Per il professor Panebianco, che non può certo essere accusato di essere persona di simpatie sinistresi (solidamente occidentale, atlantico e liberale) , un governo 5Stelle-PD sarebbe male minore rispetto ad uno 5Stelle- Lega, che pure pare prendere corpo sullo sfondo.
I motivi li spiega con chiarezza nell'editoriale odierno del Corsera.
In sintesi, per quanto il noto politologo non condivida la visione di un 5 Stelle "costola della sinistra", ancorché indubbiamente una consistente parte (nel 2013 un terzo abbondante, oggi aspetto che i soloni dei flussi ci dicano se e quanto quella percentuale sia cresciuta ) degli elettori vengano da quell'area, il saldarsi coi piddini, forza politica comunque "sistemica", sarebbe meno dirompente rispetto alla coalizione, pure numericamente più salda in Parlamento, tra grillini e leghisti (tra l'altro con Forza Italia e anche la Meloni non più pregiudizialmente esclusi o auto).
Panebianco riprende un concetto proposto anche da altri osservatori, tra cui il mio prediletto Luca Ricolfi, secondo il quale lo storico dualismo tra destra sinistra, conservatori e progressisti, statalisti e anti, sarebbe superato da quello tra "chiusi" ed "aperti" alla società di tipo globale che abbiamo conosciuto negli ultimi lustri.
In questo senso nota che se da una parte è vero che Lega e 5 Stelle , i "chiusi", (dovrebbe aggiungere però anche Fratelli d'Italia) rappresentano il 50% dell'elettorato votante, c'è un corpo altrettanto (quasi) consistente, di "aperti".
La differenza è che questo fronte è più frastagliato e quindi debole.
Ci vorrebbe un leader nuovo - lui cita un Berlusconi o un Renzi degli inizi - per provare a dare unità ed organizzazione a questa parte di Italia , che però all'orizzonte non si vede.
Cita come esempio il solito Macron, ricordando giustamente peraltro che se l'uomo è oggi Presidente dei francesi lo si deve anche al sistema elettorale di quel paese.
Verissimo, ma proprio questa considerazione rivela i limiti del ragionamento proposto.
Macron ha approfittato di una serie di diverse congiunture favorevoli, tre principali :
1) la catastrofe del partito socialista
2) lo scandalo della moglie del repubblicano Fillon, favorito fino a quel momento da tutti i sondaggi
3) il ballottaggio con la Le Pen, con il consueto compattamento del fronte anti lepenista, già verificatosi a suo tempo favorendo Chirac.
Con tutto ciò, Macron è stato votato solo dal 24% dei francesi recatisi alle urne ( il 22% è restato a casa) al primo turno, e quindi è espressione identitaria di un francese su 5. Pochino, e infatti le sue riforme, che in larga parte condiviso, sono fortemente osteggiate da parti consistenti della popolazione (pensionati e sindacati in testa).
Certo, siccome ci piace ( a me e a Panebianco, ma all'altra 80% dei francesi ?) , ci va bene.
Ma se col consenso del 20% fosse stata eletta la Le Pen, o Malenchon , ci sarebbe andato bene lo stesso ?
Discorso fatto più volte.
In democrazia può vincere chi non ci piace, e avrà diritto di governare, però NON solo per il fatto di essere arrivato primo, ma per poter contare su un consenso minimo adeguato.
Quindi ben venga la riforma - ennesima - della legge elettorale, con la reintroduzione del premio di maggioranza, ma, come richiesto dalla Corte Costituzionale, a condizione che si raggiunga un livello minimo di consenso, senza il quale, al massimo si può prevedere un premio al vincitore, che però non garantisca il 51% dei seggi, e il resto sia distribuito proporzionalmente.
Buona Lettura
In questo senso nota che se da una parte è vero che Lega e 5 Stelle , i "chiusi", (dovrebbe aggiungere però anche Fratelli d'Italia) rappresentano il 50% dell'elettorato votante, c'è un corpo altrettanto (quasi) consistente, di "aperti".
La differenza è che questo fronte è più frastagliato e quindi debole.
Ci vorrebbe un leader nuovo - lui cita un Berlusconi o un Renzi degli inizi - per provare a dare unità ed organizzazione a questa parte di Italia , che però all'orizzonte non si vede.
