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domenica 10 luglio 2011

QUANT'ERA BELLA BERLINO 5 ANNI FA !

Il 10 luglio 2006 l'Italia per la quarta volta diveniva campione del mondo. Il calcio sarà anche una cosa sciocca, 22 scemi in mutandoni che corrono dietro ad una palla, come dicevano invidiose le compagne di scuola, gelose di quella palla che per noi contava assai più di loro (a 15-16 anni,,,poi le cose sarebbero cambiate ma non per sempre, la vita è circolare...) , però chi è che non si ricorda dov'era e con chi era la sera di 5 anni fa quando Fabio Grosso corona un mese magico (per tutti noi ma per nessuno come per lui. onesto pedatore che mai prima e mai più dopo seppe essere CAMPIONE ), mette dentro l'ultimo rigore e diventiamo CAMPIONI DEL MONDO ?
Il bello di vittorie così è che tutto quello che fai dopo non cancella quell'impresa. E così Cabrini, Rossi, Tardelli, Scirea, Zoff resteranno sempre i mitici campioni di Spgna, nel 1982, e ugualmente  Buffon, Pirlo, Gattuso, Del Piero, Materazzi (si, avete letto bene, Materazzi !!!!) saranno gli eroi di Berlino 2006.
Oggi il capitano di quegli eroi , Fabio Cannavaro, grande difensore , splendida carriera ma che - anche lui  ! - non giocò MAI così bene come in quei 30 fantastici giorni, lascia il calcio ufficialmente, e sceglie non a caso la data del 10 luglio per annunciarlo. In realtà Fabio Cannavaro e molti altri finirono lì. quella notte,  la loro VERA carriera. Sono tanti i giocatori che dopo il mondiale del 2006 non sono stati più gli stessi. E' come se la gloria di quel momento, unica, imperitura, e non solo nel mondo dello sport, avesse come salatissimo prezzo il loro lento ma irreversibile declino.
Mi piace pensare, anzi ne sono praticamente certo, che anche sapendolo nessuno di quei ragazzi si sarebbe tirato indietro, preferendo vivere loro e regalare a tutti noi,  quella gioia grande e chissene frega del resto.
  GRAZIE CAMPIONI

Ecco come Maurizio Cosetti saluta l'addio del grande capitano azzurro :
"PIUTTOSTO basso, terrone e pure difensore: può, uno così, arrampicarsi in cima al mondo? Però è successo. E adesso siamo qui a salutare la più importante figurina di Berlino 2006, la più rara. Già cinque anni, anche se sembrano cinque minuti. Fabio Cannavaro racchiuse tutta una carriera in meno di un mese, lui che pure è il calciatore italiano con più presenze in azzurro. Quell'incredibile mese tedesco in cui la nazionale, e Cannavaro più degli altri, giocò come invasata, senza sbagliare un pallone, senza prendere gol su azione (un'autorete e un rigore), immersa dentro Calciopoli fino alle orecchie e nello stesso tempo, o forse proprio per quello, orgogliosa, compatta, un blocco d'acciaio contro tutto e tutti.
Di quella squadra che difendendo trionfò, Cannavaro fu capitano e simbolo, baluardo e fotografia, anima e cuore. C'era lui, in conferenza stampa, quando arrivò la notizia di Pessotto: nessuno potrà mai dimenticare il suo sguardo. C'erano le sue mani, contro il cielo di Berlino, quando la coppa d'oro brillò. E c'era sempre lui, il giorno dopo, cullando il trofeo tra le braccia come un neonato, ci aveva pure dormito insieme. Forse fa ridere dirlo, ma la coppa e Fabio si somigliavano, così rotondi e lucidi.


Il calcio all'italiana, che è storia e filosofia insieme, ha avuto in Cannavaro uno degli ultimi rappresentanti del suo senso più profondo, quello che Brera amava: il calcio dei traccagnotti brevilinei, capaci di far leva
non solo sulle qualità ma anche sui limiti, per trasformarli in virtù. Il calcio realista, sornione e grintoso, furbo e cattivo, quello che nessun dio della tecnica assoluta ha baciato: eppure i padreterni spesso s'inchinano, gli Zidane e i Ronaldo peggio dei Cannavaro, irretiti da un mestiere antico, da una lenta, orgogliosa sofferenza. Si  ritira un campione, non un santo e neppure un santino. Restano, nella sua storia, anche le ombre, quel brutto filmato della flebo a Parma, quello strano episodio dell'ape che sapeva di doping. Ma c'è soprattutto l'avventura di un ragazzo partito da Napoli e arrivato ovunque, una persona garbata con una magnifica famiglia: in quel mese tedesco, la moglie e i bambini lo seguivano nelle rare pause tra una battaglia e l'altra, ed era bello vederli tutti insieme a tavola.


Cinque anni, cinque minuti fa. Dentro ogni secondo c'è un difensore azzurro senza capelli che rincorre, blocca, rilancia, stoppa, tira, riparte, soffre, vince. Al suo fianco, anche un po' tutti noi che non siamo nati fenomeni, ma proteggiamo il sogno di un piccolo riflesso d'oro." (di Maurizio Crosetti, oggi su Repubblica.it)

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