Invecchiando si può migliorare. In fondo la saggezza viene attribuita all'esperienza acquisita nel tempo, il far tesoro di quello che si è visto e/o sperimentato.
Non so se sia del tutto vero, specie negli ultimi tempi, però per Luciano Violante direi di sì.
Per essere uno che è stato tra i fondatori della pessima magistratura democratica, la formazione associativa che predicò esplicitamente l'impegno politico - civile dei magistrati, non più "solo" voce della legge (che pure mi sembrava già tanta roba...), e pioniere del vezzo di posare la toga per diventare parlamentare (è stato anche presidente della Camera, certo molto meglio di gente come Fini o Boldrini, ma non ci voleva molto...), l'uomo con l'età è molto migliorato.
Dalla sua creatura, MD, ha preso da tempo le distanze, criticandola non infrequentemente, e più in generale si spende contro il giustizialismo (pur dicendosi non "garantista" quanto piuttosto "legalitario", che a mio avviso è pilatesco, ma prendiamo il bicchiere metà pieno) e , soprattutto, contro il vizio del moralismo di strada eretto a totem.
Oggi sul Corriere c'è un piccolo sfogo di Violante su questo tema, il "moralismo immorale" efficacemente lo battezza, e sui pericoli e danni che lo stesso provoca.
Tra varie cose giuste che scrive, ne sottolineo una in particolare :
la strana convinzione italica che la società civile sia tanto meglio di quella "pubblica".
Curioso, perché se la corruzione è così diffusa, evidentemente anche ampia deve essere la platea dei corruttori, oltre che quella dei corrotti.
In realtà la gente è molto pronta all'autoassoluzione, portata a obliare le tante occasioni, piccole e meno, in cui 'sta morale non è che abbia avuto esattamente la priorità nelle scelte di vita.
Magari una raccomandazione ? un abusetto edilizio ? una visita medica non fatturata ? una fattura non richiesta per risparmiare l'IVA ? l'elenco è sterminato....
Eppure si pretende che la testa sia meglio sempre del corpaccione...
Mai capito bene perché
Buona Lettura
POLITICA E ETICA
IL MORALISMO IMMORALE
CHE PRODUCE LA PARALISI
In un Paese moderno devono prevalere la capacità di dialogo
e il rispetto, non è possibile andare avanti tra editti e insulti e coltivando
il sospetto
Miei cari amici
moralisti immaginari,
ho deciso di scrivere a voi che siete stati parlamentari
nella scorsa legislatura, o lavorate nei mezzi di comunicazione, o siete
magistrati in diversi uffici giudiziari, o insegnate o studiate e che ho
incontrato in tante occasioni. Voi, pur vivendo in posti diversi e tra loro
lontani, pur essendo diversi per professione, gusti culturali e stili di vita,
fate parte della stessa comunità. Un insieme di donne e di uomini,
insoddisfatti delle vicende della politica e turbati dalle notizie di cattivo
uso delle funzioni pubbliche, peraltro non raramente rivelatesi infondate, che
hanno adottato il moralismo come parametro di valutazione delle attività
politiche. Conseguentemente voi ritenete la politica regno del malaffare e la
società civile luogo della innocenza.
Io penso che voi siate in buona fede e
non mi rivolgo quindi a coloro che invocano roghi, condanne, espulsioni ad ogni
pié sospinto al solo fine di acquisire voti, ascoltatori o lettori, secondo la
professione.
C’è certamente un grande bisogno di moralità nella vita
pubblica come anche nelle relazioni private. Ed è quindi corretto richiamarne
l’esigenza. Ma la morale è una risorsa limitata. Quando se ne abusa degrada in
immoralismo o in giuridicismo. La morale, come spiegò Guido Calogero, consiste
nel dialogo con l’altro, e cade in contraddizione con sé stessa quando è usata
come strumento della lotta politica. Si scivola nell’uso immorale della
questione morale.
Siete contro il compromesso; ma Amos Oz, che di conflitti se
ne intende, ha scritto: «Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno
idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è
fanatismo, morte».