Cita come esempio il solito Macron, ricordando giustamente peraltro che se l'uomo è oggi Presidente dei francesi lo si deve anche al sistema elettorale di quel paese.
Verissimo, ma proprio questa considerazione rivela i limiti del ragionamento proposto.
Macron ha approfittato di una serie di diverse congiunture favorevoli, tre principali :
1) la catastrofe del partito socialista
2) lo scandalo della moglie del repubblicano Fillon, favorito fino a quel momento da tutti i sondaggi
3) il ballottaggio con la Le Pen, con il consueto compattamento del fronte anti lepenista, già verificatosi a suo tempo favorendo Chirac.
Con tutto ciò, Macron è stato votato solo dal 24% dei francesi recatisi alle urne ( il 22% è restato a casa) al primo turno, e quindi è espressione identitaria di un francese su 5. Pochino, e infatti le sue riforme, che in larga parte condiviso, sono fortemente osteggiate da parti consistenti della popolazione (pensionati e sindacati in testa).
Certo, siccome ci piace ( a me e a Panebianco, ma all'altra 80% dei francesi ?) , ci va bene.
Ma se col consenso del 20% fosse stata eletta la Le Pen, o Malenchon , ci sarebbe andato bene lo stesso ?
Discorso fatto più volte.
In democrazia può vincere chi non ci piace, e avrà diritto di governare, però NON solo per il fatto di essere arrivato primo, ma per poter contare su un consenso minimo adeguato.
Quindi ben venga la riforma - ennesima - della legge elettorale, con la reintroduzione del premio di maggioranza, ma, come richiesto dalla Corte Costituzionale, a condizione che si raggiunga un livello minimo di consenso, senza il quale, al massimo si può prevedere un premio al vincitore, che però non garantisca il 51% dei seggi, e il resto sia distribuito proporzionalmente.
Buona Lettura
DUE ITALIE E LA SFIDA CHE VERRÀ
Consideriamo due scenari alternativi: un governo 5Stelle
sostenuto dal Pd e un governo 5Stelle-Lega. Le differenze non sarebbero solo
programmatiche
di Angelo Panebianco
In politica i simboli contano quanto gli interessi. E
qualche volta di più. Tra le ipotesi di governo che si fanno ce n’è qualcuna
simbolicamente neutrale(ad esempio,un «governo del Presidente» sostenuto dalla
non-sfiducia delle forze parlamentari)e qualcuna ad alto contenuto simbolico.
Consideriamo due scenari alternativi: un governo 5Stelle sostenuto dal Pd e un
governo 5Stelle-Lega. Le differenze non sarebbero solo programmatiche. Perché
nel primo caso (governo 5 Stelle-Pd) per molti, per tanti, verrebbe per lo meno
salvaguardata l’illusione di una certa continuità con il passato, con le
tradizioni politiche del Paese. Nel secondo caso, invece, il passato verrebbe
brutalmente archiviato e i più si troverebbero di fronte a quello che
riterrebbero un «mostro», una rottura radicale con abitudini, con schemi
mentali collaudati, si troverebbero a fronteggiare l’ignoto senza possedere gli
strumenti intellettuali per decifrarlo e comprenderlo.
Paolo Mieli (Corriere della Sera, 15 marzo) ha documentato
quanto sia ampio il fronte di coloro — appartenenti all’area che un tempo si
sarebbe detta degli «intellettuali di sinistra» — che premono sul Pd per
spingerlo ad accordarsi con i 5 Stelle. Poiché non tutti costoro sono degli
sprovveduti incapaci di capire quanti danni un simile governo potrebbe arrecare
al Paese, si deve forse concludere che a spiegarne gli atteggiamenti non sia la
politica ma la psicologia.
Proporre un governo 5 Stelle-Pd è un modo per tenersi fedeli
(o credere di tenersi fedeli) al proprio passato di «uomini e donne di
sinistra». Un governo 5 Stelle-Pd — essi pensano — potrebbe essere, almeno in
teoria, ricondotto entro binari collaudati, interpretato alla luce delle
categorie del passato: sarebbe — secondo loro — un «governo di sinistra»
(l’opposto, comunque, di un governo di centrodestra sostenuto dal Pd). Si noti
che questa rassicurante interpretazione di un governo 5 Stelle-Pd non
circolerebbe solo nella cosiddetta opinione pubblica di sinistra. Gli elettori
della destra lo considererebbero allo stesso modo, ossia come un governo di
sinistra. Insomma, lo scenario 5 Stelle-Pd è il più tranquillizzante per tutti:
si tratterebbe di una esperienza riconducibile — con qualche sforzo — al
tradizionale mondo simbolico a una sola dimensione: la dimensione
sinistra-destra.
