Continua la propaganda anti germanica della stazione RADIO RADIO, nella trasmissione "Un giorno Speciale" condotta da Stefano Molinari (Vergovich, il predecessore, aveva altra professionalità. L'attuale è un partigiano assoluto, e quindi fazioso, delle proprie tesi). Oggi c'era un professore di economia, tale Alberto Bagnai, di Tor Vergata (...), che spiegava una curiosa concezione del capitalismo dove i creditori sono quelli che hanno del denaro di cui non sanno che farne e i debitori volenterosi imprenditori con idee ma senza soldi. I secondi si rivolgono ai primi, e se il progetto funziona sono tutti contenti : chi farà fruttare il proprio denaro, chi le proprie idee. Ma se non va bene, allora, questa la chiosa originale, i creditori se la devono prendere con se stessi, che hanno valutato male il rischio...e quindi devono rassegnarsi alla perdita dei soldi prestati, in parte se non addirittura completamente... Vi assicuro che ha detto proprio questo...
Ora, sicuramente chi presta denaro, o facendo il banchiere o investendo nei mercati, corre il rischio di perdere il proprio capitale, però in nessun sistema del mondo questo è automatico : il creditore ha comunque diritto a provare legalmente a recuperare il proprio investimento. Dopodiché, se il debitore fallisce, amen. E nel caso il fallimento sia incolpevole - il cd. debitore sfortunato - , senza condotte truffaldine (volte proprio a frodare i creditori, tra cui non solo i finanziatori ma anche i fornitori quando non addirittura i lavoratori dipendenti), nessuna sanzione giuridica è prevista per il debitore non in grado di restituire i soldi. Almeno da noi è così : non si va in prigione per debiti.
Però da qui a immaginare un capitalismo in salsa partenopea, tipo "chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdummuse 'o passato...", ce ne corre.
Agli ascoltatori che mandavano messaggi basiti, contestando tra l'altro lo story telling per il quale i malvagi erano i tedeschi, presi da pulsioni vetero naziste (il tema della trasmisisone era proprio questo : "secondo voi la condotta della Germania ha matrici egemoniche simili al nazismo ?" ) , il professore Bagnai e il conduttore Molinari rispondevano, con un certo arrogante disprezzo, che quei signori erano condizionati dalla prevalente propaganda dei media, e dividevano il mondo con tutti i cattivi da una parte, i debitori greci, e i buoni dall'altra, i rigorosi tedeschi.
E loro invece non fanno esattamente la stessa cosa, semplicemente invertendo i ruoli ?
Ma entrando nel merito, ecco che a fagiolo arriva un dotto articolo di Alessandro Fugnoli che spiega come la remissione dei debiti, non nuova nella storia (sempre suggestivi e istruenti gli excursus dell'esperto di cose finanziarie, ma evidentemente non solo), non risolverebbe una beneamata mazza (per usare una espressione cara a Molinari...) del problema greco. Cosa accadrebbe infatti, assai modestamente, m'interrogavo io, nei giorni passati, se il debito di Atene venisse formalmente (di fatto, già praticamente lo è) azzerato ? La Grecia sarebbe in grado di far funzionare la propria economia ? Un opinionista del FT esplorava questa eventualità, e immaginava a quel punto la BCE anticipatrice alla banche - a quel punto però NON più greche...ancorché operanti sul territorio ellenico - del solo capitale preventivabile dalle future entrate fiscali, e NON altro. Il resto, ché certo il gettito dell'erario non basterebbe a mandare avanti il paese con le regole cui si è abituato, i greci provassero a chiederlo ai mercati.
E vediamo se ritrovano creditori "non accorti".
Buona Lettura
DEBITA NOSTRA
Teoria e
pratica della remissione dei debiti
Jubilaeus. Giubilare, in italiano, ha il doppio
significato di festeggiare e rimuovere. Curiosamente la stessa ambivalenza
esisteva nell’antico Egitto. Secondo alcuni storici i primi faraoni, una volta
raggiunta una certa età che li rendeva incapaci, venivano eliminati
fisicamente. Durante le cerimonie funebri i sacerdoti auguravano al faraone
defunto di ricevere grandi festeggiamenti nell’aldilà. A un certo punto,
tuttavia, i faraoni si rafforzano e riescono a portare nell’aldiquà i
festeggiamenti. Al compimento del trentesimo anno di regno si svolgono così le
grandi feste del Sed, la prima forma di giubileo.
