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venerdì 13 maggio 2016

13 AMMINISTRAZIONI INDAGATE SU 17. LA NEMESI GIUSTIZIALISTA COLPISCE I GRILLINI



Si avvicinano le elezioni comunali, a Roma si vota dopo la giubilazione del Sindaco Marino, che eletto da un romano su cinque, non è stato certo difeso dal popolo elettore quando quelli del PD, in difficoltà per disinvolture gestionali del primo cittadino che avevano interessato la nostra sempre attenta magistratura, avevano deciso di defenestrarlo. Nemmeno un voto di sfiducia in aula si è meritato, è bastata una riunione dal notaio...
Amici e conoscenti mi chiedono chi voterò, e io tranquillamente rispondo la Meloni, perché tra i candidati è quella che mi "perplime" meno. Avrei votato con più convinzione Bertolaso, che bene ha fatto alla Protezione Civile per 10 e passa anni, però  l'appeal popolare dell'uomo non era un granché, ed è comprensibile che la Meloni abbia pensato a se stessa come una candidata più competitiva, certo sempre a patto che il centro destra si fosse ricompattato attorno al suo nome. Così non è stato e non sarà. Berlusconi si è arreso al fatto che il suo uomo non poteva vincere e ha deciso di appoggiare Marchini, piuttosto che i "traditori" Meloni e Salvini (che però restano alleati a Milano...).
Al ballottaggio, ché nessuno ovviamente vincerà al primo turno, voterò qualsiasi candidato arriverà contro la Raggi, la candidata pentastellata data per favorita.
Conosco diverse persone che votano per gli ortotteri, e diverse tra queste le stimo come persone per bene ed intelligenti.
I loro argomenti ricorrenti ed essenziali si conoscono : scontenti dei partiti più tradizionali (bene o male anche la seconda repubblica ha superato i 20 anni, e così le formazioni politiche che all'alba della stessa si sono formate ) , convinti che destra e sinistra tradizionali alla fine non siano così differenti (sulla spesa pubblica hanno perfettamente ragione, ma non credo che loro, un domani che gestissero i cordoni della borsa, sarebbero diversi, anzi li vedo ancora peggio intenzionati), pensano che ci voglia una scopa nuova per fare veramente pulizia.  Sono l'ultima espressione - altri movimenti li hanno preceduti, ma con meno fortuna ( penso ai girotondisti, al popolo viola, poi a quello arancione...) - del movimento degli "onesti", sempre diversamente presente, contrapposto ai politici corrotti.
Va da sé che i grillini stanno dalla parte della magistratura in armi contro il Palazzo marcio, leggono incantati Travaglio e il fatto quotidiano, hanno in uggia - eufemismo - i garantisti, schierati come sono nel campo opposto, quello giustizialista.
Salvo, come sempre accade, quando gli strali magistratuali toccano a loro.
Non succede poi così raramente, anzi. Ben 13 delle 17 amministrazioni controllate dai pentastellati sono nei guai con le procure. Ohi, 13 su 17 è circa l'80% !!
Certo paragonati alle centinaia e centinaia di indagati e inquisiti appartenenti agli altri partiti, potrebbero dire che sono comunque pochi, ma si tratta di proporzioni...Poco potere gestito, poche possibilità di sporcarsi...
Oggi che Renzi ammette che la questione morale investe anche il sacro suolo della sinistra, gli ortotteri pretendono di impugnare loro la bandiera degli "eticamente diversi", ma, Parma e Livorno, e non solo, stanno lì a dimostrare che si tratta di vessillo che sarebbe bene lasciare stare.
A suo tempo molti di questi signori credevano in Di Pietro, era lui il campione degli onesti, perché lo era stato di mani pulite...
Abbiamo visto che fine ha fatto lui e il suo partito.
Vi lascio alla riflessione di Marco Imarisio sul Corriere della Sera

Il Corriere della Sera - Digital Edition

 Cinque Stelle, la prova etica

di Marco Imarisio
 

Oggi 13 delle 17 amministrazioni controllate da M5S hanno problemi con le procure: per la classe dirigente dell’era post Grillo e Casaleggio, è l’occasione di ripensare un giustizialismo che non può essere applicato solo agli altri e mai a se stessi.

