrebbe superato, per cominciare a chiedersi se non ci sia stato anche qualcosa di sbagliato nel modo in cui per tanti anni abbiamo evocato la «questione morale». Una parte del mondo politico e dell’informazione, prevalentemente orientata a sinistra, lo ha fatto, ad esempio, accreditando l’idea che ad essere disonesti fossero gli «altri», i politici — e dietro di loro, si lasciava intendere, gli elettori — di centrodestra. Era l’idea di una frattura antropologica tra destra e sinistra che, prima ancora di Mafia Capitale, altri scandali bipartisan si sono incaricati di dimostrare infondata; ma è tuttavia un’idea cui una parte del Paese ha creduto a lungo, evitando anche per questo di riflettere seriamente sulle ragioni per cui in Italia guardiamo spesso con indulgenza e comprensione a certi comportamenti illegali.
Osservò una volta Benedetto Croce che la «petulante richiesta» di onestà nella vita politica è l’«ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli». Personalmente onestissimo, Croce non voleva certo fare l’apologia della disonestà in politica ma segnalare come l’appello all’onestà sia di per sé insufficiente a risolvere i mali della politica, che hanno anzitutto bisogno di rimedi — appunto — politici. 

 Invece — ecco un altro errore di questi decenni — il sentimento «anticasta», pur animato da sdegno giustificatissimo per i privilegi e le malefatte del ceto politico, ha diffuso nel Paese l’idea che della politica e dei partiti si possa fare a meno, per affidarsi ai controlli e alle inchieste della magistratura, magari con un inasprimento delle pene cui pochi peraltro riconoscono una vera capacità dissuasiva.
Le notizie che si vanno pubblicando sull’inchiesta di Mafia Capitale mostrano, al di là di quelle che saranno poi le risultanze finali dei processi e al di là della congruità (per molti dubbia) del riferimento alla mafia, la qualità scadente del ceto politico locale, romano e non solo. Come lasciano trasparire anche altre inchieste di questi anni, si tratta spesso di un personale politico (quasi esclusivamente maschile: sarà un caso?) privo di ogni aspirazione od obiettivo di natura politica, come non era invece nella Prima Repubblica, che avrà avuto molti difetti ma non questo.
Quanti sono coinvolti nelle inchieste di cui si occupano i giornali in questi giorni sembrano infatti spinti in via esclusiva da miserabili aspirazioni di arricchimento personale: se non è (solo) il denaro, sono magari le assunzioni di parenti e amici (chi ne chiede due, chi tre, chi dieci). Il fatto è che un tempo l’accesso alle carriere politiche locali operava dentro un quadro di relazioni e controlli nazionali che ormai non esistono più o si sono indeboliti notevolmente. Tranne evidentemente nel caso delle primarie per il Pd, che però hanno spesso finito con l’esaltare proprio il potere e l’influenza dei «capibastone» (il termine era usato tre mesi fa da Fabrizio Barca in quella sua diagnosi sul Pd romano «pericoloso e dannoso» di cui forse i vertici del Nazareno avevano sottovalutato la drammaticità). Se le cose stanno così, i partiti — e in primo luogo, il principale partito di governo — non possono limitarsi alla (ovvia) esortazione affinché la giustizia faccia il suo corso, ma dovrebbero prendere delle decisioni politiche adeguate. Il Pd, in particolare, dovrebbe rendersi conto di quanto sia poco giustificabile agli occhi dell’opinione pubblica continuare a sostenere il sindaco Marino solo perché non personalmente coinvolto nell’inchiesta giudiziaria.
Non c’è bisogno di citare ancora Croce per osservare che l’onestà personale non è sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica.

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