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domenica 4 novembre 2012

OBAMA RISCHIA DI VINCERE CON MENO VOTI DELLO SFIDANTE. UN PRIMATO STORICO DI CUI FAREBBE A MENO



Quando fu eletto Obama da scettico quale sono diventato con l'età, ero perplesso da tanto entusiasmo. Il Kennedy nero, il riscatto di un paese che tra i suoi tanti pregi aveva , all'opposto, le macchie dello schiavismo e poi del razzismo. La retorica dei sogni, del "WE CAN".
Cosa è rimasto dopo quattro anni di tutto questo ? Nulla, veramente nulla. Obama si è beccato gli effetti della crisi bancaria e finanziaria del 2007 e ha dovuto destinale trilioni di dollari a salvare le banche e il sistema di credito americano. Non gli è rimasto molto per il resto. Poteva fare diversamente ? C'è chi dice di sì, sostenendo che come era stata lasciata fallire Lehmans Brother's si doveva fare per gli altri. AL contrario, altri sostengono che se si fosse salvata ANCHE la Lehmans, l'incendio sarebbe stato meno devastante. Francamente non saprei dire la mia al riguardo. So che la disillusione , soprattutto dei giovani americani, per Obama è grande. Questo non li porterà a votare Romney, che appeal presso di loro ne ha poco (anche se non inesistente ) , ma probabilmente a disertare le urne. Insomma, se le chance dello sfidante repubblicano sono salite nel corso della campagna elettorale è più per la debolezza del presidente uscente, normalmente favoritissimo alle elezioni di  conferma del mandato. Sono veramente pochi quelli che l'hanno mancato, credo solo due nel dopoguerra : Carter e Bush Senior (che pure valeva 10 volte il figlio , che viceversa il secondo mandato l'ha fatto ). Se Obama rischia, e contro un candidato senza carisma come Romney ( Reagan fu tanto deriso ai tempi della sua prima candidatura, ma da allora un candidato popolare e amato i repubblicani non l'hanno più avuto ) , vuol dire che questi quattro anni sono andati proprio male per gli AMERICANI.
Certo, se votassero gli europei, specie le redazioni dei  giornali, sarebbe anche inutile farle le elezioni ! Obama lo voterebbero tutti, o quasi. Curioso no ? Nemo profeta in patria sembra tornare ciclicamente.
Alla fine ce la farà, grazie anche al sistema elettorale particolare degli USA. Piuttosto complicato e con la possibilità di un risultato poco democratico ma legittimo : prendere meno voti ma vincere grazie a DOVE si prendono. In America infatti non sono i cittadini che eleggono direttamente il presidente ma i cd. Grandi Elettori. Ogni Stato ne ha un tot in dotazione a seconda del numero degli abitanti ( e fin qui...). Il Texas per esempio ha 38 GE, la California 55. Facciamo conto che dei 100 abitanti del TEXAS 90 votino Romney e 10 Obama, mentre in California, dei 150 abitanti , 100 votino per il presidente in carica e 50 per lo sfidante repubblicano.  Avremo così che i voti effettivamente espressi sarebbero 140 per Romney e 110 per Obama ma ad essere eletto sarebbe il secondo, perché avrebbe più Grandi Elettori , assegnati secondo il sistema maggioritario per cui chi vince se li prende TUTTI . e quindi 55 contro 38. Giusto ? Mi sembra di no, perché alla fine il voto di un californiano conta più di uno texano e questo con la democrazia mi sembra c'entri poco, però così funziona. E così potrebbe andare alla fine.
C'è gente che si è offesa perché Romney avrebbe fatto riferimento all'Italia come esempio di paese negativo, nella cui crisi gli Stati Uniti rischiano di cadere proseguendo con le politiche pubbliche di Obama.
Curioso : è la stessa gente che dell'Italia dice peste e corna ogni volta che può, però se lo fa uno straniero, specie se americano e repubblicano, allora NON SI PUO'. Come quei genitori che parlano male dei propri figli ma guai se lo fanno gli altri. Mah.
Riporto stralci di commenti di inviati del Corsera  negli USA alla vigilia del voto .
Buona Lettura



MASSIMO GAGGI :


