Nei giorni in cui le proiezioni sul PIL vengono corrette al ribasso, la Corte dei Conti dice, come ogni anno, che la Spending Review non esiste, la domanda dei consumatori resta insufficiente e infatti l'occupazione stenta, al netto dei litigi statistico numerici tra INPS - più "ottimista" - e ISTAT, Renzi s'imbarca in un pericolosissimo duello contro Berlino e Bruxelles, non si sa quanto a fini propagandistici interni o per vera follia egocentrica, leggere Fugnoli, che almeno ci rassicura sulla narrazione globale, pure per lo più funesta nella quasi totalità dei media, è una boccata d'ossigeno.
PICCOLI INDIANI
Dieci
sciagure incombenti, alla fine nessuna
di Alessandro FUGNOLI
Nelle
prime settimane del 2016 otto invitati che non si conoscono tra loro approdano
alla spicciolata su un’isola battuta dal vento e dalle maree al largo del
Devon. Sono ospitati da due servitori che abitano l’unica casa presente
sull’isola. I proprietari sono assenti e di loro si è persa ogni traccia.
Nelle loro camere
ospiti e servitù trovano incorniciata sul muro una filastrocca inquietante.
Parla di dieci piccoli indiani. A ogni strofa ne muore uno e alla fine non ne
rimane nessuno.
Il primo
personaggio a mettere piede sull’isola è la geopolitica. Nella valigia
porta la bomba all’idrogeno nordcoreana, che fa tremare l’Asia orientale, e
l’assalto all’ambasciata saudita in Iran, che fa subito pensare a un’ulteriore
escalation nel grande conflitto tra sunniti e sciiti. Gli incidenti di
Capodanno a Colonia e in altre città tedesche emergono a poco a poco come una
prova generale del fallimento delle politiche europee di accoglienza e mettono
in grave difficoltà la Merkel
nel suo partito e nell’opinione pubblica proprio mentre si profila un’ondata
imponente di rifugiati. Si parla di un dopo- Merkel guidato da uno Schauble
intenzionato a usare i fucili per respingere i profughi e, già che c’è, a usare
ogni mezzo per mettere in ginocchio l’Italia.
A metà febbraio la questione geopolitica risulta però
depotenziata. La Corea
del Nord non ha una bomba degna di questo nome, sauditi e iraniani non si sono
dichiarati guerra e sembrano anzi iniziare a discutere su come collaborare per
fare risalire il prezzo del petrolio. In Germania la Merkel ha ripreso in mano
partito e coalizione e i piani di Schauble sull’Italia dovranno comunque
passare prima sul tavolo della cancelliera. Schengen è in crisi, ma la facciata
resterà in piedi. Quanto alla ribellione polacca, la Merkel ha già iniziato
l’addomesticamento.
La mattina del 18 febbraio il Brent viene scambiato a 34.80 dollari, non così lontano, a ben vedere, dai 35.75 del 31 dicembre. La domanda globale continua a crescere, mentre dal lato dell’offerta qualcosa, come abbiamo visto, comincia a muoversi.
Il terzo ospite ad
arrivare sull’isola in gennaio è la
Cina , con un seguito imponente di problemi che vanno
dal cambio in procinto di crollare alle sofferenze bancarie sul punto di
esplodere, passando per le riserve valutarie saccheggiate dagli esportatori di
capitali e per una crescita vista vicina al collasso.
Al 18 febbraio il
renminbi offshore, a 6.52, sta però sullo stesso livello del 25 agosto. Verso
euro il renminbi è oggi del 4 per cento più forte rispetto ad agosto. Se dunque
il renminbi sta crollando, l’euro sta crollando del 4 per cento in più. Nel
frattempo si è scoperto che la fuga di capitali è provocata da società cinesi
che rimborsano in anticipo i loro debiti in dollari raccogliendo l’equivalente
in renminbi. Alla fine la posizione finanziaria della Cina risulta addirittura
rafforzata.
Il quarto piccolo
indiano, i fallimenti, sbarca come Nosferatu da una imbarcazione invasa
dai topi e dalla peste. La lista delle possibili vittime che circola nei
mercati copre quasi interamente il mondo del petrolio (incluse alcune delle
major), le società minerarie e un numero imprecisato di paesi sovrani
produttori di materie prime. I fallimenti ipotizzati, naturalmente, sono
destinati a trasmettere il contagio alle banche e agli obbligazionisti che li
hanno finanziati, creando una generalizzata crisi di fiducia
Al 18 febbraio non
risultano però fallimenti degni di nota, né corporate né sovrani. Gli analisti
oil di Goldman Sachs, dal canto loro, sono andati a guardarsi meglio la
situazione finanziaria delle società che seguono e hanno scoperto che un terzo
non ha nemmeno un rimborso obbligazionario da effettuare nei prossimi tre anni,
mentre due terzi, con il greggio a 35, hanno più cassa che debiti. Non
escludiamo certo la possibilità di fallimenti, ci mancherebbe, ma il fatto che
possano essere scaglionati nel tempo ne potrebbe diminuire l’impatto in misura
significativa.
Il quinto piccolo
indiano, un’ondata di chiusure forzate di fondi high yield, è stato
previsto un mese fa da Jeffrey Gundlach, un gestore molto brillante e molto
seguito. Non comprate bond ad alto rendimento, aveva detto, anche se il
debitore dovesse apparire in grado di pagare. La crisi di liquidità che
coinvolgerà in rapida sequenza i fondi dedicati al settore li costringerà a far
fronte ai riscatti vendendo tutto, con effetti a valanga su tutto il comparto.