L’uso del giubileo viene ripreso a Babilonia e assume, oltre
al valore religioso, un carattere economico. A un certo punto del suo regno il
re dichiara la remissione dei debiti, il ritorno delle terre agli antichi
proprietari espropriati dai creditori e la liberazione degli schiavi resi tali
per debiti.
Il doppio carattere
religioso ed economico del giubileo ritorna evidente nel Levitico, che
prescrive un anno sacro di rigenerazione, rinascita e remissione dei debiti
ogni sette anni sabbatici, ossia ogni 49 anni. Nel momento in cui il suono
delle trombe annuncia in tutto il regno il giubileo gli schiavi tornano liberi
e le terre espropriate vengono restituite agli antichi proprietari. Lo stesso
concetto di cancellazione della pena per i peccati e di nuovo inizio è alla
base del giubileo cristiano istituito da Bonifacio VIII nel 1300.
Poiché però, come dice Kant, da un legno storto com’è
quello di cui l’uomo è fatto non può uscire niente di interamente diritto,
l’applicazione pratica del giubileo ha spesso lasciato a desiderare.
E così gli
Ebrei, appena arrivati a Canaan, fanno in modo di calcolare l’anno del giubileo
così da non dovere restituire ai Cananei le terre appena riconquistate. Nel
tempo, inoltre, trasformano la proprietà della terra espropriata ai debitori in
qualcosa di molto simile al leasehold della common law. Il valore della terra e
quello di uno schiavo diventano cioè sempre minori man mano ci si avvicina
all’anno del giubileo e la razionalità economica torna a prevalere sul
significato religioso. Ben presto, in ogni caso, l’osservanza della
prescrizione del Levitico viene abbandonata definitivamente. Quanto al giubileo
cristiano, l’aspetto tristemente terreno della vendita delle indulgenze durante
l’Anno Santo del 1500 indigna il monaco Lutero e fa germogliare nella sua testa
la teoria rivoluzionaria della giustificazione per fede, uno dei capisaldi
dalla Riforma.
Remissione salvifica. Ai giorni nostri, nell’Occidente in crisi fiscale, torna
sempre più forte l’idea di una sorta di grande giubileo finanziario in cui il
debito viene ristrutturato, condonato o ripudiato. L’aspetto paradossale è che
questa idea prende forza nel momento in cui i tassi sono a zero, le banche
centrali monetizzano attraverso il Qe tutto il deficit pubblico annuale (e
qualcosa di più) e in cui il rinnovo del debito in scadenza è reso molto
semplice dall’abbondanza di liquidità. Che la vita per i debitori (parliamo qui
di quelli grandi, non dei piccoli) non sia così difficile ce lo ricorda tutti i
giorni Krugman, che sostiene che il debito è bello e che bisogna farne di più,
visto che non costa niente.
Nonostante questo,
nella periferia europea, il tema del debito è entrato nelle piattaforme di
tutti i movimenti radicali ed esercita una forte suggestione sull’opinione
pubblica. L’idea di fondo è che una volta ridotto o eliminato il debito le
economie e le società saranno in grado di voltare miracolosamente pagina e
rigenerarsi.
Il debito di cui si parla nel dibattito politico è sempre e
solo lo stock di debito lordo. Nessuno distingue mai tra lordo e netto (quello
che scomputa il debito pubblico detenuto da istituzioni pubbliche, inclusa la
banca centrale), anche se in Giappone, per fare un esempio, il lordo è al 250 e
il netto è a un molto più accettabile 150 per cento del Pil. Nessuno distingue
tra valore nominale e net present value, il fatto cioè che 100 euro da pagare
domattina pesano e valgono di più di 100 euro da pagare tra 50 anni. Nessuno si
prende il fastidio di calcolare e attualizzare gli effettivi flussi di cassa,
che possono essere tranquillizzanti o allarmanti a seconda dei casi. Nessuno
distingue tra debito dovuto al mercato e debito dovuto a entità statuali o
sovranazionali. Nessuno compara lo stock di debito con lo stock di attività
reali che potrebbero garantirlo.
Nessuno, in ogni caso, spiega come potrebbe ripartire
velocemente un’economia sgravata dal debito se non contraendo nuovo debito. E
con chi?
