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venerdì 6 aprile 2012

L'ARTIGIANO CHE SI ERA DATO FUOCO PER I DEBITI COL FISCO E' MORTO. UN POVERO CRISTO, DI VENERDì SANTO.

L'auto dell'artigiano che si è dato fuoco
E' morto Giuseppe C., l'uomo che il 28 marzo si è dato fuoco dentro la sua auto auto a Bologna, davanti alla vecchia sede dell'Agenzia delle Entrate.
Non ho nessuna intenzione di speculare su questa tragedia per attaccare il Fisco, il Direttore Befera, il Governo.
Basta e avanza DI Pietro a fare lo sciacallo sulle morti, proprio lui che fu l'alfiere di Mani Pulite, cioè di un sistema manettaro, di moderni Torquemada, che contribuirono nella loro "gloriosa" stagione a ben 32 suicidi, di cui i più noti quelli di Cagliari e Gardini.
Semmai è la volontà, proprio oggi, Venerdì Santo, di ricordare un attimo questa persona che, con vera compassione, definirei un "povero Cristo", che, in difficoltà economica, si arrabbattava, cercando di recuperare, tacendo i suoi guai alla moglie per "non farla preoccupare".
A leggere le notizie che sotto riporto, Giuseppe veramente aveva cercato di aggirare le norme fiscali, caricando i costi per abbattere i guadagni e pagare meno tasse.
Lo faceva per essere più ricco? Per avere il macchinone (aveva una Fiat Punto...), la villa, la barca? Sembra proprio di no, lo faceva per tirare avanti. Nelle lettere semplici che ha lasciato è quasi commovente per la sua ingenuità la frase "le tasse le ho sempre pagate, magari poco, ma sempre".
E' questo l'evasore parassita denunciato per mesi dalla vergognosa pubblicità trasmessa in tv dal governo?
E' questa la persona che il vicino di casa è chiamato per dovere civico a denunciare perché ruba alla collettività?
A leggere la sua storia, mi sembrerebbe di no. Giuseppe sembra più una persona che non avendo santi in paradiso, non avendo rimediato "IL POSTO", aveva messo su una piccola attività artigiana, con la quale semplicemente "viveva" mantenendo la sua famiglia.
La battaglia di coloro che combattono l'oppressione fiscale non è volta a tutelare chi ha la capacità e/o fortuna di avere molto e non vuole contribuire in nulla, e purtroppo ce ne sono, eccome.
Semmai quella di cambiare uno Stato che ha TROPPA FAME di danaro, per un welfare non sostenibile (ma almeno scopo "nobile" ancorché discutibile ) e , ancora di più, per fabbricare consenso, mantenere clientele, finanziare un sistema che quando non è corrotto (e lo è, avoglia se lo è, come leggiamo TUTTI i giorni) è decrepito e inefficiente.
Se questo Stato non fosse un'idrovora, il Fisco non avrebbe il bisogno disperato di reperire denaro dovunque può, con sistemi sempre più invasivi, a volte disumani, che calpestano principi cardine della giustizia costituzionale e della civiltà giuridica di uno stato di diritto , quali la presunzione d'innocenza, l'onere della prova, la verifica giudiziaria della pretesa dell'ufficio SENZA la quale il cittadino NULLA deve.
Se questo Stato non fosse una diga con ormai troppe falle, non ci sarebbe bisogno di applicare sanzioni e multe che moltiplicano il credito come nemmeno i Casamonica (per i non romani, nota famiglia di strozzini della capitale...).
Giuseppe C., come ormai tanti, troppi, non pagava le tasse perché NON ce la faceva a pagarle per intero, e ricorreva ad espedienti illegali, come le fatture di comodo. E'un reato. Non si può negare.
Ma se io Stato creo un sistema per il quale la  possibilità di una vita dignitosa del cittadino passa per la violazione della legge, sono forse più "legale"?
O magari sono condannabile tanto quanto?


