Questo articolo Fugnoli, il mago dell'ottimismo finanziario, l'ha scritto la settimana scorsa, e le cose non erano certo brillanti. L'anno 2016 promette di essere uno di quelli decisamente NO per la Borsa, come sono stati in passato il 1985, il 2001, il 2008, e sicuramente me ne scordo almeno uno negli ultimi 30 anni.
Avendo attraversato tutte queste grandi crisi, so che Fugnoli ha ragione. Anche stavolta il mondo non finirà. Certo, anche quelli prudenti e pazienti, usciranno dalla tempesta acciaccatelli. Ma anche questa passerà.
Ciò posto, sono curioso di leggere cosa scriverà giovedì prossimo, 11 febbraio, dopo l'inizio infernale di questa settimana...
Servono nervi saldi, ché già il Cigno Nero non è una passeggiata, quando arriva da solo. Se poi lo evochiamo di continuo...
E CONSENSU GENTIUM
Le cose vanno male perché tutti dicono che vanno male
Dice Carl Weinberg che quando parla della Cina citando i
dati ufficiali sulla crescita (buona) e sulle sofferenze delle banche (sotto
controllo) tutti lo guardano come un matto. Weinberg chiede allora che numeri
abbiano i suoi interlocutori per arrivare a dire che la Cina è sull’orlo del
collasso. Nessuno, rispondono loro regolarmente, ma che le cose stiano andando
molto male è quello che stanno dicendo tutti.
Possiamo divertirci a sostituire la Cina con le banche italiane,
con la manifattura globale, con l’esposizione al petrolio delle banche
americane che scendono a rotta di collo (sono quelle che dovevano salire per
via del rialzo dei tassi). Tutto va chiaramente male, ma quando si chiede di
argomentare la negatività, la risposta è, invariabilmente, che tutti sono
negativi e che quindi qualcosa di vero ci deve essere per forza.
Chi ha letto The Big Short (o ha visto il film, La Grande Scommessa )
ricorderà la figura di Michael Burry, il medico diventato gestore che nel 2005
si prende la briga di andare a guardare uno per uno una serie di mutui subprime
e scopre che sono quasi tutti pericolanti. Quando propone in giro di mettersi
al ribasso su questi titoli tutti lo guardano come un matto anche quando mostra
i dati che ha trovato. Il mercato va benissimo, dicono i suoi interlocutori, ed
è impossibile che crolli. E perché? Perché così stanno dicendo tutti.
Lo diciamo subito, non consigliamo a nessuno di avere la
cocciutaggine di Michael Burry e non avremo mai il coraggio (che ebbe lui) di
andare contro tutti mettendoci soldi e reputazione. Del resto, per un Burry che
tiene duro per tre anni e alla fine si porta a casa una montagna di soldi, ce
ne sono mille che si fanno venire l’esaurimento
nervoso e chiudono prima, perdendo invece di guadagnare. Lo scoprì anche Keynes
che infatti scrisse, dopo avere perso quasi tutti i suoi soldi, che i mercati
possono avere torto più a lungo di quanto voi possiate permettervi di avere
ragione.
E non invidiamo molto nemmeno gli obbligazionisti che rifiutarono di
ristrutturare il debito argentino. Alla fine avranno più soldi di quelli che si
piegarono, ma al prezzo di 15 anni d’inferno.
Preferiamo invece seguire
l’insegnamento di Guglielmo da Baskerville (Il Nome della Rosa, Sean Connery
nel film), il francescano amante della scienza che ricorda al suo giovane
discepolo che è inutile finire sul rogo per difendere le proprie idee.
Meglio coltivarle con prudenza, rendere omaggio formale al consenso e aspettare
tempi migliori.
Tradotto in pratica, si tratta di accettare il 2016 come un
anno di ritracciamento delle borse, di riposizionamento su livelli più
difendibili, di politica monetaria americana meno espansiva, di profitti che
crescono poco, di sfide difficili per la Cina che deve gestire ordinatamente la
liberalizzazione dei movimenti di capitale, per l’Italia che deve rafforzare le
sue banche e per la Merkel
che deve tenere insieme un’Europa indisciplinata a est (Polonia, Ungheria), a
ovest (Spagna, Portogallo), a sud (Grecia e forse Italia) e a nord (Regno
Unito). Si può anche concedere che le politiche monetarie espansive siano meno
efficaci di quello che si era creduto. E si può infine rendere doveroso omaggio
allo spirito del tempo e accettare una fase di penitenza e di espiazione per
gli eccessi degli anni scorsi (evidentissimi nelle materie prime, ma non in
altri settori).