Siete contrari forse perché avete confuso il compromesso con
la consociazione, alla quale sono contrario anche io. Il compromesso si fonda
sulla distinzione tra le parti e la mantiene. Il consociativismo annulla le
distinzioni, crea grovigli, favorisce la irresponsabilità.
La politica deve certamente avere un’etica, fondata sul
rispetto dell’altro e sulla prevalenza dell’interesse generale sugli interessi
particolari. Ma l’etica non ha nulla a che fare con il sospetto generalizzato,
l’insulto, il rifiuto della dignità dell’altro. In questo modo si sostituisce
un integralismo settario ad una visione onesta del Paese e del suo futuro.
L’effetto di questa propensione è l’attribuzione del ruolo
di guardiani della società alle Procure della Repubblica (bisogna difendere la
magistratura dai suoi amici), il riconoscimento di un valore salvifico alla
punizione, la costruzione di nuove inedite categorie a metà strada tra il
diritto e la morale come quelle dei «coinvolti» e degli «impresentabili».
Per
voi la società è sempre innocente mentre il rapporto con chiunque eserciti una
funzione pubblica è fondato sul sospetto.
Ma vi sfugge che in ogni corruzione al fianco del soggetto
pubblico corrotto c’è un privato cittadino corruttore, che di quella società
civile fa pienamente parte. Avete applaudito quando una legge ha conferito alla
magistratura il compito di confezionare le liste dei candidati ad una carica
politica, sottraendolo ai partititi, con il loro irresponsabile consenso. Avete
applaudito quando un’altra legge ha stabilito che basta il minimo sospetto, non
indizio, sospetto, per impedire ad una impresa di partecipare ad una gara pubblica.
Ogni arresto, ogni comunicazione giudiziaria sono per voi motivo di conforto;
il proscioglimento è una sconfitta. Per voi vale quello che una volta mi disse
un anziano magistrato piemontese: N’existent pas des accusées innocentes;
existent seulement des juges maladroits.
Non dimentichiamo il caso di Ilaria Capua, scienziata e
deputata nella legislatura appena conclusa. Era riuscita a isolare il virus
dell’aviaria. È fra i 50 scienziati top di Scientific American. Fu oggetto di
una campagna diffamatoria sostenuta da alcuni mezzi di comunicazione e da
alcuni settori del mondo politico. Indagata per associazione per delinquere
finalizzata alla corruzione, all’abuso di ufficio e per il traffico illecito di
virus. Si dimise dalla Camera, lasciò l’Italia, fu accolta con tutti gli onori
negli Stati Uniti. È stata assolta pienamente da ogni accusa.
Il sospetto, frutto avvelenato di questo moralismo
discriminatorio, sta bloccando la pubblica amministrazione. I pubblici
funzionari rifiutano di esercitare la discrezionalità prevista da alcune leggi
recenti perché temono di finire nel mirino del sospetto prima e poi delle
Procure della Corte dei Conti o della Repubblica. Saranno probabilmente
assolti; ma nel frattempo la loro reputazione è stata rovinata, la carriera
bloccata, i risparmi, quando ci sono, consumati nelle spese legali.
Mi preme, infine, riflettere su un punto: un Paese moderno
ha bisogno di fiducia. Il moralismo conclamato che diventa immoralismo
distruttivo rischia di sommergere il Paese. La questione morale va affrontata
non con editti e insulti, ma con la ferma ragione dell’etica del dialogo e del
rispetto. Tra società civile e istituzioni pubbliche deve costruirsi una
relazione di reciproca fiducia che, quando vengono effettivamente meno le ragioni
della fiducia, permetta di valorizzare il merito e di colpire l’abuso, non il
sospetto dell’abuso. Le condizioni economiche dell’Italia sono migliori, ma se
prevalessero immoralismo e sfiducia i miglioramenti si svuoterebbero.
Mi scuso con tutti voi per questa specie di predica. Ho
deciso di scrivervi perché dovremmo evitare che anche nella prossima
legislatura, tra qualche settimana, il demone del moralismo immorale, sposato
al silenzio di chi teme l’impopolarità, produca ulteriori distorsioni e più profonde
paralisi.
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