"Se perdo non me ne vado"
Non era stato bello leggere queste parole pronunciate da Renzino, pure piuttosto stizzito, alla domanda rivoltagli dall'intervistatore di turno.
Lui, il rottamatore, la versione liberal dell'avversione berlusconiana per quelli che vivono di sola politica (ancorché il Cavaliere aveva dei titoli per dirlo, nascendo imprenditore, Renzi ??) , si arroccava come un qualsiasi democristiano o socialista d'antan, stile vecchia prima repubblica.
Un po' deludente diciamolo, anche per chi ormai alla novità del renzismo non credeva più da tempo.
Però il putto toscano le cose le fa sempre in grande, e quindi, dopo la botta del referendum, dove gli votarono contro il 60% degli italiani, adesso mette in onda un altro storico tracollo, con il PD sotto al 20% !!
Non sono contento. Chi legge il Camerlengo sa che mi auguravo un galleggiamento del PDR.
L'uomo mi sta antipatico, e del resto, arrogante com'è, di simpatie ne ha costruite pochine.
Però il merito di aver spostato l'asse dei democratici dalla rotta sinistrorsa impressa dalla segreteria Bersani (con annullamento dei centristi riformisti della Margherita, con molti di loro costretti ad andarsene e tra questi, il presidente Rutelli, che pure era stato tra i fondatori del PD) il toscano ce lo aveva, con l'abolizione del giurassico art. 18 dello statuto dei lavoratori, un tentativo, incompleto, di modernizzazione del mercato del lavoro e altre, poche, cose similari.
Uno non ossessionato dalla caccia agli evasori, unica politica economica immaginata storicamente dalla sinistra italiana, con una concezione del fisco non necessariamente vampiresca.
Insomma, al netto delle mance elettorali, tipo gli 80 euro ai lavoratori dipendenti, e i favori ai clientes storici dei democrats (leggi classe insegnante, con vagonate di precari assunti, per quanto scontenta dalla riforma della cd."buona scuola"), qualcosa di nuovo, in senso liberal, Renzi l'aveva avviato.
Ovviamente questo lo ha reso oltremodo inviso ai sinistresi duri e puri, e molti di loro, piuttosto che vanificare il voto dandolo agli scissionisti di liberi e belli (almeno questo : il tonfo di Grasso e soci è la sola vera buona notizia di queste elezioni), hanno votato i nemici veri del PDR, vale a dire i grillini.
Contro di loro, più che contro la destra, si è stretto il braccio di ferro renziano, e la sconfitta è stata clamorosa.
Talmente tanto che veramente mi pare impossibile che renzino non si dimetta.
Nemmeno il più incallito poltroniere democristiano resisterebbe ad un terremoto del genere.
Quindi Renzi si dimetterà, e a quel punto, sono convinto, ahimè, chiunque verrà al posto suo sarà pronto a fare patti governativi coi cinque stelle.
Quello che non poteva avvenire nel 2013, dove a dare carte, nonostante la "non vittoria", era il PD, forte del premio di maggioranza del Porcellum, potrà accadere stavolta dove il socio forte è il M5S.
Certo, ci sono temi sui quali un'intesa non sarebbe facile, come lo IUS SOLI, per dirne uno, e credo anche l'adottabilità dei figli da parte delle coppie omosessuali, per restare nel campo dei cd. diritti civili. Sull'immigrazione pure, credo che le divergenze siano maggiori dei punti di contatto.
Ecco, in economia, sul reddito di cittadinanza facile un accordo, ma lì il problema è di reperire le risorse finanziarie. Non ci sono, bisognerebbe fare ulteriore debito.
E i soldi chi ce li dà ? Una patrimoniale ? Potrebbe starci.
Tanto quelli del sud non la temono davvero...
Brutta, e oltremodo significativa, la spaccatura nettissima dell'Italia in due, col Nord, in discreta ripresa economica, che vota compatto il centro destra, e Lega di più, mentre il Sud, sempre più assistenzialista e con la mano protesa, spera nel miracolo del salario senza lavoro.
Scenari non brillanti, decisamente.
Speravo che il centro destra ce la facesse, e invece i sondaggi sono stati confermati (ancorché con l'inversione delle posizioni, decisamente rilevante, tra Forza Italia e Lega) : coalizione vincente, col 37% dei voti, ma comunque lontana da quel 40 che avrebbe potuto garantire l'autosufficienza parlamentare.