Un sondaggio nazionale, quello di Abc e Washington Post , continua a dare Romney in leggero vantaggio sul presidente (49 a 47), ma la partita vera - si sa - è quella degli Stati «in bilico». E qui due pedine fondamentali come Ohio e Florida (indispensabili ma non sufficienti per il candidato repubblicano) vengono assegnate a Obama dall'ultimo sondaggio, quello realizzato dopo l'uragano (mercoledì e giovedì) da Nbc , Wall Street Journal e dal Marist College. Questo consorzio di rilevazione, che il giorno prima aveva dato il presidente in testa anche in Wisconsin, Iowa e Nevada, attribuisce al leader democratico un vantaggio di ben 6 punti in Ohio, mentre in Florida il distacco in suo favore sarebbe solo di due punti. Tutto ancora incerto, insomma: oltretutto i sondaggi di due quotidiani dello Stato proteso verso i Caraibi, il Miami Herald e il Tampa Bay Times , danno, invece, Romney in leggero vantaggio. Ma, nel loro complesso, i numeri delle rilevazioni negli Stati chiave sono favorevoli al presidente, rafforzando l'ipotesi di un Romney che ottiene più voti di Obama a livello nazionale ma non riesce a diventare presidente perché perde negli Stati chiave e quindi non riesce a mettere insieme un numero sufficiente di «grandi elettori»: i delegati degli Stati che, poi, eleggeranno materialmente il presidente.
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Barack non ha lo smalto del 2008 e le piazze nelle quali si immerge non mostrano lo stesso entusiasmo. Ma la macchina elettorale è imponente e ben oliata e il fatto che la maggioranza degli elettori bianchi gli abbia voltato le spalle, che i maschi bianchi martedì voteranno in larga maggioranza per Romney, non viene visto come un ostacolo alla sua rielezione. 
Certo, bisognerà vedere se la sua scommessa demografica - puntare su giovani, ispanici, neri e donne nubili - si rivelerà fondata. Che questi gruppi sociali siano la nuova maggioranza dell'America e che il trend vada sempre più in questa direzione è un fatto ammesso anche dai politologi repubblicani. E la piattaforma del presidente, dall'immigrazione alle unioni gay, all'aborto, tiene conto degli interessi di questi gruppi che, invece, Romney non ha di certo corteggiato. Il punto è che questi gruppi, per vari motivi, tendono a recarsi alle urne in misura molto minore rispetto alla borghesia bianca e agli anziani. Per questo l'esito della battaglia per la Casa Bianca verrà in gran parte deciso dalla capacità della macchina elettorale di Obama di persuadere incerti e «pigri» ad andare ai seggi. Tutte le proiezioni demografiche, comunque, indicano che in futuro il peso di queste minoranze sarà sempre più determinante, mentre quello del blocco bianco continuerà a calare. Ma già oggi la situazione è molto diversa da quella del 2000, il numero degli ispanici che andranno alle urne è enormemente superiore.





GIACOMO VALTOLINA


I giovani americani li avevamo lasciati così, nel 2008. Schierati con decisione al fianco di Barack Obama. Per le idee e la freschezza sventolate dal candidato democratico, ma soprattutto per la rabbia verso le politiche del presidente uscente George W. Bush. Quattro anni fa, due terzi della popolazione statunitense tra i 18 e i 29 anni (il 66%) votò l’uomo di Chicago, mentre McCain dovette accontentarsi del 32%. Un divario eclatante, senza precedenti nella storia del voto under30 made in Usa con il record precedente che spettava al 58% vs 40% delle elezioni 1984 che condussero Ronald Reagan alla vittoria contro Mondale. La gioventù era per Obama il propellente del cambiamento, l’esercito degli slogan “Change we can believe in” e del “Yes we can”.

Oggi, invece, alla vigilia del voto, la speranza non è argomento di campagna elettorale. Disoccupazione (l’11,9% della popolazione 18-30), scarso impegno civile, crisi economica. Obama appare meno rivoluzionario, Romney non sfonda. Dei 45 milioni di giovani chiamati alle urne, la percentuale di giovani che dichiara di votare democratico è scesa al 52% contro il 35% che opterà per i repubblicani. Un dato di ambigua interpretazione e che dipenderà molto dagli indecisi (10%). Ma un fatto è chiaro: il presidente perde voti in maniera preoccupante. E dato che il rivale non ne guadagna, l’elemento su cui riflettere diventa la “disillusione” dei giovani, in generale. Per Obama che aveva “illuso” una generazione, per Romney, che non ha saputo trovare le parole giuste per portarla con sé. Tuttavia, dalle statistiche risulta evidente, anche nella campagna 2012, come sia stato Obama a cercarli di più: contattato il 10% circa degli u30, contro il 5% (la metà) dell’avversario.

Da quando votano i 18enni, e cioè dal 1972, tranne tre volte i giovani hanno sempre votato democratico.  .......
Ai giovani interessano la possibilità di permettersi gli studi, di accedere alle cure sanitarie, i matrimoni gay, il rientro dei militari dall’Afghanistan. E se guardiamo a cosa offrono i due candidati la loro scelta è abbastanza obbligata…”. Dal canto loro i repubblicani parlano di occupazione, e i toni sono allarmati: “Uno su due degli studenti che sono appena usciti dal college non trovano lavoro” accusano dal team elettorale, pur festeggiando le vittorie telematiche: “La partecipazione sulla nostra pagina Facebook è quattro volte più alta di quella di Obama. Nonostante la loro macchina organizzativa, noi abbiamo più coinvolgimento”.

La questione non è quindi capire cosa voterà la maggioranza dei giovani martedì 6 novembre (Obama) ma se i numeri saranno gli stessi del 2008, un fattore che potrebbe determinare l’esito finale, soprattutto in alcuni stati cruciali come North Carolina, Virginia e Colorado secondo gli analisti d’Oltreoceano.


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