L’attuale sistema economico, per i suoi intrecci tra Stato e mercato, ha molti difetti e merita interventi coraggiosi. Ma non è certo contestando l’azione degli speculatori e invocando un’ulteriore regolazione che ci si muoverà nella direzione giusta. (ARTICOLO DI CARLO LOTTIERI su CHICAGO BLOG curato da Oscar Giannino)
Due articoli interessanti oggi in materia economica. Uno lo riporto integralmente perché assolutamente contro corrente e quindi meglio che uno se lo legga per conto proprio e se ne faccia la sua idea. Io l'ho trovato interessante e temo giusto per molti, ancorché spiacevoli versi.
L'altro, sul Corriere della Sera di oggi, prende spunto sul problema Grecia e dice tristi verità anch'esso:
la Grecia continua a vivere al di sopra dei propri mezzi, ha bruciato senza utilità la prima tranche di decine di miliardi di prestito e così farà con la seconda. La Politica economica approvata con migliaia di greci ad assediar eil Parlamento per ora è solo CARTA, e chissà se diventerà realtà . Irlanda e Spagna , rispetto ad un anno fa, hanno avviato una politica di risanamento che mostra dei primi segnali positivi, Grecia (ma anche Portogallo) , NO.
Di fatto la popolazione, e le corporazioni in cui la stessa di raggruppa e organizza, in Grecia non ha nessuna intenzione di vivere secondo i PROPRI REALI MEZZI. E continuare a pagare, per salvaguardare le banche, specie tedesche e francesi, che hanno sovvenzionato il debito greco in passato, non può essere la soluzione.
L'Italia, lo scrivo da mesi, assomiglia tanto alla Grecia nei difetti. Forse, lo dico con speranza, abbiamo dei pregi in più : un'economia più grande, dei settori ancora sani, delle riserve di risparmio privato ancora di una certa consistenza.
Ma se non cambiamo rotta, e quindi anche le nostre di corporazioni si danno pace, TUTTE -statali, autonomi, imprese, sindacati e tutti, ma proprio tutti portano la loro parte di CROCE...senza stare li a dire...già dato, guardate i ricchi, i politici.....TUTTI, tranne quelli POVERI - oppure sperare che , come sempre, ce la caveremo, temo risulterà un tragico errore.
Non è vero che ce la siamo sempre cavata, è vero che ci abbiamo sempre provato .
E' diverso ....
Buona Lettura
Da qualche giorno circola con sempre più insistenza la tesi secondo cui la speculazione starebbe mettendo in ginocchio le banche italiane e minaccerebbe addirittura la stabilità del bilancio statale. Se con l’espressionespeculazione ci si riferisce al mercato finanziario internazionale, è sicuramente vero che nell’ultima settimana i titoli di Unicredit e di Intesa hanno ceduto molte posizioni, proprio mentre lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi (ad esempio) cresceva in maniera significativa.
Quando si usa il termine “speculazione”, però, s’intende dire assai di più.
Qualcuno, come il viceministro tedesco Werner Hoyer, ha parlato di “speculazioni irrazionali” in un’intervista rilasciata a La Stampa. La tesi sottesa è che in definitiva tutto va bene, l’Italia è sulla buona strada, le banche sono solide e quello che dicono i mercati conta poco o nulla, perché quanti vendono e comprano titoli esprimono giudizi infondati e incoerenti. I vertici politici conoscono davvero la realtà , mentre i responsi emergenti dai mercati sono frutto di una sorta di follia collettiva. Peccato che Hoyer giochi da pompiere spendendo solo parole, mentre chi ha acceso l’incendio ha messo sul tavolo i propri soldi.
In generale, però, ben più che irrazionale la speculazione è rappresentata come perversa, rapace, prepotente. Per molti, lo speculatore è un criminale. Anzi, è assai peggio di un criminale, come ebbe a sintetizzare ottimamente Bertolt Brecht: “In fondo, cos’è rapinare una banca a paragone del fondarne una?”.
Nello specifico, l’idea è che i titoli delle banche italiane e perfino i nostri bond statali valgano assai di più, ma siano deprezzati per iniziativa di alcuni avventurieri senza scrupoli che prima fanno loro perdere valore (vendendo massicciamente) e poi magari realizzano profitti acquistando i medesimi titoli quando il prezzo è crollato. La narrazione prevede essenzialmente tre soggetti: un gruppo di capitalisti cinici, spregiudicati e (quasi) onnipotenti che sono in grado di fare e disfare fortune; aziende e Stati sostanzialmente passivi, che sono in balia di questi sommovimenti e vedono i propri titoli salire e scendere senza poter far molto; il solito “parco buoi” – versione finanziaria della vecchia plebe ignorante – che compra i titoli quando sono le quotazioni sono alte e li vende quando esse sono scese.
