Chissà se i complottisti, che appena le sorti del putsch militare turco hanno volto al brutto si sono subiti sbrigati a spiegare come si trattasse di un trucco del Sultano per meglio poter stringere la morsa contro i suoi oppositori, leggono il Corriere della Sera ?
Oggi il giornalone è pieno di articoli e interviste - queste ultime a esponenti dell'opposizione turca, gente che è assolutamente contraria alla deriva autoritaria del regime di Erdogan - unanimi nello smentire il "complotto", così caro ai nipotini italici di Giulietto Chiesa, quelli che si vantano di vedere "oltre" la mera evidenza.
E a sostegno delle loro tesi, adducono ragionamenti ex post : che un colpo di stato si organizza così male ?
Immemori che la Storia è ZEPPA di tentativi del genere falliti, e il nostro risorgimento è un fervido corollario di episodi similari, con patrioti generosi e ingenui che se ne andavano in giro per la penisola in poche centinaia, sempre convinti che le popolazioni oppresse si sarebbero sollevate al loro fianco (più spesso li inseguivano coi forconi prendendoli per banditi...).
Tra i tanti articoli, scelgo di postare quello di Lorenzo Cremonesi, per completezza. Ma ripeto, oggi il maggior quotidiano italiano era pieno di contributi che escludevano la fantasiosa ipotesi del "trucco".
Per quelli poi, pure tanti, rimasti male perché il golpe è fallito, consiglio la lettura dell'editoriale di Paolo Mieli, che volendo trovano qui : https://ultimocamerlengo.blogspot.it/2016/07/paolo-mieli-e-quel-vergognoso-silenzio.html
IL
COLPO DI STATO, la
RICOSTRUZIONE
Turchia, che golpe è stato?
Erdogan resta un leader molto popolare
detestato dalle élite laiche ma con un forte sostegno anche in una parte di
quello stesso esercito che avrebbe voluto siluralo
di Lorenzo Cremonesi, inviato ad Ankara
La disorganizzazione
I putschisti non sono un gruppetto di isolati, come
è stato riferito, giudicando soprattutto dalla velocità con cui si sono arresi.
Tutt’altro. Tra loro troviamo i comandanti della Seconda e Terza armata
schierati lungo la Siria ,
il confine più importante e instabile del Paese, che comprende anche la base
aerea di Incirlik, da dove i jet Usa assieme ai loro alleati della Nato
bombardano le roccaforti di Isis.Ci sono inoltre commando scelti che operano
dagli elicotteri, uomini della gendarmeria e della polizia, battaglioni di
carristi, intere squadriglie dell’aviazione. «Il problema è stato che tutte
queste forze, che compongono la parte migliore del nostro esercito, mancavano
di un comando unificato e di un leader politico che sapesse parlare alla
nazione fuori dal linguaggio militare. Sono come fantasmi del passato», ci ha
spiegato ieri Orhan Bursali, commentatore del quotidiano Hurriyet.
«Loro
credevano che sarebbe bastato catturare il capo di stato maggiore, generale
Hulusi Akar, e costringerlo a fare una dichiarazione pubblica alla nazione in
loro sostegno per vincere il consenso. Ma hanno fatto i conti senza l’oste.
Akar una volta nelle loro mani già prima della mezzanotte di venerdì rifiuta di
cooperare. E intanto altri comandanti dell’esercito reagiscono con forza. Tra
loro importantissimo è il generale Umit Dudar, responsabile della piazza di
Istanbul, che ordina la resistenza armata».
Il momento centrale del golpe sarebbe l’eliminazione
del presidente. Il calcolo sulla carta non è sbagliato: visto il carattere
sempre più totalitario del regime, se uccidi il capo cade l’intera costruzione.
I putschisti ci provano.
Verso le 23 alcune decine di loro attaccano a piedi i
palazzi lussuosi dello Grand Yazici Turban, il club esclusivo sul mare nei
dintorni di Marmaris, dove Erdogan è in vacanza con la famiglia. Ma la guardia
presidenziale reagisce al fuoco con determinazione, quindi sposta il presidente
in un hotel vicino. Nello stesso tempo il neo-primo ministro Binali Yildirim
appare alla televisione nazionale per chiedere alla popolazione di resistere.
