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giovedì 28 aprile 2016

"CONTRO" DAVIGO CAPO DELL'ANM, ABBIAMO BISOGNO DI UOMINI VERTICALI. MAURO ANETRINI, PER ESEMPIO

Risultati immagini per venti anni per un processo


Altre volte il blog ha ospitato scritti di Mauro Anetrini, avvocato bravo ( tutti i suoi colleghi di penale lo sottolineano) e naturalmente homo politicus. Nell'analizzare i problemi, la sua riflessione non è mai settoriale, circoscritta all'ambito della sua chiesetta personale, ma si estende alle ricadute sul resto della società. Dote appunto del "politico" vero, soggetto altamente apprezzabile quando è autentico e non un semplice faccendiere, o un mediocre portaborse-ventriloquo del potente in voga.
Così, quando parla di giustizia, il tema sul quale più si concentra, non parla per interessi di bottega, ma per il suo ideale alto di come uno Stato civile e di diritto dovrebbe essere.
E' una prerogativa scoperta, ammetto con sorpresa, nei colleghi del penale. Certo, non investe tutti gli avvocati che si occupano di questa materia, ma devo dire che una folta, nobile minoranza è così.
Nel momento storico in cui il sindacato . che questo è l'anm, inutile che protestino - dei magistrati si è dato un capo come Davigo, temo che si debba andare ai materassi, a meno che il Signore ci faccia la grazia di far diventare tondo un uomo assolutamente quadrato, nella sua visione sceriffesca della legge.
In questi giorni, dopo le polemiche innescate proprio dal dr. Davigo con una improvvida esternazione sul Corriere della Sera ( a cui molto bene ha replicato un suo collega, Cantone, il giorno successivo :  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/04/cantone-risponde-davigo-mani-pulite.html ) , il governo, per accarezzare per il verso suo la "bestia", ha rimesso al centro dell'agenda la questione prescrizione.
Io francamente sono basito, e vorrei chiedere ai miei amici, renziani di ferro, come Cataldo Intrieri e Riccardo Cattarini (quest'ultimo anche membro del consiglio direttivo nazionale del PD ), cosa ne pensano.
E' facile manipolare le persone aizzandole sull'ingiustizia che il possibile colpevole di un delitto, specie se grave, possa farla franca semplicemente perché il processo non si è concluso in un certo tempo.
Ma guardiamolo da vicino questo tempo....si parla di anni e anni, e quando i reati sono appunto gravi, si dilata ancora di più.
Certo, alla maggior parte della gente, che in Tribunale non ci finisce (ma non siate troppo sicuri di questo, che il panpenalismo dilaga, ed è sempre più facile finire, anche per errore, nei cassetti di una procura), non gli frega nulla se uno vive la condizione di imputato in eterno. Ma appunto questo non c'entra nulla con i principi propri di uno Stato di Diritto, e non a caso l'Italia è spesso multata per violare quello della "ragionevole durata del processo".
Senza contare che da quando è iniziata la crisi economica, fior di economisti - tra i primi ricordo gli editoriali iniziati almeno 7 anni fa di Alesina e Giavazzi sul Corriere, ma ormai è un coro - evidenziano come la lentezza dei processi, e quindi la risposta alla domanda di giustizia, sia tra i motivi essenziali per cui gli investitori, stranieri ma non solo, abbiano sempre più scartato il nostro paese come posto in cui fare impresa.
Le conseguenze, lo vediamo sono drammatiche, sul piano occupazionale, fiscale, di bilancio statale.
Eppure, in questo contesto, i magistrati strepitano perché i tempi del processo penale siano dilatati all'infinito.
Io sogno una Unione Europea che tolga le castagne dal fuoco dei nostri pavidi governanti - gli avvisi di garanzia stroncano con facilità le carriere - stabilendo in concreto i confini della "ragionevole durata", con tempi certi, che sicuramente non corrispondono alle briglia sciolte pretese dalle toghe pregiate.
Ecco, su questo spinoso argomento scrive Mauro Anetrini, e io pagherei di mio perché i tristi giustizialisti che scrivono sul Corsera - parlo di Bianconi, pilatesco per lo più, Ferrarella e Sarzanini, più "davighiani" ho motivo di pensare - intervistino Mauro e che lui, che a polemica non scherza, ad un certo punto chieda a sua volta all'intervistatore "a lei 16 anni per un processo di concussione sembrano pochi ??".
E sentire la risposta di questi signori.
Si preparano tempi cupi, e, come si dice, quando il gioco si fa duro, è meglio che siano i duri a giocare.