Di tutt’altra fatta sarebbe un governo 5 Stelle-Lega. La sua
nascita scardinerebbe quel mondo simbolico, renderebbe obsolete le tradizionali
categorie interpretative. Per questo si tratta di una ipotesi simbolicamente
eversiva. Un governo 5 Stelle-Lega obbligherebbe tutti a constatare che la
frattura politica fondamentale, non solo in Italia, non è più quella
sinistra-destra(socialisti vs. conservatori) dei bei tempi in cui il mondo
occidentale era sufficientemente stabile e ordinato da consentire che la
politica si dividesse fra più Stato e meno Stato, più o meno welfare, eccetera.
La frattura fondamentale ora è fra le forze che contrastano
e le forze che difendono la società aperta. E poiché la società aperta, fondata
sulla democrazia rappresentativa e l’economia di mercato, è un portato della
nostra appartenenza al mondo occidentale, chi la contrasta deve contrastare
anche quella appartenenza, deve indebolire i legami con l’Europa e con gli
Stati Uniti, deve spostare progressivamente il Paese verso una alleanza con la Russia (fra società chiuse
ci si intende). Poiché viviamo nell’epoca di Donald Trump, purtroppo, un
siffatto progetto, pur richiedendo un certo tempo per essere attuato, non è
velleitario, non è irrealizzabile. Ma il prezzo che il Paese pagherebbe sarebbe
altissimo.
Poiché non tutto il male vien per nuocere il fatto stesso
che se ne parli, ossia che l’eventualità di un governo 5 Stelle-Lega non sia
considerata del tutto campata in aria, può consentire ai molti che non lo hanno
ancora messo a fuoco, di comprendere quale sia oggi il vero problema italiano.
Il vero problema italiano è che, a fronte di una vittoria dei fautori della
società chiusa che ha ottenuto, fra 5Stelle e Lega, la metà circa dei consensi
espressi dal corpo elettorale, c’è dall’altro lato una percentuale amplissima
di elettori che non ci stanno, che non intendono seguire quella strada. È una
frazione assai grande dell’elettorato che è però divisa, dispersa, frazionata.
E dunque, al momento, debolissima.
Si tratta di un’area in cerca di rappresentanza. È la parte del Paese che non ha oggi un leader in cui riconoscersi. Le servirebbe un Renzi dei suoi dì migliori o un Berlusconi con trenta anni di meno. Forse quest’area, anche a causa di un sistema proporzionale che frammenta la rappresentanza, resterà debole e dispersa. E se sarà così, essa uscirà sconfitta dal confronto/scontro in atto .
Si tratta di un’area in cerca di rappresentanza. È la parte del Paese che non ha oggi un leader in cui riconoscersi. Le servirebbe un Renzi dei suoi dì migliori o un Berlusconi con trenta anni di meno. Forse quest’area, anche a causa di un sistema proporzionale che frammenta la rappresentanza, resterà debole e dispersa. E se sarà così, essa uscirà sconfitta dal confronto/scontro in atto .
Ma se agli amici della società aperta serve oggi un leader
in cui riconoscersi e da cui farsi rappresentare/organizzare, è certo che un
tale leader non potrà essere «fabbricato» da nessuno, non potrà emergere
attraverso una qualche forma di cooptazione. Dovrà affermarsi con le sue sole
forze. Dovrà essere un lupo, un predatore, aduso alle durezze della lotta
politica ma anche in grado di proporre al Paese una visione del futuro
alternativa a quella sostenuta dai nemici della società aperta. Dovrà essere
capace di articolare una proposta che possa aggregare le membra sparse di un
elettorato oggi ancora diviso fra formazioni riconducibili alla tradizionale
frattura destra-sinistra. Grosso modo, è l’operazione realizzata da Macron in
Francia. È vero, naturalmente, che egli ha potuto sfruttare a proprio vantaggio
le istituzioni politiche del suo Paese. In Italia non ci sono istituzioni
simili e tutto è sempre più difficile.
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