In questo clima di crescente irrazionalità quanto deve
preoccuparsi un detentore di debito europeo? Molto poco finché rimane attiva la
Bce come compratore di ultima istanza, certamente di più in caso contrario.
Il caso greco. Il debito greco è quasi tutto sigillato dentro un circuito
chiuso con le istituzioni europee. I creditori sanno che nelle circostanze
attuali è inesigibile e che il servizio del debito dovranno farselo da soli,
prestando alla Grecia i soldi per le cedole e i rimborsi. In questa costruzione
totalmente artificiale che il debito greco sia del 100, 200 o 300 per cento del
Pil ha un valore simbolico e politico (sia per il debitore sia per i creditori)
ma non ha valore economico. Se il debito venisse cancellato e la Grecia fosse
comunque tenuta al pareggio di bilancio, il beneficio pratico per il debitore
sarebbe vicino a zero (l’onere per interessi è molto basso). Diverso sarebbe il
caso se la Grecia intendesse ritornare in deficit di bilancio. In questo caso,
però, chi la finanzierebbe? Nessuno, a meno di non ripristinare la sovranità monetaria, tornare alla dracma e farsi
finanziare dalle rotative della Banca di Grecia.
Dracma. Chi va ogni
tanto al supermercato sotto casa potrebbe avere notato che la feta, il tzatziki
e lo yogurt presentati come greci sono in realtà molto spesso prodotti dalle
fiorenti industrie casearie di Danimarca, Francia e Germania. La Grecia, in
altre parole, fatica a essere competitiva anche sui suoi prodotti tipici. In
pratica, semplificando, si può dire che la Grecia esporta solo turismo, mentre
importa tutto il resto.
Una svalutazione del 50 per cento
di un’ipotetica dracma renderebbe più competitivo il turismo, ma raddoppierebbe
il costo in dracme di tutte le importazioni. Il turismo in più sarebbe però un
turismo povero che allontanerebbe almeno in parte il turismo ricco.
Verosimilmente, quindi, la svalutazione, lungi dal renderla più competitiva,
riporterebbe la Grecia al passivo delle partite correnti. I greci lo sanno
benissimo ed è per questo che sono tutti contrari a riprendersi la sovranità
monetaria, cioè alla dracma. Pagherebbero il doppio le loro automobili in cambio
di qualche soldo in più dai campeggiatori.
Unione dei
trasferimenti. La
vicenda greca avrà anche mostrato il volto peggiore dell’Europa, ma ha
costituito di fatto un passo ulteriore verso il modello di Eurozona tanto
osteggiato dai tedeschi, quell’unione dei trasferimenti in cui gli stati ricchi
trasferiscono risorse a quelli poveri. Negli Stati Uniti i trasferimenti
avvengono in modo automatico attraverso l’enorme macchina federale e i sistemi
pensionistico e sanitario centralizzati. In Europa vanno invece contrattati
volta per volta, ma avvengono. La Grecia, del resto, è costata finora 400
miliardi di euro al resto dell’Eurozona e molti altri ne costerà nei prossimi
anni.
La Germania sa perfettamente che dovrà spendere sempre di
più per l’Europa in cambio di un potere di veto decrescente e cerca di
centellinare le concessioni. È però già nel cassetto un’indennità federale di
disoccupazione, magari finanziata con una tassa federale sulle transazioni
finanziarie. La Germania, un paese con il pieno impiego, sarà pagatore netto.
Anche l’unione bancaria, con l’annesso sistema federale di garanzia dei
depositi, avvantaggerà la periferia a spese del centro.
In pratica. La fase acuta della crisi greca è
chiaramente terminata (Fugnoli sempre ottimista...ndC).
Restano da definire molti aspetti importanti, ma non
decisivi. Non merita troppa attenzione la disputa sulla ristrutturazione del
debito greco tra il Fondo Monetario a conduzione franco-americana e la
Germania. È una disputa tutta politica che non ha lo scopo di aiutare la Grecia
ma quello di mettere in difficoltà la Germania per avere concessioni su altri
fronti. Il Fondo Monetario, del resto, non ha mai ristrutturato nulla e si e sempre
limitato a riprofilare di tanto in tanto il debito dell’Africa francofona, un
debitore ben più debole della Grecia.
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