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mercoledì 21 marzo 2018

PER PANEBIANCO GOVERNO 5STELLE PD MALE MINORE RISPETTO AD UNO GRILLINI LEGA

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Per il professor Panebianco, che non può certo essere accusato di essere persona di simpatie sinistresi (solidamente occidentale, atlantico e liberale) , un governo 5Stelle-PD sarebbe male minore rispetto ad uno 5Stelle- Lega, che pure pare prendere corpo sullo sfondo.
I motivi li spiega con chiarezza nell'editoriale odierno del Corsera.
In sintesi, per quanto il noto politologo non condivida la visione di un 5 Stelle "costola della sinistra",  ancorché indubbiamente una consistente parte (nel 2013 un terzo abbondante, oggi aspetto che i soloni dei flussi ci dicano se e quanto quella percentuale sia cresciuta ) degli elettori vengano da quell'area, il saldarsi coi piddini, forza politica comunque "sistemica", sarebbe meno dirompente rispetto alla coalizione, pure numericamente più salda in Parlamento, tra grillini e leghisti (tra l'altro con Forza Italia e anche la Meloni non più pregiudizialmente esclusi o auto).
Panebianco riprende un concetto proposto anche da altri osservatori, tra cui il mio prediletto Luca Ricolfi, secondo il quale lo storico dualismo tra destra sinistra, conservatori e progressisti, statalisti e anti, sarebbe superato da quello tra "chiusi" ed "aperti" alla società di tipo globale che abbiamo conosciuto negli ultimi lustri. 
In questo senso nota che se da una parte è vero che Lega e 5 Stelle , i "chiusi", (dovrebbe aggiungere però anche Fratelli d'Italia) rappresentano il 50% dell'elettorato votante, c'è un corpo altrettanto (quasi) consistente, di "aperti".
La differenza è che questo fronte è più frastagliato e quindi debole.
Ci vorrebbe un leader nuovo - lui cita un Berlusconi o un Renzi degli inizi - per provare a dare unità ed organizzazione a questa parte di Italia , che però all'orizzonte non si vede.
Cita come esempio il solito Macron, ricordando giustamente peraltro che se l'uomo è oggi Presidente dei francesi lo si deve anche al sistema elettorale di quel paese.
Verissimo, ma proprio questa considerazione rivela i limiti del ragionamento proposto.
Macron ha approfittato di una serie di diverse congiunture favorevoli, tre  principali :
1) la catastrofe del partito socialista
2) lo scandalo della moglie del repubblicano Fillon, favorito fino a quel momento da tutti i sondaggi
3) il ballottaggio con la Le Pen, con il consueto compattamento del fronte anti lepenista, già verificatosi a suo tempo favorendo Chirac. 
Con tutto ciò, Macron è stato votato solo dal 24% dei francesi recatisi alle urne ( il 22% è restato a casa) al primo turno, e quindi è espressione identitaria di un francese su 5. Pochino, e infatti le sue riforme, che in larga parte condiviso, sono fortemente osteggiate da parti consistenti della popolazione (pensionati e sindacati in testa). 
Certo, siccome ci piace ( a me e a Panebianco, ma all'altra 80% dei francesi ?) , ci va bene. 
Ma se col consenso del 20% fosse stata eletta la Le Pen, o Malenchon , ci sarebbe andato bene lo stesso ?
Discorso fatto più volte.
In democrazia può vincere chi non ci piace, e avrà diritto di governare, però NON solo per il fatto di essere arrivato primo, ma per poter contare su un consenso minimo adeguato. 
Quindi ben venga la riforma - ennesima - della legge elettorale, con la reintroduzione del premio di maggioranza, ma, come richiesto dalla Corte Costituzionale, a condizione che si raggiunga un livello minimo di consenso, senza il quale, al massimo si può prevedere un premio al vincitore, che però non garantisca il 51% dei seggi, e il resto sia distribuito proporzionalmente. 
Buona Lettura 


DUE ITALIE E LA SFIDA CHE VERRÀ
Consideriamo due scenari alternativi: un governo 5Stelle sostenuto dal Pd e un governo 5Stelle-Lega. Le differenze non sarebbero solo programmatiche

  di Angelo Panebianco

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In politica i simboli contano quanto gli interessi. E qualche volta di più. Tra le ipotesi di governo che si fanno ce n’è qualcuna simbolicamente neutrale(ad esempio,un «governo del Presidente» sostenuto dalla non-sfiducia delle forze parlamentari)e qualcuna ad alto contenuto simbolico. Consideriamo due scenari alternativi: un governo 5Stelle sostenuto dal Pd e un governo 5Stelle-Lega. Le differenze non sarebbero solo programmatiche. Perché nel primo caso (governo 5 Stelle-Pd) per molti, per tanti, verrebbe per lo meno salvaguardata l’illusione di una certa continuità con il passato, con le tradizioni politiche del Paese. Nel secondo caso, invece, il passato verrebbe brutalmente archiviato e i più si troverebbero di fronte a quello che riterrebbero un «mostro», una rottura radicale con abitudini, con schemi mentali collaudati, si troverebbero a fronteggiare l’ignoto senza possedere gli strumenti intellettuali per decifrarlo e comprenderlo.