Anche Erdogan decide che deve farsi vedere e lo fa su FaceTime con il suo
iPhone: chiama una giornalista della Cnn turca che lo trasmette in diretta. E
lui si mostra invitto, aggressivo: «Scendete in piazza, resistete! Presto sarò
nelle strade di Ankara con voi!». È l’uso inedito dei social media in difesa
del governo. Nelle primavere arabe sono serviti per rovesciare i regimi, qui si
rivelano fondamentali per difenderlo. Intanto, i golpisti capiscono che devono
farlo tacere a tutti i costi.Mandano tre elicotteri carichi di teste di cuoio.
Ma lui ha avuto il tempo di salire su di un aereo (o forse un elicottero) alla
volta dell’aeroporto Atatürk di Istanbul, i cieli di Ankara sono troppo
insicuri. Quando il suo hotel viene infine bombardato lui sta già a migliaia di
metri d’altezza.
L’occasione perduta
C’è però ancora un momento cruciale. Avviene quando
gli F16 partiti dalle basi vicino al confine siriano intercettano il velivolo presidenziale.
Potrebbero abbatterlo con un missile, una semplice mitragliata. Nell’entourage
di Erdogan tanti sono presi dal panico. Ma gli altri non sparano, si limitano a
scortarli da vicino. Nel frattempo però, quando sono nel mezzo del Mar di
Marmara tra i Dardanelli e il Bosforo, sopraggiungono gli F16 mandati
dall’aviazione lealista a Istanbul e gli aerei golpisti se ne vanno senza
sparare un colpo.Alle 3,20 di sabato mattina Erdogan atterra a Istanbul con i suoi sostenitori in delirio che al prezzo di morti e feriti hanno sfondato i cordoni dei militari golpisti. Nelle tre ore precedenti il suo atterraggio il Paese vive nella totale incertezza. I caccia golpisti attaccano il parlamento ad Ankara, bombardano e minacciano i palazzi vicini dei massimi organi militari. A terra le teste di cuoio della polizia cercano di catturare Hakan Fidan, capo dei servizi segreti, che però riesce a fuggire. Oggi è sotto accusa per non aver saputo intercettare il complotto. O meglio, averlo scoperto troppo tardi. Pare infatti che l’inizio fosse previsto per le cinque della mattina di sabato, anticipato a venerdì sera proprio per il fatto che i lealisti lo avevano appena scoperto.
«Gli F16 volavano bassissimi sul Parlamento, sparavano nella totale impunità. Anche se ho l’impressione che la maggioranza dei botti fosse dovuta al loro infrangere il muro del suono, volevano fare paura più che distruggere», ci racconta un diplomatico occidentale residente nei pressi del parlamento.
Il Sultano del popolo
Con Erdogan vivo e attivo a Istanbul la situazione
precipita molto rapidamente per i golpisti. I suoi fedelissimi si muovono come
milizie paramilitari. Le unità ribelli si arrendono in massa. Non sono riuscite
a controllare almeno 25 televisioni private e centinaia di radio
filo-governative. Non hanno mai avuto il monopolio della comunicazione.
Soprattutto emerge nel loro fallimento la grande popolarità di Erdogan. «Nel
mondo si dimentica che almeno il 51 per cento di oltre 80 milioni di turchi sta
con lui», ci racconta Hurichan Islamoglu, docente di storia economica
all’Università del Bosforo. «E il segreto del suo successo resta soprattutto
economico. In 13 anni Erdogan ha rivoluzionato il Paese. Ha creato una nuova
classe media di ex contadini urbanizzati che lo adora. Lo posso paragonare alla
Democrazia Cristiana italiana tra il 1950 e il 1980: era popolare perché aveva
garantito il boom economico, non per il fatto che era cristiana.
Il nostro
reddito pro-capite medio è passato con lui da 2.000 dollari annuali a 11.000.
Se non si comprende questo non si capisce come mai è sopravvissuto al golpe».
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