Dal CORRIERE DI BOLOGNA.IT

L'auto in fiammeAlla fine non ce l’ha fatta. Giuseppe C., l'uomo che si era dato fuoco davanti alle sedi delle commissioni tributarie in via Paolo Nanni Costa a Bologna, è morto. Da nove giorni era ricoverato in Rianimazione all'ospedale Maggiore di Parma, dove era stato trasportato d’urgenza in elicottero la mattina del 28 marzo, dopo un breve ricovero a Bologna. Era subito stato trasferito nel Centro grandi ustionati dell’ospedale parmigiano, visto che le sue condizioni era no da subito sembrate disperate: il fuoco lo aveva dilaniato provocandogli ustioni di terzo grado su tutto il corpo.

LA VICENDA – La mattina del 28 marzo Giuseppe C., piccolo imprenditore di Ozzano, si era dato fuoco dentro la sua Fiat Punto parcheggiata davanti al palazzone che fino a pochi mesi fa ospitava anche la sede della Agenzia delle Entrate. Aveva lasciato accanto alla vettura delle lettere, una proprio alla Commissione tributaria, in cui spiegava di aver «sempre pagato le tasse» e chiedeva di «lasciar in pace» almeno la moglie, cui aveva rivolto una commovente lettera di addio. L'uomo era tormentato dalle pendenze con il fisco, che gli chiedeva almeno 104.000 euro (cifra non confermata dall'Agenzia, e che probabilmente non teneva conto di cospicue maggiorazioni per sanzioni). Una cifra dovuta al Fisco per lo più per sovrafatturazioni, cioè dichiarazioni di costi maggiori di quelli realmente sostenuti, emerse nei controlli fiscali, e contro cui Giuseppe C. aveva cercato inutilmente di far ricorso alla commissione tributaria provinciale (che gli aveva dato torto). Dagli accertamenti del Fisco era poi nata anche una denuncia penale, visto che era stato accusato di aver usato fatture mendaci. Proprio la mattina del suo gesto disperato, Giuseppe era infatti imputato (rappresentato in aula dal suo legale Massimo Lettera) in tribunale a Bologna per l'accusa di uso di fatture false. Il legale - su mandato dell'assistito - aveva patteggiato una pena di 5 mesi e 10 giorni. Pena sospesa perché Giuseppe C. era incensurato. Giuseppe si era dato fuoco alle 8.15, prima che l'udienza fosse aperta, ma la notizia in tribunale era arrivata solo nel pomeriggio, quando la sentenza era già stata pronunciata.
I PRIMI SOCCORSI – L’artigiano fu immediatamente soccorso da un ragazzo romeno che lo vide rotolarsi per terra avvolto dalle fiamme, che cercò di spegnere con la sua giacca. Poco lontano la macchina era diventata una palla di fuoco. Successivamente i primi a intervenire furono due agenti della polizia municipale di Bologna. Uno dei due spense i piedi del muratore, che venne soccorso dagli operatori sanitari.
LE REAZIONI – «Ognuno deve fare la propria parte per prevenire situazioni di disagio che portino le persone a togliersi la vita». Con queste parole il sindaco di Bologna, Virginio Merola, ha commentato la notizia della morte di Giuseppe C. «Esprimo condoglianze alla famiglia a nome mio e dell’amministrazione comunale. Una morte che colpisce tutti, già troppe persone hanno compiuto gesti estremi in questo periodo di crisi». Sulla tragedia, con una nota, è intervenuta anche la Confederazione degli artigiani di Bologna: «Fatti come questo non devono più accadere. Abbracciamo affettuosamente la moglie dell’imprenditore. Le siamo stati accanto in questi giorni e continueremo a farlo».
«NON PARLAVA MAI DEI SUOI PROBLEMI» - All’oscuro dei problemi con il Fisco del marito, la moglie di Giuseppe C. ha sempre dichiarato che lui non parlava mai in casa di questioni legate al lavoro. «Non ne sapevo nulla, ultimamente era felice perché aveva ripreso a lavorare dopo due mesi di stop» erano state le sue parole dopo aver saputo del tragico gesto. A causa dello shock per la notizia la signora era stata ricoverata all’ospedale di Budrio per un lieve malore. Anche il fratello del muratore, che lo aveva visto alcuni giorni prima, lo ha definito «una persona tranquilla».

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