Le prossime elezioni amministrative sono considerate uno spartiacque nella storia del Movimento 5 Stelle. La posta in gioco è alta, ma la creatura che fu di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio arriva male a questo appuntamento decisivo, avvolto nell’incertezza sulla strada da prendere nel futuro prossimo.

Le inchieste giudiziarie che hanno colpito i sindaci di due roccaforti pentastellate come Livorno e Parma, entrambi accusati di reati connessi alla loro attività di amministratori, e le annesse polemiche sulla doppia morale di M5S, garantisti a casa propria, feroci altrove, evidenziano gli effetti di una mutazione in corso che rischia di fermarsi nella palude delle prese di posizione dettate dalla convenienza spicciola. Il troncare, sopire, sminuire le proprie contraddizioni operato in questi giorni da Luigi Di Maio e dagli altri membri del direttorio, equivale al mantenimento di una presunta rendita di posizione. Non muoversi, stare il più possibile fermi, far passare la piena per giungere senza troppi danni alle urne.

È una scelta anche legittima, ma di corto respiro, che evidenzia le crepe nel muro di M5S. Le ipotesi di reato che hanno raggiunto Filippo Nogarin e Federico Pizzarotti non rappresentano peccati mortali o infamanti. Sarebbero anche una ghiotta occasione per definire una volta per tutte cosa rappresenta davvero quell’enigma chiamato Codice etico, per rimodellare un estremismo giustizialista che al dunque viene declinato con gli avvisi di garanzia degli altri. Invece è stato scelto uno sterile gioco al rimpiattino con il Pd e le altre forze politiche sul rispettivo numero di acciacchi giudiziari, fingendo di scordare il fatto che oggi 13 delle 17 amministrazioni controllate da M5S hanno problemi con le procure. Al netto della presunzione di innocenza, per chi ambisce a governare l’Italia si pone un discreto problema di classe dirigente, confermato dal fatto che i Cinque Stelle presenteranno solo 250 liste proprie su 1.300 Comuni che voteranno il prossimo giugno.

La mancanza di chiarezza si traduce in un immobilismo dove ognuno dice la sua, creando danni ulteriori. I silenzi, gli imbarazzi, le polemiche appena accennate sulla tempistica della magistratura e le dichiarazioni sull’attacco delle procure, già sentite dall’intero arco costituzionale negli ultimi anni, non aiutano la rivendicazione della propria diversità. L’immobilismo appare oggi l’unico modo di tenere in equilibrio due anime inconciliabili tra loro, è un riflesso del contrasto interno tra ortodossi e governativi, che si riflette anche sul direttorio, il nuovo organo di autogoverno del Movimento.

L’appartenenza alle diverse fazioni sembra avere un peso anche nella gestione delle proprie disavventure. All’ortodosso Nogarin indagato a Livorno, solidarietà e copertura garantista. Nei confronti di Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma inviso alla base pura e dura, si registra qualche presa di distanza, qualche distinguo. E così la giustizia e il giustizialismo cavalcati nell’ultimo decennio diventano un’arma a doppio taglio, una insidia che va ben oltre l’esito delle prossime elezioni amministrative. La colpa di questa opacità, di un appannamento che confina con l’imbarazzo, ricade sui nuovi vertici del direttorio, chiamato a gestire la sua prima prova di maturità, finora con scarsi risultati. Gianroberto Casaleggio non c’è più, e si sente. Suo figlio Davide ha messo in chiaro il suo ruolo tecnico di gestore del software aziendale, Beppe Grillo appare sempre più distante. Nei momenti difficili, erano stati i due fondatori a dare sferzate, a prendere decisioni anche impopolari presso la base.

Quel M5S è finito. Adesso tocca alle giovani leve del direttorio. Ma per affermarsi come nuova e credibile classe dirigente, hanno il dovere della chiarezza, a cominciare dal tema della giustizia. Sono loro che devono spiegare cos’è oggi e cosa davvero vuole diventare il Movimento Cinque Stelle, ai loro militanti, e magari anche al Paese, visto che è della seconda forza politica italiana che si parla. Anche a costo di cambiare rotta su alcuni principi fondamentali.
La professione dell’onestà può essere conciliata con una svolta se non garantista almeno di maggiore equilibrio. Naturalmente professata con tutti, non solo con se stessi. Non c’è niente di male nel cambiare idea. Specialmente se quelle di prima, per quanto applaudite, erano sbagliate.

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