Bè, se lo dicono anche loro... Parlo dei magistrati che biasimano i criteri adottati dal CSM per le nomine dei capi dei vari uffici giudiziari. Come ha detto il mio amico Annetta spiegando come certe figure di reato, di recente invenzione, siano molto delicate, se venissero intercettate le segrete stanze in cui i signori di Palazzo Marescialli decidono, ci sarebbe il rischio di una retata da parte della polizia per "traffico d'influenze".
Un "mercimonio" noto che va in onda da sempre, dove le parole di autoriforma per eliminarlo si sprecano da sempre, con i risultati che potete leggere ( e a scrivere, la penna amica delle toghe pregiate per eccellenza, l'ineffabile Luigi Ferrarella !).
«Un posto a te, un posto a lui Così il Csm a volte fa le
nomine»
di Luigi Ferrarella
Davigo (Anm) contro le designazioni a pacchetto: sono una
prassi orribile
MILANO È verso la fine della prima Giunta itinerante
dell’Associazione nazionale magistrati neopresieduta da Piercamillo Davigo,
quando l’aula magna milanese comincia a spopolarsi, che si alza un magistrato
di Corte d’appello, Barbara Bellerio, giudice ad esempio di uno dei processi ad
Alberto Stasi per il delitto di Chiara Poggi a Garlasco, e pone la domanda che
allenta la cravatta a un dibattito sino allora inamidato: «Vorrei che l’Anm si
occupasse anche delle nomine “a pacchetto” fatte dal Consiglio superiore della
magistratura... Di recente c’è stato un caso anche qui a Milano, non mi interessa
il giudizio sulle persone, ma ormai parlano tutti apertamente di queste scelte
lottizzate che fanno inorridire».
Ed è questa sollecitazione, dunque non su casi concreti ma
in generale, che Davigo (ex esponente di «Magistratura indipendente» dalla quale
è uscito per fondare la corrente di «Autonomia e indipendenza») raccoglie: «Le
nomine “a pacchetto”, all’unanimità, sono una prassi orribile, perché
somigliano non alla convergenza su qualità riconosciute, ma all’accordo su
“questo posto a me, quello a te e quell’altro ancora a lui”...
Al Csm fanno
quello che vogliono, addirittura a volte nelle valutazioni comparative per uno
viene adottato un criterio e poi per un altro lo stesso criterio viene
rovesciato.
Io sin dall’inizio sono stato critico verso la nuova circolare sui
criteri del Csm per le nomine, non ha affatto ridotto quella discrezionalità
che si diceva sarebbe servita a ridurre... Allora io a questo punto dal Csm
pretendo però la trasparenza totale: siccome è al buio che avvengono le
porcherie e i baratti, si mettano invece sulla rete Intranet il fascicolo
personale e tutte le carte che la Commissione incarichi direttivi valuta quando
sceglie un magistrato, e non mi si dica che non si può fare per esigenze di
privacy delle toghe... Un magistrato che fa domanda per fare il capo di un
ufficio fa il piacere di rinunciare alla privacy: così quantomeno si potranno
apprezzare le scelte operate dai consiglieri Csm, e la prossima volta —
ironizza Davigo — quando uno andrà a votare per il rinnovo del Csm saprà con
quale consigliere prendersela...».
Interviene il vicepresidente di Davigo nell’Anm, Luca Poniz,
esponente di Magistratura democratica e pm proprio nella Milano che ha appena
visto il Csm nominare il nuovo capo della Procura e designare il nuovo
presidente della Corte d’appello. E lo fa non per contraddire la bordata di
Davigo, se mai per integrarla, con minore fiducia nel rimedio balsamico della
trasparenza online e con una richiesta di autocritica ai colleghi: «Va
benissimo mettere tutte le carte in Rete — dice Poniz —, ma non nascondiamoci
che non basterebbe a eliminare quelle distorsioni. Perché dobbiamo chiederci
con onestà se possiamo dire che il problema sia soltanto dentro il Csm, o se
forse sia anche nel corpo della nostra categoria». Aggiunge un altro componente
la giunta Anm, Giovanni Tedesco, giudice civile a Nola: «Sugli incarichi
direttivi esiste una questione morale in magistratura: se è pieno di
consiglieri Csm che ricevono telefonate, è perché è pieno di colleghi che
telefonano ai consiglieri del Csm...».
Telefonate di cui la giudice di
sorveglianza Mariolina Panasiti prospetta una curiosa attitudine: «Io sono
uscita da poco dal Consiglio giudiziario, e posso dirvi che i pareri sulla
professionalità dei magistrati sono tutti e sempre bellissimi: se si leggessero
solo quelli, non si saprebbe chi scegliere. Così la telefonata e il
chiacchiericcio finiscono per essere uno dei criteri valutativi, sul quale può
succedere si innesti una perversa deriva».
«Stiamo attenti», esorta i colleghi il giudice civile
Federico Rolfi legando questo scorcio di dibattito («l’Anm respinga la logica
dei capi giudicati solo sui numeri prodotti») ai temi toccati nelle prime due
ore, e cioè le maxi carenze di cancellieri (il 35% a Milano, 1 su 2 a Busto, denuncia il
procuratore aggiunto Giuseppe D’Amico), le falle del processo telematico, le
maxicompetenze ai giudici di pace ampliate dalla riforma della magistratura
onoraria («è come l’Emmenthal, ci stanno svuotando da dentro»), il progetto di
assorbire subito la giurisdizione tributaria in quella civile con la sola
promessa di un futuribile ingresso di 750 nuovi magistrati: il denominatore
comune, avverte Rolfi, è «lo schiacciarci su una visione impiegatizia della
magistratura».
lferrarella@corriere.it
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