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venerdì 6 aprile 2012

NON E' CHE RIFORMARE SIA DI PER SE' UN BENE MR. MONTI....

Il meglio è nemico del bene. Frase fatta, che sicuramente cela una verità : la ricerca del migliore dei mondi possibili spesso si conclude nel rimanere sempre dove si è. La differenza tra rivoluzione e riforma in genere è che la seconda, evitando violenze e sommovimenti radicali, cambia senza sovvertire completamente l'ordine esistente, promuovendone un parziale progresso, confidando che iniziare è di per sé positivo e che in futuro si potranno fare ulteriori progressi.
Messa così, si può essere d'accordo.
Ma il progresso ci DEVE essere, sia pure parziale.
Ecco, col governo Monti di questo francamente iniziano a dubitare anche i suoi sponsor esteri e, a ruota, nazionali.
Il Financial Times prevede che l'Italia, vista la recessione che l'affligge, dovrà presto ipotizzare una nuova manovra correttiva (quella varata ancora deve mordere per bene...ne vedremo delle belle!), il Wall Street Journal è deluso e da tempo gli esperti economici del Corriere della Sera sono passati dallo sprone fiducioso alla critica sia pure costruttiva.
Ora delle due l'una : o qui ci sono degli ingrati incompetenti che sottovalutano il lavoro meraviglioso di Monti e i risultati che arriveranno dalle riforme fatte, oppure è il Premier che è vittima della sindrome di Palazzo Chigi per la quale da quell'ufficio tutto sembra migliore.....
Tralasciando le solite cose - e quindi le tasse asfissianti, la disoccupazione che non cala, la recessione che morde, le banche che non prestano soldi nonostante le vagonate quasi regalate dalla BCE, lo Stato che non paga le imprese fornitrici, l'evasione che nonostante i poteri dittatoriali attribuiti al Fisco rimane sempre lì, a quota 120 miliardi - e concentrandoci sulla riforma sul tavolo, ecco che sul decreto partorito dal governo cala la scure di Alesina e Ichino, i quali, non credo per immodestia ma per dare particolare valenza al loro giudizio negativo rivendicano la loro competenza NON inferiore ai tecnici al governo e si firmano il primo quale professore di economia alla Harward University e il secondo all'Università di Bologna.
Nel loro articolo di oggi, i due professori partono appunto dall'osservazione che ci può essere qualcosa di peggio del non cambiare le cose che vanno male, ed è il cambiarle in PEGGIO.
Ed è esattamente quello che avverrebbe con la riforma annacquata dopo le pressioni di Bersani, a sua volta ostaggio dell'ala radicale del suo partito e del sindacato rosso.
I due spiegano perché:
In ogni sistema economico, anche durante una recessione, ci sono imprese che potrebbero espandersi e altre che si contraggono. E questa situazione si può nel tempo invertire. Per questa ragione è fondamentale per le imprese poter adeguare la propria forza lavoro alla congiuntura da affrontare, e quindi poter assumere nei momenti espansivi, senza timore che esauriti questi poi non sia possibile alleggerire , temporaneamente, i costi dell'azienda. Come si fa a conciliare questo con il "posto fisso"? Semplicemente NON si può. Quello che si deve cercare di fare, attraverso un sistema più flessibile, è che trovare un nuovo lavoro sia più semplice e nell'attesa ci sia un sostegno economico finanziato in parte dall'impresa (che paga il vantaggio di questa flessibilità) e in parte dallo Stato e quindi dalla collettività. Una bestemmia? Nei favolosi paesi del nord funziona così. Da loro la parola "reintegro" non sanno nemmeno TRADURLA.
I due professori citano studi per i quali l'aumento dei vincoli alla libertà d'impresa, riguardo ai licenziamenti per motivi economici, si riflettono in perdite retributive per i lavoratori e incidono negativamente anche sulle assunzioni (fino al 15% in meno).  Insomma, spiegano Alesina e Ichino, "il sistema basato sull'art. 18 dà sicurezza a chi ne può godere (ormai quasi solo i lavoratori anziani, per lo più uomini) . Ma tiene in piedi posti di lavoro poco produttivi con una perdita generale di efficienza economica e lascia briciole di precariato ai giovani..."
L'altro sistema, quello che consente alle aziende una VERA "libertà d'impresa", sia pure pagando un risarcimento al lavoratore, e con lo Stato che si limita a d assistere efficacemente i lavoratori in transizione tra gli impieghi in perdita e quelli in attico, guadagna in EFFICIENZA. Nel lungo periodo, sostengono i due esperti, vi saranno maggiori retribuzioni e crescita dell'occupazione.
Ma se si resta fermi in mezzo al guado ? Se si fa un pasticcio per cercare di quadrare il cerchio ?
Le imprese in difficoltà licenzieranno certo, ma quelle che potrebbero assumere continueranno a NON fidarsi di un sistema comunque rigido in "uscita".
Quindi né retribuzioni migliorate per essere la forza lavora impiegata in settori in quel momento produttivi, né maggiore occupazione.
Non un buon compromesso Mister Monti.
E lo spread risale.....

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