Al 18 febbraio non
risultano però nuove chiusure forzate dopo quelle, isolate e circoscritte, che
si erano viste all’inizio di gennaio.
Sesto piccolo indiano sembravano essere gli utili,
previsti in contrazione in America per effetto del dollaro forte e della crisi
del comparto petrolifero e in Europa per effetto della crisi cinese.
Senza essere per
nulla spettacolari, gli utili si sono però rivelati stabili sia in America sia
in Europa. I mercati, nel loro desiderio di farsi del male, hanno allora
diretto lo sguardo alle previsioni di medio termine comunicate dalle società.
Previsioni prudenti visto il clima generale e considerato che i manager che si
sono mostrati ottimisti sono stati immediatamente presi per matti e quindi
comunque puniti da quotazioni in discesa.
Il settimo
arrivato sull’isola, le banche, ha creato nei mercati una situazione di
vera e propria psicosi. L’incendio è divampato senza cause che non fossero note
da mesi, se non da anni. La cosa che stupisce di più è che il contagio sia
arrivato alle banche americane, certamente non redditizie come una volta, ma
sicuramente solide. Ci si è dovuti inventare un’esposizione delle banche al
settore petrolifero di gran lunga superiore a quella reale, che è modesta.
Nonostante la
psicosi, però, non ci sono state le paventate file agli sportelli per prelevare
né salvataggi interni dopo quelli che hanno coinvolto quattro piccole banche
italiane e il Novo Banco portoghese. Draghi e Schauble, dal canto loro, hanno
escluso che le banche chiacchierate abbiano davvero bisogno di aumenti di
capitale.
Ottavo piccolo indiano sbarcato sull’isola della paura è la recessione
nel manifatturiero, prodromica di una recessione globale. Effettivamente,
nel quarto trimestre c’è stato segno negativo nella produzione industriale di
molti paesi e un marcato rallentamento in altri. Il taglio degli investimenti
in attrezzature per il settore dell’energia e delle miniere ne è stato la causa
principale, ma c’è stato anche uno smaltimento di scorte e si è vista qua e là una
domanda debole anche in alcuni comparti dell’elettronica e dell’abbigliamento.
Su questo si è poi lavorato molto di fantasia e ci si è dilettati per qualche
settimana a calcolare le probabilità di una recessione globale. Per avere il
senso delle proporzioni, si ricordi però che la contrazione del manifatturiero
è stata nel quarto trimestre dell’uno per cento. Nel 2008- 2009 era stata a un
certo punto del 35 per cento.
Il bel dato
americano relativo a gennaio mostra però un recupero del manifatturiero dello
0.9 per cento. Più in generale, il Pil americano del primo trimestre sta
viaggiando a una velocità annualizzata del 2 per cento contro lo 0.7 del
quarto.
Nono piccolo
indiano è stato nell’ultima settimana lo spauracchio di tassi negativi anche
in America. Nella sua psicosi il mercato ha voluto leggere la discussione tra
il Congresso e la Yellen
sulla possibilità legale di tassi negativi e sull’eventuale necessità di una
modifica nella legislazione come il segno inequivocabile del fervore con cui si
si sta preparando a un’imminente e inevitabile recessione anche in America.
In realtà
Decimo piccolo
indiano, l’ultimo ad arrivare sull’isola, è stato l’oro, balzato nei
giorni scorsi del 17 per cento rispetto all’inizio dell’anno. È la conferma
ufficiale, si è subito detto, della totale perdita di controllo della
situazione da parte delle banche centrali e di una crisi di fiducia
generalizzata (i mercati hanno paura di tutto, abbiamo letto a un certo punto
in un commento su Bloomberg).
Da parte nostra
pensiamo da tempo che l’oro abbia buoni fondamentali di lungo periodo, se non
altro per il fatto che è clamorosamente sottopesato nei portafogli e per la
maggiore turbolenza che caratterizza sempre la seconda metà di un ciclo
espansivo. La fine del mondo non essendo però prossima come si pensava una
settimana fa, per comprare oro sarà meglio attendere momenti di debolezza.
Nel giallo di
Agatha Christie la polizia ritrova i corpi di tutte e dieci le vittime. Nel
nostro caso alcuni dei dieci piccoli indiani risultano al momento dispersi.
Alcuni di loro potrebbero essersi nascosti nelle grotte dell’isola, pronti a rientrare di nuovo in gioco nel corso
di questo 2016 che si preannuncia animato e ricco di colpi di scena.
Al momento, però,
i contadini lunghi stanno inseguendo con i forconi i nomadi short che hanno
fatto tutte le incursioni che volevano nelle scorse settimane. La ritirata
degli short è precipitosa perché all’improvviso tutti i dieci fattori che
abbiamo elencato sembrano avere cambiato di segno. Ci aspettiamo quindi
altri recuperi in overshooting. Non ci sono solo gli short da incalzare coi
forconi ma anche i nuovi sotto pesati, quelli che hanno venduto troppo nelle
scorse settimane per paura del peggio e che ora si scoprono troppo leggeri. E
si sa che, in questi casi, non si fanno prigionieri.
Il rialzo, a un certo punto, sarà vittima del suo successo
perché la Fed ,
vedendo i mercati di nuovo in salute, ritirerà fuori dal cassetto il suo
programma di rialzo dei tassi. Poiché però lo shock delle scorse settimane è
ancora fresco, è possibile che la
Fed salti il rialzo di marzo e aspetti giugno. In questo caso
gli short si troveranno a dovere restituire gran parte del bottino che hanno
accumulato nelle recenti razzie.
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