Detto questo, nessuno ci obbliga a ripetere come
pappagalli che la Cina
sta per crollare, che avremo ondate di fallimenti mai viste, che l’Eurozona è
sull’orlo della disintegrazione, che l’Italia è peggio della Grecia, che
l’America avanza verso il fascismo o il socialismo, che il petrolio non salirà
mai più (e se risalirà ci seppellirà d’inflazione), che il dollaro andrà alla
parità con l’euro (facendo crollare l’America) o tornerà a indebolirsi
massicciamente (facendo crollare l’Europa).
E nessuno ci costringe a unirci al coro di chi paventa una
Fed sanguinaria che alzerà risolutamente i tassi pur in presenza di tante
rovine, di un dollaro che crollerà pur in presenza di centinaia di milioni di
cinesi in fila per comprarlo o di una Bce che in marzo farà una manovra piccola
piccola pur in presenza di un euro che si rafforza e di un’industria tedesca
che la borsa considera in caduta libera. Se si deve pensare al peggio, si
scelga. O annegati o a fuoco, non tutti e due.
Diciamolo pure sottovoce e facciamo pure la tara alle
previsioni del Fondo Monetario (che prevede più crescita nel 2016 che nel 2015)
e a quelle degli analisti azionari top-down e bottom-up, che a tutt’oggi
ipotizzano un piccolo rialzo degli utili (e non così piccolo per gli utili
ex-oil). Concediamo che in questi anni economisti e analisti si sono sempre dimostrati
troppo ottimisti e ipotizziamo, per prudenza, crescita e utili stabili invece
che in rialzo. Concediamo anche che gli strategist di tutte le grandi case, che
danno l’SP 500 tra 2000 e 2300 per fine anno, vivono nel paese delle favole e
non considerano che è corretto sgonfiare i multipli se si ipotizzano utili
piatti e non più in crescita. E tuttavia, da qui a dire che ci aspettano
sciagure infinite ce ne corre.
Troviamo anche interessante che molti degli short più
prestigiosi che soffiano sul fuoco siano pronti a dichiarare che saranno ben
lieti di riposizionarsi al rialzo un dieci per cento sotto i livelli attuali. È
un atteggiamento ben lontano dalla vera disperazione dei bear market profondi e
suona di più come la voglia di fare scorribande in un mercato tramortito e
fragile di nervi.
Che fare allora, comprare? Dopotutto, tra quanti si dicono
certi di ulteriori ribassi c’è anche chi ammette soavemente, come fa Laurence
Fink di BlackRock, che ci sono già oggi bellissime occasioni di acquisto. A noi
però questo sembra più un mercato da hold che da buy. Per tre ragioni.
La prima è che i policy maker non vedono male un 2016 di
moderato ritracciamento. Quello che non vogliono è che il ritracciamento sia
tale da creare effetti negativi sull’economia. È per questo che, nel momento in
cui i mercati hanno iniziato a esagerare con il pessimismo, abbiamo visto un
addolcimento delle posizioni della Fed e una linea più aggressivamente
espansiva in Europa, Cina e Giappone. E tuttavia, mentre negli anni scorsi
bastava una settimana di ribassi per sentire le prime rassicurazioni, questa volta
è occorso un mese.
La seconda è che le politiche monetarie cominciano a
sembrare meno efficaci. Come nota (da anni) Richard Koo, i tassi possono
scendere, ma servono a poco se a nessuno viene voglia di prendere a prestito
denaro e se tutti cercano invece di ripagare i debiti perché sono ancora
terrorizzati dal 2008. Aggiungiamo che alle banche si chiede di prestare di più
(con la pressione dei tassi negativi) ma anche di meno (con la pressione per
ratio patrimoniali sempre più elevate). A questo punto, in un mondo normale,
dovrebbero subentrare le politiche fiscali. i governi sono però paralizzati, si
concedono solo piccoli nella spesa ma
non si sentono motivati a fare di più, almeno per il momento.
La terza ragione è che se i mercati dovessero mai regalarsi
un recupero, riavvicinandosi ad esempio ai livelli di fine 2015, la Fed ritornerebbe a parlare di
rialzo dei tassi e le scorribande verso il basso riprenderebbero. Solo in
presenza di un’economia forte potremmo vedere contemporaneamente borse alte e
Fed che stringe. Sperare è sempre lecito. Ma al momento si vede un’economia
globale che va discretamente, ma non così bene.
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