In questa situazione, che fare?
La risposta che sembra venire da ogni parte è sempre la stessa: bisogna regolamentare. Il mercato è irrazionale e feroce, e quindi c’è bisogno che qualche Autorità (un politico, un professore, un burocrate) lo metta sotto controllo. A finire sotto il fuoco della critica, in particolare, è il cosiddetto nacked short selling, che permette di operare allo scoperto e anche vendere titoli che non si posseggono: ovviamente pagandone lo scotto nel caso in cui i titoli in questione si rafforzino. (Massimo Mucchetti, ad esempio, sul Corriere della Serainterpreta questa posizione).
La tesi di quanti vogliono imbrigliare gli scambi è però davvero curiosa, perché si fa fatica a comprendere che senso abbia reagire al cattivo giudizio dei mercati impedendo loro di esprimersi. Chi compra e vende titoli oppure azioni rischia del suo nella convinzione di aver compreso dove va dirigendosi il mercato. D’altra parte, un’impresa che sceglie di quotarsi in borsa e uno Stato che emette propri bond devono sapere che, da quel momento in poi, vi sarà chi esprimerà opinioni differenti – e magari spiacevoli – sulle loro prospettive economiche.
Da un lato si fanno pressioni sulla Consob e dall’altro già si parla – poteva forse mancare? – di un probabile intervento di qualche Procura, affinché si colpisca chi avrebbe venduto dolosamente… (ne parla addirittura Il Sole 24 Ore).
Un’altra considerazione elementare. Mentre i moralizzatori più o meno colbertisti condannano gli gnomi della finanza globale, mentre non ci stupirebbe vedere in televisione un qualche ministro mettersi a citare gli scritti fantaeconomici di Ezra Pound o del maggiore Clifford Douglas, l’uomo della strada si chiede per quale motivo quei signori onnipotenti della finanza plutocratica – si trovino a Londra o a New York, poco importa – attaccano i bond italiani, quelli portoghesi e quelli greci, e non invece i titoli svizzeri o tedeschi. Se il gioco è tanto semplice e la manipolazione così evidente, perché non realizzare profitti ancora maggiori con altri titoli di Stato?
L’uomo della strada ha capito molto più degli esperti, perché sa che l’Italia è indebitata e sa che questo va producendo conseguenze assai gravi all’intero sistema produttivo: banche incluse. Se negli ultimi mesi a entrare in crisi sono stati taluni titoli europei e non altri, è perché gli investitori non sono disposti ad accettare un 2% di interesse da un titolo che ha buone probabilità di essere declassato. Chi negli anni scorsi aveva comprato titoli argentini con interessi stratosferici non era molto autorizzato a lamentarsi quando si è trovato di fronte il fallimento di Buenos Aires.
Bisognerebbe anche ricordare che gli speculatori (gli attori della finanza) fanno parte di un complesso sistema economico che include anche quanti, avendo qualche risparmio, cercano investimenti che offrano un buon rapporto tra rischi e benefici. E se il caos politico ed economico dell’Italia non promette un futuro roseo, è chiaro che i potenziali acquirenti dei nostri Bot esigono interessi più elevati.
Gli speculatori fanno il loro mestiere: comprano e vendono, rischiando i loro capitali. Dovremmo anzi ringraziarli dato che, con le loro iniziative, permettono una migliore circolazione delle informazioni (i prezzi, si sa, sono soprattutto veicoli di conoscenze).
Di fronte ai pericoli che minacciano la società italiana è ridicolo puntare il dito su chi oggi è assai meno disposto di ieri a valutare positivamente il nostro debito pubblico. Bisognerebbe invece mettere sotto processo chi ha assunto dipendenti statali e ora non vuole ridurne il numero; su cui continua a rinviare ogni liberalizzazione; su cui nemmeno è sfiorato dall’idea di mettere sul mercato le imprese parastatali, dall’Eni all’Enel, anche perché deve piazzare i propri uomini (honi soit qui mal y pense) in questo o quel consiglio d’amministrazione.
Nessun commento:
Posta un commento