Come piano B avevo un risultato sufficientemente buono di Forza Italia e una tenuta dei renziani, per favorire, con l'aiuto anche dei cespugli delle due coalizioni, un governo di piccole intese.
E nemmeno questo...
A chi dice nessun governo è possibile, rispondo che invece la possibilità c'è, ed è quella appena descritta : grillini soci di larga maggioranza in un governo appoggiato del nuovo PD, nuovamente a trazione sinistra, con gli scissionisti in rientro.
Brutta, ma realistica.
Vedremo, ma in genere quando vesto i panni di Cassandra, ahimé, ci "inzerto".
Renzi, voci di dimissioni: ma il portavoce smentisce
Annunciato, poi smentito, l'addio del segretario al partito.
Il Pd attende le parole del leader. Conferenza stampa convocata alle 17. Il
successo di Renzi nella «sua» Firenze
di Antonella De Gregorio
Ore di incertezza in casa Pd. Dopo la frana delle elezioni
piovono le pietre delle dimissioni. Annunciate, attese, smentite? Un lancio
dell'agenzia Ansa, intorno a mezzogiorno, dava l'addio per certo. Poco dopo,
via Twitter, la smentita del portavoce del segretario, Marco Agnoletti. Che
aggiunge: «Il segretario del @pdnetwork @matteorenzi parlerà oggi pomeriggio alle
17».
Marco Agnoletti
@AgnoMarco
A noi non risulta.
https://twitter.com/agenzia_ansa/status/970616516201893888 …
L'attesa
Per conoscere le sorti del Pd bisognerà attendere, dunque,
la conferenza stampa in cui Renzi dirà la sua sul risultato elettorale e farà
il punto sul suo futuro a capo del partito. L’ipotesi di un passo indietro era
stata scartata alla vigilia del voto, quando nessuno immaginava il crollo a cui
si è assistito nel corso della notte. Alla luce dei dati, la parola
«dimissioni» ha cominciato però a circolare fra gli ambienti dem. Dai vertici
del partito fanno sapere che Renzi, «non deciderà da solo», si consulterà con
gli alti gradi del partito. Le ipotesi sono ancora tutte in campo. Dal
Nazareno, l'invito è ad attendere le parole del segretario. L'ex presidente del
Consiglio potrebbe rimettere il suo mandato ma sarebbe l'assemblea a decidere
se ratificare la decisione. C'è già chi vede in Gentiloni e Delrio, oppure a
Walter Veltroni i possibili traghettatori in questa fase post-voto.
Sotto il 20%
Quello che è certo è che Matteo Renzi sta pagando in queste
ore il fallimento dei suoi stessi sogni. Diceva di non voler lasciare il
partito in mano ad altri, mentre crollava non «al 25% di Bersani del 2013», ma
addirittura sotto il 20%. Linea sotto la quale potrebbe non accettare di
restare segretario. A crollare è anche la roccaforte del Pd, quella Toscana che
si è risvegliata molto meno rossa, con il centrodestra a trazione leghista a
soli due punti percentuali di distanza dal centrosinistra e il movimento cinque
Stelle in rincorsa.
«Successo» a Firenze
Una soddisfazione personale per Renzi arriva dalla «sua»
Firenze, dove il segretario dem incassa 109.830 preferenze ottenendo così il
seggio al Senato. È la prima volta che diventa parlamentare. Renzi ha vinto nel
collegio uninominale Toscana 1 del Senato (comprendente Firenze città, Lastra a
Signa, Signa, Scandicci e Impruneta) con il 44,11%, davanti al candidato della
Lega Alberto Bagnai (al 24,5%) e a quello del Movimento 5 stelle Nicola Cecchi
al 19,82%. Alessia Petraglia di Leu è al 6,65%. Una vittoria amara, se si
guarda ai dati complessivi del partito e che porterà inevitabilmente
all'instaurarsi di nuovi equilibri.
Convergenze
Su un Pd «derenzizzato» punta il M5S: una possibile
convergenza sarebbe possibile solo senza Renzi al comando. Sembra prepara
questo scenario Alessandro Di Battista, che ride beffardo quando dice «Matteo
Renzi a 43 anni è già un ex». Di «arroganza punita» parla il leader della Lega,
Matteo Salvini (che a uuna domanda sull'ipotesi dimissioni risponde «no
comment»), nella sede del partito in via Bellerio. Mentre Pier Ferdinando
Casini, neo eletto al Senato di Bologna per il centrosinistra, invita: «Mi
auguro che non sia il momento della resa dei conti nel Pd ma di ragionamenti
sereni e profondi».
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