di MAURO ANETRINI

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La prescrizione, grazie all'intervista di Piercamillo Davigo, alle reazioni del Governo e al rilievo mediatico del tema Giustizia, è un argomento di interesse nazionale. Come l'economia, la crisi dei migranti e la minaccia del terrorismo islamico.
Se gettiamo lo sguardo sulle prime pagine dei quotidiani, accanto al barcone che affonda, al gabbiano ricoperto di petrolio o al grafico sul crollo della borsa, due parole sulla prescrizione - o, più in generale - sulla Giustizia, le troviamo di certo.
E, allora, tutti a parlare di prescrizione: dai grandi editorialisti, sempre attenti a non urtare la suscettibilità di nessuno, al c.d. uomo della strada, il quivis e populo, che ne discetta nello stesso modo in cui critica l'arbitro (cornuto) per il rigore concesso in favore della Juventus.
E' questione di pancia, la prescrizione, perché - questo lo hanno capito tutti, compresi i non addetti ai lavori - impedisce di incarcerare i politici che rubano e di recuperare il malloppo sottratto alle casse dell'Erario.
Qualcuno, pochi per la verità, ha timidamente chiesto quali siano i termini di prescrizione previsti, ad esempio, per la concussione.
Ve lo dico io: se viene compiuta qualche attività processuale, servono 16 anni. Altrimenti, 12.

Mica male. i miei figli, a 16 anni, frequentavano la terza classe delle superiori: li avevo svezzati, accompagnati all'asilo, introdotti nel mondo della Scuola, sostenuti all'esame di licenza media e rimbrottati quando sbagliavano il genitivo della terza declinazione. 16 anni sono un sacco di tempo, pensandoci bene. Ma non bastano, si dice. I furbastri (i ladri, insomma), commettono reati difficili da scoprire e quando li si scopre, voilà, il tempo è trascorso.
Sono giorni che mi chiedo quante concrete probabilità vi siano di scoprire nel 2025 un peculato del 2015. Mi chiedo, anche, se i testimoni, sentiti nel 2025, ricorderanno qualche cosa e se i documenti saranno ancora reperibili. Ho dei dubbi.
Anzi: mi viene il dubbio che l'argomento sia molto debole.
A questa obiezione, si replica: senti, facciamo così. Blocchiamo la prescrizione dopo la sentenza di primo grado.
Voi siete nemici dell'INPS, ammettetelo. Se la prescrizione non decorre, e voi non fate il processo di appello, il cattivo (il ladro) deve attendere l'età della pensione per sapere se è colpevole.
Aspetta, aspetta, mi dicono: aboliamo l'appello. Non serve.
Anche a volere trascurare il fatto che non potete - abbiamo obblighi internazionali non solo in campo monetario -, permettetemi di dire che nutro seri dubbi sul dogma della infallibilità. Le statistiche dicono che in appello molte - troppe - sentenze vengono ribaltate.

Che sbagli il primo o il secondo Giudice conta poco: la divergenza esclude che tutto sia fatto proprio per benino. E allora? dicono loro. Che cosa pensi di fare?
Abolire il processo. Costa meno.
D'altra parte: non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti. Inutile è l'idea che si debbano processare i colpevoli per attestare quello che sappiamo già.

Ho raccontato questa storia ad un inglese. Credevo sorridesse. Mi ha tolto il saluto.

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