Paolo Mieli (Corriere della Sera, 15 marzo) ha documentato quanto sia ampio il fronte di coloro — appartenenti all’area che un tempo si sarebbe detta degli «intellettuali di sinistra» — che premono sul Pd per spingerlo ad accordarsi con i 5 Stelle. Poiché non tutti costoro sono degli sprovveduti incapaci di capire quanti danni un simile governo potrebbe arrecare al Paese, si deve forse concludere che a spiegarne gli atteggiamenti non sia la politica ma la psicologia.

Proporre un governo 5 Stelle-Pd è un modo per tenersi fedeli (o credere di tenersi fedeli) al proprio passato di «uomini e donne di sinistra». Un governo 5 Stelle-Pd — essi pensano — potrebbe essere, almeno in teoria, ricondotto entro binari collaudati, interpretato alla luce delle categorie del passato: sarebbe — secondo loro — un «governo di sinistra» (l’opposto, comunque, di un governo di centrodestra sostenuto dal Pd). Si noti che questa rassicurante interpretazione di un governo 5 Stelle-Pd non circolerebbe solo nella cosiddetta opinione pubblica di sinistra. Gli elettori della destra lo considererebbero allo stesso modo, ossia come un governo di sinistra. Insomma, lo scenario 5 Stelle-Pd è il più tranquillizzante per tutti: si tratterebbe di una esperienza riconducibile — con qualche sforzo — al tradizionale mondo simbolico a una sola dimensione: la dimensione sinistra-destra.

Di tutt’altra fatta sarebbe un governo 5 Stelle-Lega. La sua nascita scardinerebbe quel mondo simbolico, renderebbe obsolete le tradizionali categorie interpretative. Per questo si tratta di una ipotesi simbolicamente eversiva. Un governo 5 Stelle-Lega obbligherebbe tutti a constatare che la frattura politica fondamentale, non solo in Italia, non è più quella sinistra-destra(socialisti vs. conservatori) dei bei tempi in cui il mondo occidentale era sufficientemente stabile e ordinato da consentire che la politica si dividesse fra più Stato e meno Stato, più o meno welfare, eccetera.

La frattura fondamentale ora è fra le forze che contrastano e le forze che difendono la società aperta. E poiché la società aperta, fondata sulla democrazia rappresentativa e l’economia di mercato, è un portato della nostra appartenenza al mondo occidentale, chi la contrasta deve contrastare anche quella appartenenza, deve indebolire i legami con l’Europa e con gli Stati Uniti, deve spostare progressivamente il Paese verso una alleanza con la Russia (fra società chiuse ci si intende). Poiché viviamo nell’epoca di Donald Trump, purtroppo, un siffatto progetto, pur richiedendo un certo tempo per essere attuato, non è velleitario, non è irrealizzabile. Ma il prezzo che il Paese pagherebbe sarebbe altissimo.

Poiché non tutto il male vien per nuocere il fatto stesso che se ne parli, ossia che l’eventualità di un governo 5 Stelle-Lega non sia considerata del tutto campata in aria, può consentire ai molti che non lo hanno ancora messo a fuoco, di comprendere quale sia oggi il vero problema italiano. Il vero problema italiano è che, a fronte di una vittoria dei fautori della società chiusa che ha ottenuto, fra 5Stelle e Lega, la metà circa dei consensi espressi dal corpo elettorale, c’è dall’altro lato una percentuale amplissima di elettori che non ci stanno, che non intendono seguire quella strada. È una frazione assai grande dell’elettorato che è però divisa, dispersa, frazionata. E dunque, al momento, debolissima. 
Si tratta di un’area in cerca di rappresentanza. È la parte del Paese che non ha oggi un leader in cui riconoscersi. Le servirebbe un Renzi dei suoi dì migliori o un Berlusconi con trenta anni di meno. Forse quest’area, anche a causa di un sistema proporzionale che frammenta la rappresentanza, resterà debole e dispersa. E se sarà così, essa uscirà sconfitta dal confronto/scontro in atto .

Ma se agli amici della società aperta serve oggi un leader in cui riconoscersi e da cui farsi rappresentare/organizzare, è certo che un tale leader non potrà essere «fabbricato» da nessuno, non potrà emergere attraverso una qualche forma di cooptazione. Dovrà affermarsi con le sue sole forze. Dovrà essere un lupo, un predatore, aduso alle durezze della lotta politica ma anche in grado di proporre al Paese una visione del futuro alternativa a quella sostenuta dai nemici della società aperta. Dovrà essere capace di articolare una proposta che possa aggregare le membra sparse di un elettorato oggi ancora diviso fra formazioni riconducibili alla tradizionale frattura destra-sinistra. Grosso modo, è l’operazione realizzata da Macron in Francia. È vero, naturalmente, che egli ha potuto sfruttare a proprio vantaggio le istituzioni politiche del suo Paese. In Italia non ci sono istituzioni simili e tutto è sempre più difficile.

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